Alessandro De Angelis
400 anni fa Galileo Galilei, durante una gita in barca, lanciò le chiavi di un amico in aria. Le chiavi, invece di cadere in acqua, caddero in mano all'amico, tra lo stupore dei presenti. Galileo aveva da poco scoperto la relatività, estesa e generalizzata in seguito da Einstein.
Se chiedeste in giro a chi è dovuta la teoria della relatività, probabilmente la maggior parte degli interlocutori vi risponderebbe: Albert Einstein. Ma in questo caso la maggioranza avrebbe torto. Anche se tra il 1905 e il 1915 Einstein ne ha fatto un’importantissima revisione, la teoria della relatività è stata enunciata nella sua forma moderna da Galileo Galilei, e la sua prima verifica risale a quattrocento anni fa.
Una lettera di Francesco Stelluti da Roma (n. 2380 dell’Appendice dell’Edizione Nazionale delle Opere di Galilei) racconta un episodio risalente al 1624 che costituisce il primo esperimento storicamente documentato a prova di quello che oggi chiamiamo principio di relatività.
“Et io ne ho vista l’esperienza, et è che andando con il Sig.re Galileo a Piediluco [presso Terni, ndA] per il lago, con una barca da sei remi che andava assai veloce, e sedendo lui da una parte et io dall’altra mi dimandò se haveva qualche cosa grave; li dissi haver la chiave della mia camera; la prese e, mentre la barca andava velocemente, trasse in alto la chiave in modo che io la credevo perduta nell’acqua; ma quella, se bene la barca era trascorsa per otto o dieci braccia avanti, con tutto ciò cadde la chiave tra lui e me.”
Con questo semplice esperimento quel burlone di Galileo, mettendo a rischio non già le chiavi sue, ma quelle del suo amico, fornisce una dimostrazione sperimentale del fatto che il movimento è sempre relativo a qualcosa. I passeggeri della barca non hanno modo di accorgersi del fatto di essere in movimento con la barca – almeno finché quest’ultima si muove a velocità costante. Il cosiddetto principio di relatività (oggi chiamato di relatività speciale per un motivo che sarà chiaro tra poco) afferma che le leggi della fisica sono le stesse in qualunque sistema in moto rettilineo uniforme, cioè con velocità costante, rispetto a un sistema in cui valgono le leggi della fisica. Se chiamiamo un sistema di questo tipo “sistema inerziale”, la classe dei sistemi inerziali comprende tutti i sistemi in moto rettilineo uniforme rispetto ad esso, e nessun sistema di riferimento gode di particolari privilegi.
Questa legge fondamentale della fisica fu scoperta da Galileo Galilei ed esposta come valida in tutta generalità nel suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, l’opera che, affermando la supremazia del sistema cosmologico eliocentrico (copernicano) sul sistema geocentrico (tolemaico), gli avrebbe dato imperitura fama ma avrebbe anche causato la nota condanna per eresia. Galileo illustra il principio di relatività con la magnifica pagina sugli esperimenti nel “gran navilio”, una similitudine già utilizzata quasi cinquant’anni prima da Giordano Bruno, che però non l’aveva analizzata con la stessa completezza e profondità di Galileo.
“Riserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio, e quivi fate d’aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti; siavi anco un gran vaso d’acqua, e dentrovi de’ pescetti; sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vadia versando dell’acqua in un altro vaso di angusta bocca, che sia posto a basso: e stando ferma la nave, osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della stanza; i pesci si vedranno andar notando indifferentemente per tutti i versi; le stille cadenti entreranno tutte nel vaso sottoposto; e voi, gettando all’amico alcuna cosa, non più gagliardamente la dovrete gettare verso quella parte che verso questa, quando le lontananze sieno eguali; e saltando voi, come si dice, a piè giunti, eguali spazii passerete verso tutte le parti. Osservate che avrete diligentemente tutte queste cose, benché niun dubbio ci sia che mentre il vassello sta fermo non debbano succeder così, fate muover la nave con quanta si voglia velocità; ché (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti, né da alcuno di quelli potrete comprender se la nave cammina o pure sta ferma.”
