05 Novembre 2024
Celebre per aver scritto "Ladri di biciclette", Luigi Bartolini è oggi un autore dimenticato. Eppure, oltre al romanzo da cui è stato tratto il film di De Sica, Bartolini fu un formidabile inventore di personaggi femminili e i suoi romanzi, sempre animati da trame picaresche, risultano ancora freschi e imprevedibili.
Con l’emiliano Giorgio Morandi (Bologna 1890-1964), il marchigiano Luigi Bartolini (Cupramontana 1892-Roma 1963) condivide la fama di massimi incisori italiano del Novecento. Ma quest’ultimo diceva di averne fatte, di incisioni, una quantità ben superiore rispetto a Morandi, e soprattutto di più vasto argomento naturale e umano (non soltanto bottiglie). Diciamo che furono in questo campo entrambi bravissimi, il primo più perfetto e il secondo più vario. Tanto più che Bartolini fu anche un grande scrittore, checché ne abbiano pensato critici e storici della letteratura, peggio che accademici.
Divenne noto come tale subito dopo la guerra per aver scritto Ladri di biciclette, un “romanzo” o cronaca o diario che venne casualmente letto da Cesare Zavattini, il quale convinse De Sica – dopo il successo critico di Sciuscià – a trarne un film dallo stesso titolo, ma che più lontano non si può immaginare dal testo originale (sia per lo spirito che per forma). Una storia di disoccupazione, il film, che fece il giro del mondo, e di cui il giudizio più curioso è venuto tanti anni dopo dal grande regista spagnolo Pedro Almodóvar che lo ascrisse alla categoria del melodramma. È melodramma la storia degli impedimenti che uno o più protagonisti incontrano nella loro ricerca della felicità; “quando parla di disoccupati, lo chiamano neorealismo”, ha scritto Almodóvar. E sì, ciò che si frappone stavolta alla conquista della felicità è in questo caso il furto della bicicletta dell’attacchino Antonio Ricci (interpretato nel film da un operaio della Breda “preso dalla strada”: Lamberto Maggiorani).
È un capolavoro indiscusso, il film di De Sica, ma infinitamente lontano, lo dicevamo, dal libro (“romanzo”) a cui si ispirò. Nel libro (edito dapprima da un piccolo editore romano, Polin, e poi da Longanesi) la bicicletta è quella del narratore, che se ne serve per lavoro e soprattutto, nei giorni dell’occupazione e della liberazione, per girare la campagna intorno a Roma in cerca di viveri “a borsa nera” per nutrire la propria famiglia.
Se c’è, in quegli anni, un libro anti-populista è questo di Bartolini, che nella ricerca ossessiva della bicicletta rubata incontra un’umanità che è tutto fuorché “buonista” secondo il pensiero zavattiniano, e il bello è che i luoghi in cui Zavattini e De Sica muovono il loro personaggio sono in effetti gli stessi, ma visti con altri occhi.
Si tratta, insomma, di due capolavori su ambienti simili e con un filo narrativo identico, ma lontanissimi nella sostanza. E se il successo del film (più che meritato) ha oscurato la conoscenza del libro, è pur vero che il libro è, in un campo e con uno spirito diverso, un grande libro.
Tutta l’opera di Bartolini andrebbe riletta, per la sua libertà, la sua fredda (ma non sempre) ironia sulle miserie umane, e per il suo carattere picaresco, anche nei libri che raccontano, per esempio, le donne – un argomento da lui prediletto (Passeggiata con la ragazza, Signora malata di cuore, Ragazza caduta in città e Vita di Anna Stickler, che parla di sua moglie).
I suoi ritratti femminili più belli sono quelli delle giovani modelle di via Margutta e dintorni, viste con ironia pari solo all’ affetto. Anche se il suo libro migliore, ambientato nelle sue Marche rurali, è forse Il mezzano Alipio, testo che ruota intorno alla figura di un contadino che procura giovani ragazze ai signori di paese. Un’insolita divagazione che accumula storie assai varie è anche Cane scontento, altro titolo strano e improbabile.
“Tutta l’opera di Bartolini andrebbe riletta, per la sua libertà, la sua fredda (ma non sempre) ironia sulle miserie umane, e per il suo carattere picaresco, anche nei libri che raccontano, per esempio, le donne”.
Bartolini è uno scrittore davvero da riscoprire, a cui ha nuociuto proprio il successo del capolavoro cinematografico in cui lui non aveva ritrovato niente di suo, come scrisse infuriato dopo aver visto il film, da fiero denigratore del neorealismo.
Ho avuto la fortuna, molti anni fa, di conoscere le due figlie di Bartolini e di aver fatto il possibile, con loro e con pochi altri, perché del lavoro del padre si tornasse a parlare, ottenendo qualche successo solo nel campo dell’arte grafica. Una piccola casa editrice anconetana osò ripubblicare i Ladri, ma i tempi non erano ancora maturi. E forse non lo sono, mi sembra, neanche oggi.
Goffredo Fofi
Goffredo Fofi è saggista, critico cinematografico e letterario. Il suo ultimo libro è Cari agli dèi (Edizioni E/O, 2022).
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