Mario Monicelli, maestro dell’umorismo - Lucy
Compagni di strada

Goffredo Fofi

Mario Monicelli, maestro dell’umorismo

03 Dicembre 2024

14 anni fa moriva Mario Monicelli, uno dei più grandi registi italiani. Cultore del comico, seppe dare lustro al genere della “commedia all’italiana”. Con i suoi film ha offerto ruoli ad attori già grandissimi, contribuendo a cambiarne l’immagine.

Quattordici anni fa, di questi giorni, moriva Mario Monicelli, e la sua compagna Chiara Rapaccini ha voluto ricordarlo riunendo un gruppo di suoi amici tra i quali anche me. Monicelli è stato un grande nome del cinema italiano e internazionale, e con Comencini e Risi un grande della commedia all’italiana.

Era stato prima sceneggiatore che regista, in coppia con Stefano Vanzina che si firmava Steno. Un grande regista ma anche, per me, nei suoi ultimi anni, un grande amico. Dei film che diresse insieme a Steno due restarono impressi nella mia memoria infantile. Il primo, Totò cerca casa (1949), spostava Totò dal campo della comicità rivistaiola a quello del neorealismo e della “commedia all’italiana” (e fu allora – per via di quel film visto “clandestinamente” perché era vietato ai minori, grazie a un amico di mio padre, un reduce dalla prigionia nella lontana India che strappava i biglietti degli spettatori e mi fece entrare di straforo – che Totò diventò una mia passione). Il secondo, poco commedia e piuttosto melodramma sociale, fu Le infedeli, galleria di ritratti di donne non solo proletarie: la prima pellicola che mi accostò a tematiche che potremmo definire proto-femministe.

Maniaco di cinema, seguii la carriera di Steno e Monicelli e poi del solo Monicelli, che introduceva nel comico una dimensione realistica e sociale che portò i suoi frutti nella nascente “commedia di costume”, per esempio Guardie e ladri (con Totò e Fabrizi insieme) e I soliti ignoti, uno dei grandi film della storia del nostro cinema, che vide Gassman nel suo primo ruolo comico, strappandolo definitivamente ai ruoli di “cattivo” di tanti altri film. Maestro della commedia all’italiana, si è detto più tardi, ma al tempo la commedia all’italiana era molto sottovalutata dai nostri critici, e questo faceva arrabbiare Monicelli, che diceva di avere appreso ad apprezzare la commedia da La mandragola e dal Decameron, da Machiavelli e da Boccaccio, cioè – peraltro entrambi autori toscani come lui.

“Un grande regista ma anche, per me, nei suoi ultimi anni, un grande amico”.

Grazie a un libretto su Totò che gli dedicai, divenni amico di Mario, che a Roma abitava non lontano da dove anch’io abitavo, e a cui piaceva venire a cena da me, perché vi incontrava molti giovani che facevano o volevano fare cinema. Ma anche, diceva, perché cucinavo piatti a lui familiari, che io conoscevo grazie alle mie origini paesane e che avevo imparato osservando nonne e zie; cucinavo le rape come faceva sua madre!

Feci anche un libro con lui, una lunga intervista sul cinema muto che ci era stata commissionata da Farinelli e dalla Cineteca bolognese… Fu una bella, una vera amicizia insomma, dovuta anche al fatto che Monicelli amava raccontare storie di cinema e a me piaceva ascoltarlo; saperne di più e da dentro.

E spesso mi sorprendeva, per esempio quando mi disse che Antonioni – dai film certo non si poteva sopportarlo – era in privato un uomo molto spiritoso e divertente. Mario gli “rubò” Monica Vitti trasformandola nell’unica donna “colonnello” della commedia all’italiana, ché gli altri erano tutti maschi, per esempio Sordi e Tognazzi, a cui dette ruoli indimenticabili nei suoi film. Soprattutto al primo svelandone una vena tragica in Un borghese piccolo piccolo, ma esaltandone, infine, la genialità tutta “romana” ne Il Marchese del Grillo.

“E spesso mi sorprendeva, per esempio quando mi disse che Antonioni – dai film certo non si poteva sopportarlo – era in privato un uomo molto spiritoso e divertente”.

Un’assistente che gli è rimasta sempre fedele anche nelle rare imprese teatrali, Anna Antonelli, ha raccolto i suoi scritti e le sue interviste in un bellissimo libro Così parlò Monicelli (Edizioni dell’Asino). Le sue battute erano spesso folgoranti.

Caro Mario, narratore eccelso, nato come aiuto regista e come sceneggiatore già negli anni del fascismo e della guerra, e che la guerra l’ha fatta, e che sapeva di che pasta sono fatti gli italiani. Pur riconoscendo e rappresentando i loro vizi e i loro difetti, sapeva che erano capaci di slanci inattesi. Uomo di sinistra, rimpiangeva che il film che, con protagonista un partecipe Mastroianni, aveva dedicato alla storia del movimento operaio tra Otto e Novecento, I compagni, non avesse ottenuto il successo che aveva arriso a La grande guerra, cui spesso gli capitava di paragonarlo.

Un ultimo ricordo: fu davvero felice quando lo invitammo a presentare il film in un piccolo festival toscano, davanti a un pubblico di giovani entusiasti, un pubblico “sessantottino”. È stato un vero compagno, Monicelli. Grande uomo, grande regista.

Goffredo Fofi

Goffredo Fofi è saggista, critico cinematografico e letterario. Il suo ultimo libro è Cari agli dèi (Edizioni E/O, 2022).

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