Stella Levantesi
La compagnia petrolifera canadese ReconAfrica ha iniziato a trivellare l'area attorno al fiume Okavango, un territorio naturale unico. Con conseguenze prevedibili: regole violate, sfruttamento della popolazione, danni alla biodiversità. Gli attivisti e le comunità locali stanno cercando di ribellarsi.
Il collasso può avvenire in modo graduale, senza che nessuno se ne accorga. Si insinua tra le cose lentamente, invisibile, e si manifesta solo dopo uno strappo. Quando si parla di natura ed ecosistemi, questo punto di rottura viene detto “tipping point”: un cambio di rotta esplosivo, catastrofico e, spesso, irreversibile. A volte accade a livello locale: il crollo delle popolazioni ittiche porta alla perdita di posti di lavoro e alla riduzione dei redditi nelle comunità costiere, per esempio. Ma sempre più spesso, ormai, i punti di collasso si manifestano a livello globale: con l’aumento dell’insicurezza alimentare, con siccità e scarsità d’acqua, con eventi meteorologici estremi come inondazioni o incendi che destabilizzano intere comunità. O con la perdita di biodiversità: tra il 1970 e il 2020 le popolazioni di oltre 5.000 animali vertebrati sono crollate del 75%.
Questi crolli avvengono soprattutto a causa dello sfruttamento degli ecosistemi, e quindi attraverso la deforestazione, oppure per l’aumento delle emissioni climalteranti, come quelle delle aziende inquinanti di gas e petrolio, fonte primaria della crisi climatica globale. Oggi che i cambiamenti sono sempre più visibili, chi sfrutta il pianeta non si sta fermando. In alcune aree del mondo, però, c’è chi resiste e combatte.
La Namibia, il primo Paese africano ad aver inserito la protezione dell’ambiente nella propria Costituzione, è un territorio con un patrimonio naturale unico. Da qualche anno la compagnia petrolifera canadese ReconAfrica è approdata lì con un piano preciso. “Sono venuti a trivellare, prendendo gli appezzamenti di terra, sottraendo terra alle comunità. Senza il loro consenso”, mi racconta Thomas Muronga dalla Namibia. Muronga è il presidente della Kapinga Kamwalye Community Conservancy nel Paese, un gruppo di comunità che si è opposto all’approvazione delle attività di esplorazione e sfruttamento di ReconAfrica da parte del governo namibiano e del suo ministro dell’ambiente Pohamba Shifeta. “Hanno negato il diritto alle comunità di dare il proprio consenso, poi sono venuti e hanno raschiato la terra”, aggiunge Muronga.
ReconAfrica è arrivata in Namibia quasi 4 anni fa, quando ha ottenuto la licenza per oltre 13.600 miglia quadrate di terreno al fine di aprire un nuovo giacimento di petrolio e gas. La “terra” sfruttata di cui parla Muronga è nella regione dell’Okavango, tra il nord della Namibia e il nord ovest del Botswana, uno dei luoghi più ricchi di biodiversità al mondo che ospita alcune delle specie di grandi mammiferi più minacciate – come il ghepardo, il rinoceronte bianco, il rinoceronte nero, il cane selvatico africano e il leone. Anche il più grande gruppo di elefanti rimasto in Africa, 130 mila, vive nell’Okavango. Il delta del fiume Okavango è uno dei pochi delta interni che ha un sistema di zone umide per lo più intatto. L’equilibrio ecosistemico dell’Okavango è cruciale anche per le comunità che lo abitano: il bacino è fondamentale per oltre 1 milione di persone che vi dipendono per l’acqua e la sopravvivenza.
“Il collasso può avvenire in modo graduale, senza che nessuno se ne accorga. Si insinua tra le cose lentamente, invisibile, e si manifesta solo dopo uno strappo”.
