La luce artificiale ha colonizzato la notte - Lucy
articolo

Camilla Capasso

La luce artificiale ha colonizzato la notte

22 Ottobre 2024

Osservare il cielo notturno è sempre più difficile, non solo in città. Ma oltre a togliere mistero alle nostre sere, l'inquinamento luminoso ha effetti dannosi per gli ecosistemi e per la salute umana. Nonostante ciò, se ne parla ancora pochissimo.

Fatta eccezione per alcuni sporadici puntini luminosi ancora visibili, il cielo notturno nelle aree metropolitane ha ormai l’aspetto di un lenzuolo nero lavato troppe volte. Anche fuori dai centri urbani, spesso il bagliore artificiale è così persistente e diffuso che guardare il cielo notturno, non regala comunque molte soddisfazioni.  

Per lungo tempo, l’inquinamento luminoso, ossia l’eccesso di luce artificiale che altera l’oscurità notturna, è stato principalmente cruccio di astronomi e appassionati. Per comprendere quanto poco rilevante fosse il problema fino a pochi anni fa, basti considerare che lo Sky Quality Meter (SQM) – il principale strumento utilizzato oggi per misurare la qualità del cielo notturno – fu introdotto solo all’inizio degli anni Duemila.

Anche in Italia, la questione dell’inquinamento luminoso è stata a lungo considerata di scarsa importanza. “Negli anni Ottanta,” ha ricordato Fabio Falchi, Presidente dell’associazione CieloBuio, durante il suo discorso di insediamento nel 2008, “proposi alla principale rivista di cultura astronomica di allora una raccolta di firme per portare il problema [dell’inquinamento luminoso] all’attenzione dei politici. Mi risposero che lo sforzo sarebbe stato vano.” In effetti, dovrà passare almeno un altro decennio prima che se ne cominci a parlare seriamente anche nel nostro Paese.

Oggi il problema è più sentito e in modo trasversale. Sono aumentati gli studi sugli effetti che l’inquinamento luminoso ha sulla nostra salute e su quella degli ecosistemi, ma è maturata anche la nostra sensibilità rispetto al consumo di risorse e agli sprechi. Eppure, nonostante gli enormi passi avanti, i livelli di inquinamento luminoso continuano ad aumentare. Stiamo perdendo la notte. 

“Fatta eccezione per alcuni sporadici puntini luminosi ancora visibili, il cielo notturno nelle aree metropolitane ha ormai l’aspetto di un lenzuolo nero lavato troppe volte”.

In Europa, l’eccessiva illuminazione è diventata un problema a partire dal boom economico. Mentre le città si trasformavano, accogliendo un crescente numero di persone e attività economiche, l’illuminazione artificiale ha smesso di avere solo utilità urbanistica per diventare un potentissimo strumento pubblicitario. In Night As Frontier: Colonizing the World After Dark, l’antropologo americano Murray Melbin sostiene che con l’arrivo dell’illuminazione artificiale la notte sia diventata un nuovo territorio da colonizzare, trasformandosi da un momento tradizionalmente associato al riposo e al pericolo, in un nuovo dominio per l’attività umana. L’introduzione dei LED, più recentemente, ha fatto il resto, abituandoci a luci sempre più brillanti.

L’inquinamento luminoso, oggi, si può misurare in vari modi. Lo strumento principale, lo Sky Quality Meter, misura la luminosità del cielo in unità di magnitudini per secondo d’arco quadrato (mag/arcsec²). Per farla semplice, maggiore è il valore misurato, più buio è il cielo. Un cielo incontaminato ha un valore attorno ai 21-22 mag/arcsec², mentre nei centri urbani fortemente illuminati i valori sono molto più bassi.

Grazie alle misurazioni compiute negli anni usando anche immagini satellitari, oggi sappiamo che l’inquinamento luminoso interessa l’80% della popolazione mondiale, una percentuale che sale al 99% se ci si concentra solo su Europa e Nord America. Tra questi, l’Italia è uno dei Paesi al mondo con il più alto livello di inquinamento luminoso. Se si apre la mappa di Light Pollution si vedrà la maggior parte del territorio italiano – soprattutto Nord Italia e Pianura Padana – accendersi di rosso, al pari di città come Shanghai o Seul. A livello europeo, il nostro consumo di energia elettrica per l’illuminazione pubblica è il doppio della media. 

