Delle poesie che non sembrano poesie - Lucy
articolo

Paolo Nori

Delle poesie che non sembrano poesie

30 Dicembre 2024

Sono quelle di Raffaello Baldini, nato cento anni fa, morto nel 2005 e oggi poco ricordato. Paolo Nori gli ha dedicato il suo ultimo romanzo, Chiudo la porta e urlo, e questo pezzo.

1. Vivian Lamarque

Una delle corrispondenti di Baldini, le cui lettere sono andate a finire nel romanzo che ho scritto su di lui, che si intitola Chiudo la porta e urlo, è Vivian Lamarque, che mentre lo leggeva mi ha scritto che a lei, quel romanzo lì, non sembrava un romanzo. “A te?”, mi ha chiesto, e io le ho risposto che a me sembrava di sì,  e che il fatto che a lei non sembrasse un romanzo non era necessariamente una cosa negativa. 

Perché il romanzo più romanzo tra tutti i romanzi che ho letto, le ho detto, è Guerra e pace, di Tolstoj, e quando è uscito, Guerra e pace, la critica principale che gli mossero i critici russi degli anni Sessanta dell’Ottocento era che non era un romanzo, perché mischiava personaggi reali, come Napoleone e lo zar Alessandro I, a personaggi inventati, come Pierre Bezuchov e il principe Andrej. 

Ecco. 

Il romanzo è un genere in movimento, e quello che nel 1865 ai russi non sembrava un romanzo oggi, a me, sembra il romanzo più romanzo di tutti. 

Allora mi sembra che un testo narrativo che oggi sembri un romanzo è, forse, un romanzo dell’Ottocento; se avessi scritto un romanzo ottocentesco, avrei scritto un finto romanzo, la copia, di un romanzo, avendo scritto una cosa che, oggi, non sembra un romanzo ho almeno una possibilità di averci preso, ho detto a Vivian Lamarque, e poi le ho chiesto “Se a te Chiudo la porta e urlo non sembra un romanzo, cosa ti sembra?”.  

E lei dopo un po’ mi ha risposto “Mi sembra una circonvallazione”. 

2. La circonvallazione (di Raffaello Baldini)

“Anch’io, se potessi, mi piacerebbe d’andare a stare alla circonvallazione. Qui nel Tavernello è sempre buio, fai quelle due chiacchiere, ma io sono troppo vecchia e se parlo non mi sta a sentire nessuno. Per di più faccio fatica a camminare e quando è tempo brutto non esco neanche. Sto nella stanza di sotto, grande, con l’umidità che gonfia i muri e ogni tanto schiaccio uno scarafaggio. Ma quasi tutte le domeniche mi vengono a prendere Luisìn o Giancarlo con la seicento. Mi portano dalla Zita, la mia nipote. Quello, sì, è l’appartamento, il più in alto, con marmi e parquet, nel condominio di Pozzi. Io quando arrivo lo sanno già, mi aprono la porta a vetri del balcone che dà proprio sulla circonvallazione. Mi metto lì a sedere e ci sto delle ore. Il movimento che c’è, la roba, il chiasso. Io zitta, tengo le mani sulla ringhiera e guardo che passa il mondo.” 

3. Marescotti

Quando penso alle poesie di Baldini mi vien sempre in mente quando Ivano Marescotti ha raccontato che una volta, dopo una serata in cui le aveva recitate, gli si è avvicinata una signora e per dirgli quanto le erano piaciute gli ha detto “Ma come mi son divertita, ma son così belle, ma così belle che non sembrano neanche delle poesie”. 

4. Tom

C’è un poesia brevissima di Baldini, si intitola Tom, che secondo me è abbastanza indicativa, del modo in cui scrive lui. 

Fa così: “Quanto abbiamo giocato con Tom, quel che mi sono divertito, ma intelligente, era il cane di mio zio, più intelligente di lui”. 

Ecco. Non sembra mica tanto, una poesia. 

5. Poesie

“Sai” mi ha poi detto Vivian Lamarque, “mi hai fatto venire in mente che una volta ero andata in una scuola a leggere le mie poesie e a un certo punto un bambino ha alzato la mano ha detto ‘Scusi, lei perché le chiama poesie, che si capiscono tutte le parole?’”. 

6. Il visibile

Giorgio Agamben, nel libro Il fuoco e il racconto, dice che l’arte rende visibile il visibile, che è una cosa che rischia di non essere tanto comprensibile. 

Uno potrebbe pensare: se è visibile, che bisogno c’è di renderlo visibile? 

Ecco. Dentro il libro faccio due esempi.
Quando avevo sedici anni mi piaceva disegnare, e al pomeriggio mi mettevo nella mia stanza, stavo lì un paio d’ore a copiar dei fumetti e sperimentavo una concentrazione che mi piaceva moltissimo, lo stato della mia testa in quei momenti lì che copiavo delle vignette di Asterix o di Corto Maltese. E in quel periodo lì avevo comprato in edicola un corso di disegno a dispense e io mi immaginavo che mi avrebbero insegnato la tecnica, la prospettiva, il chiaroscuro, dove cadon le ombre a seconda della fonte di luce, e la prima cosa che c’era scritta in quel corso di disegno era il fatto che, sì, mi avrebbero insegnato la tecnica il chiaroscuro eccetera eccetera ma soprattutto, quel che volevano insegnare sarebbe stato a guardare. 

Che io mi ricordo mi ero sentito offeso. Son sedici anni, che guardo, avevo pensato, solo che poi, ero andato avanti a leggere, loro mi proponevano di fare una prova, quelli che avevano scritto quel manuale lì di disegno. 