Da quando è arrivata nella regione, ReconAfrica è stata accusata di aver violato le regole. Per esempio, di aver ingannato i propri investitori con comunicazioni promozionali fuorvianti e per aver trivellato le terre senza i giusti permessi. “Le operazioni di ReconAfrica nella regione dell’Okavango stanno affrontando una crescente pressione su più fronti”, mi dice Andy Rowell che collabora con Oil Change International (OCI), un’organizzazione di ricerca e advocacy sul rischio dei combustibili fossili e per una transizione all’energia pulita.
Gli azionisti hanno risolto un’azione legale contro la società, mentre gli organismi di regolamentazione in Germania e in Canada hanno avviato le loro indagini, mi spiega Rowell. “Queste azioni, insieme a un flusso costante di nuove denunce, evidenziano le controversie in corso sulle attività di esplorazione petrolifera dell’azienda in una delle aree ecologicamente più sensibili dell’Africa”.
OCI è intervenuta anche quando, a luglio 2024, l’azienda energetica norvegese BW Energy ha firmato un accordo con ReconAfrica per partecipare alle esplorazioni di petrolio e gas. OCI ha richiesto i dettagli delle valutazioni di due diligence di BW Energy per il suo investimento nelle attività della compagnia canadese, poiché il progetto, sempre secondo OCI, potrebbe essere in conflitto con la legge norvegese sulla trasparenza per le violazioni sui diritti umani e sull’ambiente. Nel 2021, è stata anche presentata un’azione legale collettiva contro i dirigenti e i collaboratori di ReconAfrica, con l’accusa di violazione delle leggi federali americane sui titoli.
Recentemente, un’inchiesta di «National Geographic», durata tre anni e condotta da Jeffrey Barbee e Laurel Neme, ha rivelato come l’azienda “non si sia adeguatamente consultata con le comunità locali in merito al piano di trivellazione completo, come richiesto dalla legge della Namibia e abbia intimidito gli oppositori locali”. Il racconto di Barbee e Neme rivela anche che la compagnia ha violato molteplici norme, come aver trivellato all’interno della Kapinga Kamwalye Wildlife Conservancy senza avere i diritti legali, aver spianato illegalmente le strade di quelle aree e non aver foderato i pozzi di scarico della trivellazione per evitare il conseguente ’inquinamento delle falde acquifere.
Rowell ha visitato il sito della trivellazione due anni fa e sostiene che poco è cambiato. “L’azienda dice di essersi ampiamente consultata con le comunità in prima linea, ma non è così. È stata anche accusata di aver distrutto le foreste. Questa è una foresta comunitaria, quindi è legalmente protetta dalla legge namibiana. Ma l’azienda si è presentata distruggendola con i bulldozer,” ha aggiunto Rowell.
Le comunità locali hanno intrapreso azioni legali che, al momento, sono ancora in corso. “Quello che sta succedendo oggi è che non esiste ancora la partecipazione della comunità. Le cose stanno ancora accadendo, come stavano accadendo nel 2021: l’accaparramento delle terre è ancora in atto,” mi racconta Ina Maria Shikongo, artista e attivista climatica namibiana.
Dalle petizioni internazionali e le obiezioni delle popolazioni indigene, alle azioni legali collettive e ai reclami sui titoli, la compagnia canadese ha subìto forti pressioni per interrompere le proprie attività di sfruttamento. Nonostante questo, la compagnia ancora trivella con l’appoggio dello Stato.
La strada è in salita ma chi si batte per smantellare queste attività di sfruttamento non vuole fermarsi. Questo mese, Shikongo sta aiutando a coordinare un’azione di protesta internazionale insieme a movimenti e organizzazioni della società civile in altri paesi inclusi il Canada, la Norvegia e gli Stati Uniti. Il 18 ottobre è stata attivata una campagna sui social media contro le azioni irregolari della compagnia e proteste fisiche presso le borse di città dove ReconAfrica è registrata, incluse Toronto e Oslo, dove gli attivisti hanno manifestato portando un grande elefante rosa di tessuto che mostrava la scritta “dite la verità”.