A quella pubblica, c’è poi da aggiungere l’illuminazione privata: negozi, palazzetti dello sport e capannoni industriali incidono drasticamente sui livelli di inquinamento luminoso. “Non è una questione tecnologica e nemmeno normativa,” spiega Mario Di Sora, Presidente della sezione italiana dell’International Dark Sky Association e responsabile del settore inquinamento luminoso all’interno dellUnione Astrofili italiani. “Il problema è prima di tutto culturale: le tecnologie per limitare l’inquinamento luminoso esistono, le leggi – almeno a livello regionale – ci sono. Il problema è che non le si vuole rispettare perché la visibilità notturna, soprattutto quando si parla di negozi e attività commerciali, ha anche una finalità promozionale. È una smania di farsi vedere, più che una questione di sicurezza.”

Eppure è spesso  il tema della sicurezza il principale argomento avanzato da chi richiede maggiore illuminazione. L’idea che più luce significhi meno criminalità per le strade è talmente radicata che tende a essere considerata vera a prescindere. Al contrario, però, non solo non ci sono prove scientifiche o statistiche che dimostrino la fondatezza di questa correlazione, ma ne esistono molteplici che suggeriscono l’opposto. Il primo studio rilevante sul tema dell’illuminazione stradale, il Chicago Alley Lighting Project, risale agli anni Duemila: gli autori dello studio notarono che, in alcune aree della città, aumentare la luminosità pubblica portava ad un aumento della criminalità. Se da un lato, ciò era dovuto ad una maggiore visibilità dei crimini stessi, che quindi venivano denunciati più spesso dalla cittadinanza, dall’altro i ricercatori conclusero anche che le aree illuminate in modo intenso facilitavano l’individuazione di potenziali vittime. 

I risultati della ricerca aiutarono a stabilire che una maggiore illuminazione non significava necessariamente minore criminalità, ma anche che un’eccessiva illuminazione poteva provocare l’effetto opposto.   

Un esperimento simile venne condotto anche in alcuni comuni del Regno Unito; ne risultò che diminuire l’intensità dell’illuminazione urbana o addirittura spegnere alcune sorgenti luminose nelle ore centrali della notte, non modificava in alcun modo i tassi di criminalità.

L’illuminazione stradale funziona in modo analogo: più luce non significa necessariamente meno incidenti stradali. Nel 2007 in Francia, a seguito di un furto di cavi elettrici nell’Ile-de-France, alcuni tratti dell’autostrada A15 rimasero al buio. Si decise allora di testare la correlazione tra illuminazione e incidenti stradali e il risultato fu che, per i successivi 3 anni, venne registrato un calo del 30% degli scontri automobilistici nel tratto di strada meno illuminata. Sulla base dei risultati ottenuti, si decise di modificare l’illuminazione anche nel resto del tratto stradale. “L’iper-illuminazione delle strade porta gli automobilisti ad aumentare la velocità, perché si sentono più sicuri,” spiega Mario Di Sora. “Quello che succede è che le strade troppo illuminate diventano praticamente delle piste da corsa e il numero di incidenti sale.”

La luce artificiale ha colonizzato la notte -

Nessuno degli studi in merito vuole sostenere che l’illuminazione pubblica o stradale non serva – è improbabile che una strada buia di notte si riveli una scelta urbanistica particolarmente saggia. Quello che ci dicono questi studi però è che, più che di una maggiore illuminazione, ciò di cui avremmo davvero bisogno è una migliore illuminazione. Installare sistemi intelligenti, a tempo o con sensori di movimento ad esempio, permetterebbe di ottimizzare l’uso della luce, riducendo drasticamente gli sprechi. Così come anche la scelta di luci meno brillanti e più soffuse. In questo modo, le città possono agire sui livelli di inquinamento luminoso, creando spazi notturni più vivibili e meno invasivi. 

Come ci tiene a precisare Di Sora, poi, nella maggior parte dei casi l’inquinamento luminoso si potrebbe contenere semplicemente riposizionando le luci esistenti in modo che il cono luminoso non punti verso il cielo. Un esempio comune sono le luci decorative che illuminano palazzi e monumenti, i cui fasci sono spesso scenicamente puntati verso l’alto, “nonostante molte norme regionali lo vietino,” aggiunge Di Sora.