Il motivo fondamentale per cui Galileo sente il bisogno di enunciare il principio di relatività è che una delle più forti obiezioni mosse dai sostenitori del moto del Sole e della staticità della Terra è che se la Terra ruotasse su sé stessa ce ne accorgeremmo. La rotazione della Terra fa sì che in Italia ci spostiamo con una velocità di circa 1200 chilometri all’ora da ovest verso est. Com’è possibile non percepire tale velocità? Un illustre oppositore di Galileo, Lodovico delle Colombe, scrive che l’ipotesi del moto della Terra è contraria al buon senso:
“Una artiglieria volta con la bocca verso oriente, secondo il corso della Terra, dandoli fuoco, [manderebbe] la palla poco spazio lontana: poiché, mentre la palla è fuora sospesa nell’aria, la Terra porterà con tanta velocità l’artiglieria dietro a essa palla, che avanti la sua caduta sarà dall’artiglieria raggiunta.”
E Galileo gli risponde col suo stile ironico:
“Meglio era dire che la non si potrebbe scaricare, perché la Terra porta l’artiglieria dietro alla palla: ed è meraviglia che altri possa orinare, correndo noi così velocemente dietro all’orina; o almanco ci doveremmo orinare giù per le ginocchia.”
Ma come mai la teoria della relatività è così importante?
La fisica ambisce a capire l’universo. Il problema è che noi facciamo parte del sistema che vogliamo comprendere. Come aggirare questo ostacolo? La soluzione risiede in quello che in matematica e fisica chiamiamo simmetria. Non occorre capire tutto l’universo: basta capirne solo una parte, a patto che siamo sicuri che il resto sia una replica della porzione che ci è concesso studiare, e obbedisca alle stesse leggi. Questo è il concetto che viene formalizzato dal principio di simmetria.
Diciamo che una figura, una struttura, un motivo ornamentale possiedono una simmetria se una qualche trasformazione spaziale, quale una traslazione, una rotazione, una riflessione rispetto a un punto, un asse, un piano, lascia invariate le relazioni reciproche fra gli elementi della struttura. Al concetto di simmetria, che è indissolubilmente legato a quello di invarianza, sono connessi quelli di regolarità, uniformità, ordine, armonia, concetti questi che hanno ispirato la scienza e l’arte fin dalla Grecia classica. A questi criteri di armonia la natura sembra inspiegabilmente rispondere.
Un primo concetto di invarianza, e quindi di simmetria, è la cosiddetta simmetria traslazionale. Le leggi della fisica sono le stesse in tutti i luoghi dell’universo. Se non assumessimo questo principio lo studio della fisica avrebbe ben poco senso: un ricercatore che compie i suoi studi nel piccolo paese di Cencenighe in provincia di Belluno potrebbe ricavare leggi fisiche diverse da un collega che compie le sue ricerche a Parigi. Oggi sappiamo che, entro la precisione delle nostre misure, le leggi della fisica sono le stesse su tutta la Terra e nel sistema solare: il collega di Cencenighe non avrebbe bisogno di spostarsi a Parigi per fare i suoi studi. Possiamo estrapolare questa evidenza e dire che le leggi della fisica sono le stesse in tutto l’universo? Pensiamo di sì e non abbiamo indicazioni contrarie, anche se la porzione di universo che finora abbiamo esplorato corrisponde solo al Sistema Solare, che ha una dimensione migliaia di miliardi di volte più piccola di tutto l’universo.
Ho appena descritto la simmetria di traslazione: se io traslo, cioè mi sposto, in un altro luogo, le leggi della fisica restano le stesse. Nessun sistema di riferimento è privilegiato fra quelli legati da una traslazione. Se l’universo è simmetrico per traslazione, allora non dobbiamo andare sul pianeta Urano per studiarne le leggi fisiche: possiamo anche restarcene tranquilli sulla Terra. Se l’universo è anche simmetrico per rotazione, ossia, come si dice in termini tecnici, isotropo, allora per conoscerlo tutto ci basta studiarne una piccola parte. In uno dei miei esperimenti preferiti, due astrofisici, Piero Madau e Lucia Pozzetti, hanno selezionato un piccolo cono di spazio profondo da osservare con il telescopio Hubble. Poiché l’universo è isotropo, quindi uguale in ogni direzione lo guardiamo, questo piccolo cono, seppur miliardesimi di volte più piccolo dello spazio intero, è rappresentativo dell’intero universo.
“La teoria della relatività è stata enunciata nella sua forma moderna da Galileo Galilei, e la sua prima verifica risale a quattrocento anni fa”.
