15 Aprile 2025
E in tutte le cose che ha fatto – tra cinema, teatro, tv, editoria – ha messo il suo immenso talento e uno sguardo arguto.
È stata mai ferma un minuto Franca Valeri, nei suoi cent’anni di vita (1920-2020)? C’è da dubitarne. Radio, giornali, tv, teatro, cabaret, cinema, giornali umoristici e giornali comuni, editoria… Mai un minuto ferma, mai un minuto senza guardarsi intorno, immagazzinare idee, proporre personaggi – la signorina snob, la sora Cecioni, la bruttina stagionata…
Chi, tra gli anni del dopoguerra e gli anni dieci del 2000, non si è imbattuto prima o poi in qualche sua trasmissione, in qualche suo film?
Ecco, partiamo dai film, e da due film esemplari: Piccola posta (regista Steno, 1955), dove teneva testa ad Alberto Sordi e a Peppino De Filippo; Il segno di Venere (Risi, ancora ’55), dove rubava la scena a Sophia Loren, di cui era la sorella “racchia. Due “commedie all’italiana” non proprio minori – nella prima, Valeri trasferiva al cinema due celebri macchiette radiofoniche, mentre il secondo era più autonomo e inventivo –, e che servirono a definire un modo di raccontare che partiva dall’osservazione della realtà, dalle trasformazioni del costume, e che si servirono di Sordi e della Valeri come due personaggi esemplari della mutazione in corso.
Un’Italia che, infinitamente più di oggi, sapeva ridere di se stessa e accettava chi sapeva “fargli la morale” divertendolo, attraverso la messa in ridicolo di certi modi di essere (maschilisti, un tantino fascisti e ipocritamente bigotti) di cui tanti ancora si gloriavano – e oggi, a ben vedere, siamo cambiati per molte cose in meglio ma per altre siamo rimasti gli stessi e forse, anzi, siamo peggiorati, senza una dialettica borghesia-piccola borghesia-proletariato-mondo contadino-plebe dove tutto è ridotto a “generone” (come si diceva una volta) onnicomprensivo.
La Valeri veniva dalla borghesia milanese, ma fu da subito “nazionale”, grazie soprattutto alla radio, e “proletaria”, oscillando tra risibili personaggi borghesi e personaggi risibilmente proletari o sotto-proletari. Personaggi specialmente femminili, e davvero affiancando Irene Brin, Camilla Cederna, Lietta Tornabuoni, Natalia Aspesi, Oriana Fallaci nel lavoro di svecchiamento dei modelli femminili, fermi alla idealizzazione della mamma, una parola che significava un mucchio di cose.
“È stata mai ferma un minuto Franca Valeri, nei suoi cent’anni di vita? C’è da dubitarne.”
Qualche anno fa, fu Emanuela Martini – valente critico cinematografico ma, anche lei, non solo questo – a curare un bel saggio per la casa editrice Lindau dedicato al racconto e all’analisi dell’infaticabile presenza di Franca Valeri nella storia della cultura, della società e del “costume” italiano.
Da attrice, non va dimenticato che Franca Valeri fu allieva di Sergio Tofano, maestro di tanti e di tante e indimenticabile creatore del fumetto del Signor Bonaventura. Ma “la Valeri” fu anche commediografa (con opere recuperabili oggi nelle edizioni Einaudi e nelle edizioni de La Tartaruga) e sceneggiatrice, e ha collaborato ai testi dei film in cui lavorava, per esempio quelli di un film diretto dal suo compagno Vittorio Caprioli, Parigi o cara (1962), arguta e acuta trasferta della nostra commedia dalle parti della torre Eiffel. Caprioli era napoletano, e fu esemplare il rapporto/confronto tra due modi di stimolare al riso – peraltro già messi alla prova nel cabaret e nel teatro di rivista – nella compagnia che Valeri e Caprioli lanciarono nei primi anni Cinquanta insieme ad Alberto Bonucci. Loro cavallo di battaglia: Il dito nell’occhio.
Più della radio, più del cinema, più dei giornali, a Franca Valeri fu caro il lavoro nel teatro, che non smise mai di praticare. Una carriera coerente, invidiabile, che la vide anche coinvolta ne Le serve di Jean Genet, in La Maria Brasca di Testori – con un personaggio che più milanese non si può –, in un adattamento di Roma di Palazzeschi, nella versione al femminile di La strana coppia di Neil Simon (a fianco di Rossella Falk e di cui Valeri curò anche la regia).
Portò sulla scena una versione teatrale di una grande commedia cinematografica, L’appartamento di Billy Wilder (con il quale aveva collaborato alla sceneggiatura I. A. L. Diamond). Né va dimenticato che, da brava milanese e borghese, Franca era appassionata di opera lirica, e ne diresse molte, nel corso degli anni.
Sino all’ultimo, ha messo in scena e si è messa in scena, tra commedie e monologhi, e sempre con piglio da pungente osservatrice dei cambiamenti del costume e delle mode che coinvolgevano le donne e non solo loro.
Grande Franca! L’ho vista in cinema e in televisione, ammirata a teatro, ascoltata alla radio, letta nei giornali e sui libri, e l’ho conosciuta fuggevolmente in più occasioni. L’ultima, non molti anni fa, e già vicina ai cento, a un convegno romano che commemorava la Callas. Mi accostai alla sua sedia e le chiesi, “Posso darle un bacio?” e lei si illuminò e gridò: “Tanti! tanti!”.
Goffredo Fofi
Goffredo Fofi è saggista, critico cinematografico e letterario. Il suo ultimo libro è Cari agli dèi (Edizioni E/O, 2022).
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