Il problema dello sfruttamento del territorio dell’Okavango è peggiorato dal fatto che, come altre aree del mondo, inclusa la Sicilia, per esempio, la Namibia sta subendo una forte siccità che ha portato all’annuncio del governo dell’abbattimento di più di 80 elefanti e oltre 600 animali selvatici per distribuire la loro carne ai cittadini. “Stiamo vivendo una grave siccità. E allo stesso tempo ci sono le elezioni presidenziali imminenti che si tengono ogni cinque anni. E così la soluzione che il governo sta adottando, per esempio, è quella di sostenere l’uccisione di un centinaio di elefanti, che invece sono cruciali per la biodiversità dell’Okavango,” spiega Shikongo.
Le trivellazioni hanno già alterato alcuni equilibri. Muronga ha raccontato che, a causa delle attività di ReconAfrica, gli elefanti hanno dovuto cambiare il proprio percorso e attraversare il villaggio di Baramasoni portando il rischio di conflitto uomo-fauna selvatica lì dove prima non c’era. Anche la scelta del governo di abbattere gli animali, secondo Shikongo, è problematica. “Io li chiamo [gli elefanti] i protettori sacri del fiume. L’abbattimento cambia la biodiversità e a lungo termine questo contribuisce al cambiamento climatico. Non è l’opzione migliore, soprattutto se si considera il fatto che ci sono trivellazioni petrolifere,” mi dice Shikongo.
Trivellare, infatti, oltre a distruggere gli ecosistemi, contribuire alla deforestazione e alle emissioni che causano la crisi climatica, consuma molta acqua e aumenta il rischio di inquinamento. “Nella regione dell’Okavango, dove l’acqua è vita, il petrolio è morte. Con un riscaldamento dell’Africa doppio rispetto a quello globale, ReconAfrica è il cuore dello sfruttamento neocoloniale. Una fuoriuscita potrebbe trasformare questo paradiso della biodiversità in una storia ammonitrice di avidità e devastazione ambientale,” mi spiega Rowell. “Ora siamo in competizione con una compagnia petrolifera in un periodo di siccità”, aggiunge.
Le comunità locali auspicano un cambio di passo rapido e sperano di riuscire a interfacciarsi con il governo per correggere l’inerzia.
“Sempre più spesso, ormai, i punti di collasso si manifestano a livello globale: con l’aumento dell’insicurezza alimentare, con siccità e scarsità d’acqua, con eventi meteorologici estremi come inondazioni o incendi che destabilizzano intere comunità”.
“Il governo continua a dare il permesso alla compagnia di continuare a trivellare. E anche di recente noi abbiamo saputo che è stato dato loro il permesso di fare un altro servizio sismico senza alcuna autorizzazione. Quindi speriamo di continuare a coinvolgere il nostro governo per assicurarci che stia facendo la cosa giusta”, mi dice Muronga. “Stanno venendo a distruggere tutto quello che abbiamo. La nostra speranza è che forse il governo ci ascolti in modo da liberarci di queste persone. Perché quello che stanno facendo non favorisce affatto le comunità.”
Le compagnie petrolifere internazionali continuano ad aumentare la produzione di gas e petrolio anziché interrompere nuovi progetti, come invece è urgentemente raccomandato dagli esperti climatici e dall’Agenzia Internazionale dell’Energia. “Mentre l’Eni e altri giganti del petrolio esauriscono gli altri pozzi, spostano le loro estrazioni sulle riserve non sfruttate dell’Africa. Nella regione dell’Okavango, ReconAfrica guida questa nuova ondata di estrazione di risorse neocoloniali, minacciando non solo il sito UNESCO dell’Okavango, ma il futuro stesso di un continente che si sta già riscaldando al doppio del tasso globale”. mi dice Rowell. “È un monito crudo: il Delta del Niger di ieri potrebbe essere l’Okavango di domani”.
Stella Levantesi
Stella Levantesi è giornalista, fotografa e autrice. Si occupa soprattutto di crisi climatica e ambiente. Il suo ultimo libro è I bugiardi del clima (Laterza 2021).
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