Un’altra simmetria importantissima è la simmetria temporale: pensiamo che le leggi della fisica siano state le stesse dall’inizio del tempo e lo saranno fino alla fine del tempo. Se così non fosse, studiare la fisica sarebbe una missione impossibile per noi umani, che viviamo meno di un centinaio di anni in un universo che è già vissuto cento milioni di volte di più.
Ed eccoci dunque al principio di relatività, un’altra simmetria legata a un’invarianza. Il punto di partenza, che risale almeno al quattordicesimo secolo (è stato enunciato in modo chiaro in quell’epoca dal “docteur Parisien” Nicolas Oresme) è che, come abbiamo detto, il movimento è sempre relativo a qualcosa. Possiamo scegliere un corpo concreto come la Terra o uno spazio astratto.
All’interno della classe dei sistemi inerziali (che abbiamo detto muoversi di moto rettilineo uniforme gli uni rispetto agli altri) le leggi della fisica rimangono invariate, cioè non dipendono dalla scelta del sistema a cui scegliamo di riferirci. Conviene allora sceglierne uno nel quale le leggi della fisica sono più semplici. Galileo individua come sistema di riferimento più semplice quello solidale con il Sole. La chiave del ragionamento è che il risultato di un esperimento non potrà mai consentire di capire se mi sto muovendo o sto fermo, perché il moto è relativo. Se io determino le leggi della fisica in un sistema di riferimento “inerziale”, le potrò determinare anche in tutti i sistemi inerziali. Conosco le leggi della fisica su un’astronave senza bisogno di andarci.
Eppure c’è stato un momento in cui la relatività è stata messa in dubbio. La teoria dell’elettromagnetismo alla fine del XIX secolo aveva mostrato l’esistenza di una velocità che era la stessa in tutti i sistemi di riferimento – la velocità della luce, indicata dal simbolo c, pari a circa trecentomila chilometri al secondo. Ma per la fisica di Galilei-Newton una velocità non può essere fissa in sistemi di riferimento in moto l’uno rispetto all’altro: le velocità si sommano. Di colpo le nostre conoscenze riguardo all’universo si scioglievano come neve al sole: bisognava rinunciare alla teoria della relatività o cambiare le leggi della fisica.
La ragione per cui se chiedeste chi ha inventato la relatività avreste come risposta “Einstein” è presto detta. È stato lui a rendere visibile una terza via: nel 1905 propone nuove leggi della fisica che consentivano di salvare il principio di relatività, spiegare la costanza della luce e incorporare le leggi dell’elettromagnetismo. Fu una revisione enorme, che richiese di rivoluzionare i concetti di spazio e tempo per come erano conosciuti. Einstein dimostrò che un intervallo di tempo non è assoluto, ma dipende dall’osservatore. La durata della vita di un uomo può apparire più lunga a un osservatore che si muove più velocemente di quest’ultimo: per l’osservatore, la vita dell’uomo scorrerebbe al rallentatore. Questo concetto era ben oltre l’immaginazione di Galileo e Newton. In seguito Einstein estese il concetto di relatività anche ai sistemi in moto generico, quindi non solo rettilineo e uniforme; si trattava della cosiddetta relatività generale. Infine, poco più tardi, la fisica quantistica e la teoria dei campi tendono ancora di più i confini della simmetria: ora devono raggiungere le strutture dello spazio-tempo.
Eppure, per quanto sia complessa la struttura matematica che innerva questi sistemi, condividiamo ancor oggi la fede nell’armonia matematica dell’universo, che resiste all’esame di un’esperienza sempre più vasta e profonda e, talvolta, inspiegabilmente, anticipa le scoperte scientifiche.
Alessandro De Angelis
Alessandro De Angelis è professore di fisica sperimentale a Padova e a Lisbona. Ha fatto parte dello staff del CERN di Ginevra. Ha concepito e realizzato con la NASA e l’Istituto Max Planck di Monaco importanti esperimenti sui raggi cosmici. Come addetto scientifico della rappresentanza presso le organizzazioni internazionali a Parigi, conduce per l’Italia la discussione sulla regolamentazione dell’intelligenza artificiale all’interno dell’OCSE. Oltre al suo lavoro scientifico, ha pubblicato alcuni testi divulgativi. Il suo ultimo libro è L’universo nascosto (Castelvecchi, 2024).
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