“Il romanzo è un genere in movimento, e quello che nel 1865 ai russi non sembrava un romanzo oggi, a me, sembra il romanzo più romanzo di tutti”.

Prova a pensare a una persona che vedi spesso e che non è con te in questo momento – scrivevano –, prova a pensare alla sua testa, che forma ha? È ovale o tonda? La linea delle orecchie è sopra o sotto quella delle sopracciglia? Che distanza c’è tra l’attaccatura dei capelli e la radice del naso? E tra la fine del naso e il labbro superiore? Gli occhi come ce li ha, distanziati o ravvicinati? 

Io avevo pensato al mio compagno di banco, all’istituto tecnico Macedonio Melloni di Parma, che si chiama Bruno Pelosi, e non avrei saputo rispondere a nessuna di queste domande. Avrei saputo solo dire che Bruno era biondo e aveva gli occhi azzurri. E mi ero accorto che ero così convinto di sapere com’era, il mio compagno di banco, che non lo guardavo: Bruno mi stava di fianco, tutti i giorni, nel suo imballaggio da compagno di banco, come se fosse ricoperto da del pluriball, quelle buste trasparenti con dei pallini pieni d’aria che mettono intorno agli strumenti elettronici quando li imballano, su cui ci fosse scritto: Bruno Pelosi, compagno di banco. 

Il giorno dopo, ero andato a scuola l’avevo guardato e avevo visto Bruno Pelosi. L’avevo visto fuori dall’imballaggio, come se accorgermi che non avrei saputo descriverlo fosse servito a sfilargli il pluriball, e mi ero accorto che aveva gli occhi molto ravvicinati, forse è la persona con gli occhi più ravvicinati che abbia conosciuto in vita mia, ma forse no, che c’è una bibliotecaria, in provincia di Milano, che ho conosciuto qualche anno fa, che secondo me aveva gli occhi ancora più ravvicinati. 

7. Guinzagli

Un mio amico di Bologna, si chiama Jean Talon, mi ha raccontato di un gruppo di antropologi bolognesi che qualche decennio fa avevano invitato un cantastorie senegalese, uno che scriveva delle storie e poi le metteva in musica e le cantava ai suoi concittadini, l’avevano invitato a Bologna e gli avevano detto di osservare i bolognesi e di scrivere poi una canzone su di loro da cantare ai senegalesi e lui, tra le altre cose, aveva scritto che in Europa, al mattino, succedeva una cosa stranissima, c’era un sacco di gente che andava in giro legata ad un cane. 

Che, per uno che non ha mai visto un guinzaglio, e non ha idea neanche di cosa sia, è esattamente quello che succede tutte le mattine, anche sotto casa mia, c’è da dire, solo che vederlo è difficile, perché io son così abituato, ai guinzagli, che ho smesso di vederli, li guardo come si guarda un parente, come dice Jannacci, e come si guarda, un parente, non lo si guarda, e invece certe volte, a guardarlo, ci accorgeremmo di certe cose che sarebbe forse un bene, accorgersene. 

Come lo zio dell’io narrante della poesia di Baldini Tom, che è uno che ha un cane così intelligente che è più intelligente di lui. Povero zio. 

8. Ma Baldini

Ma Baldini, con le sue poesie, mi sembra renda visibile anche l’invisibile; mi sembra lo faccia, per esempio, in una poesia che si chiama In due che è la poesia con la quale finisco le presentazioni di Chiudo la porta e urlo e con la quale finisco anche questo pezzetto su Lucy, che ringrazio per l’invito. C’è, nella relazione tra i due della poesia, una cosa che tutti abbiamo, almeno una volta, nella nostra vita, sperimentato, ma che è così difficile, da raccontare. 

9. In due (di Raffaello Baldini)

“Lo dico sempre anch’io, in due è il massimo, per stare insieme, se vuoi stare insieme, in dieci, in venti, come fai a stare insieme? la gente invece gli piace d’essere in tanti, ‘Eravamo una trentina, senza contare i bambini’, e sono contenti, ‘Stiamo insieme’, che non vuol dir niente, starai attaccato, non insieme, più siete e peggio è, stare insieme è un’altra cosa, non te n’accorgi? no, non se n’accorgono, per loro, essere in pochi è come non esserci, loro hanno bisogno d’essere in molti, in cento, in mille, in diecimila, in centomila, che io, ci sono stato anch’io, per San Martino, alla festa della Pieve, mangiare, bere, canti, ridi, urli, perché devi urlare, è tutto un urlìo, se no non ti senti, e per loro è allegria, che era un casino, e io lì zitto in mezzo, cosa vuoi che dica, mi pareva, ma davvero, d’essere solo, invece in due, tu e lei, la sera, in casa, a un certo momento spegni la televisione, chiacchieri un po’, lei va di là, torna, sorpresa! due gelati, vuoi crema o cioccolato? poi ogni tanto si esce, si va nei posti, a mangiare fuori, al cinema, il cinema è una roba, come da bambini le favole, si sta lì tutti a sedere, zitti, incantati, se ti viene delle volte da dir qualcosa, dietro c’è sempre uno che protesta: ssst! silenzio! poi Fine, si accendono le luci, è come svegliarsi, ti alzi, e basta un niente, che le tieni il cappotto, che se l’infila, che la stringi, non molto, solo sentirla.” 

Delle poesie che non sembrano poesie -

Paolo Nori

Paolo Nori è scrittore e traduttore. Il suo ultimo libro è Chiudo la porta e urlo (Mondadori, 2024).

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