In effetti le norme a livello regionale esistono, il problema è riuscire ad eseguire controlli regolari sugli impianti sovrailluminati. Ma anche – e per questo servirebbe una legge nazionale  – armonizzare i criteri di regolamentazione e applicazione in modo che non esistano differenze tanto grandi tra le singole regioni. 

Associazioni come l’Unione Astrofili Italiani, che da moltissimi anni fa informazione sull’argomento, ma anche Dark Sky International Italia, sperano che i più recenti studi sugli effetti dell’inquinamento luminoso possano aiutare a sensibilizzare le persone sul tema. La questione non riguarda  più esclusivamente ricercatori e astrofili: non si tratta solo di non riuscire ad effettuare osservazioni astronomiche o a godersi un cielo stellato. Tra gli effetti ormai accertati dell’inquinamento luminoso, ad esempio, c’è lo sconvolgimento dei ritmi circadiani, i meccanismi che regolano i ritmi fisiologici umani (e non solo) in base all’alternanza di luce e buio. Questo sconvolgimento provoca insonnia, e stress. Diversi studi hanno dimostrato che l’esposizione alla luce artificiale nelle ore notturne può indurre comportamenti depressivi sia in animali diurni che notturni, compresi gli esseri umani. Sebbene i meccanismi alla base di questi effetti non siano ancora chiari, i risultati ottenuti fino ad ora suggeriscono che possano dipendere da un’influenza diretta della luce artificiale sulla regolazione dell’umore e dall’interruzione del ritmo circadiano. 

La luce blu, emessa soprattutto dai LED, è particolarmente dannosa perché sopprime la produzione di melatonina, l’ormone che regola il sonno. L’American Medical Association ha dichiarato che le lampade LED bianche hanno un impatto cinque volte maggiore sui ritmi circadiani del sonno rispetto ai lampioni tradizionali. Recenti indagini su larga scala hanno rilevato che a un’illuminazione notturna residenziale più luminosa sono associati tempi di sonno ridotti, insoddisfazione per la qualità del sonno, eccessiva sonnolenza e sviluppo di malattie croniche.

L’interruzione della produzione di melatonina, inoltre, è stata associata anche a un aumento del rischio di tumore, in particolare quello al seno. In Francia, ad esempio, il lavoro notturno è stato classificato come fattore di rischio proprio per l’incidenza di tumori al seno nel personale sanitario soggetto ai turni notturni. L’aumento dell’inquinamento luminoso e l’iper-illuminazione delle città, oltre a sconvolgere i nostri ritmi circadiani, ci espone anche a una serie di rischi per la salute che, solo da poco, stiamo iniziando a comprendere.

Guardare al mondo animale, in questo senso, può aiutarci a capire gli effetti – anche domino – dell’inquinamento luminoso. Non stiamo privando della notte solo  noi stessi, ma  tutti gli ecosistemi che illuminiamo. 

Gli uccelli migratori che utilizzano le stelle per orientarsi durante i loro spostamenti, ad esempio, sono sempre più disorientati dalle luci artificiali, soprattutto nelle aree urbane. Questo provoca deviazioni dalle loro rotte naturali, incidenti e collisioni con edifici o altre strutture illuminate. Molti insetti sono inesorabilmente attratti dalle luci artificiali. Questo comportamento riduce la loro capacità di trovare cibo, riprodursi e compiere altre attività essenziali, portando a un declino della popolazione che ha poi altri effetti a catena sulla fauna notturna che di insetti si nutre. 

“Per molto tempo non c’è stata una correlazione diretta e immediata tra l’inquinamento luminoso e la salute dell’uomo, come quella che esiste con l’inquinamento dell’acqua e dell’aria,” spiega Di Sora. “Per questo l’inquinamento luminoso è stato sottovalutato. Per tanti anni, poi, è stata una preoccupazione  solo di astronomi e astrofili, per cui la gente pensava che il problema fosse solo l’osservazione delle stelle.” Oggi sappiamo che le cose sono diverse, tuttavia manca ancora la volontà politica di trattare l’inquinamento luminoso con la stessa serietà riservata ad altri tipi di impatto ambientale, e quindi di introdurre normative adeguate per affrontarlo in modo efficace.

Al netto degli effetti dannosi dell’inquinamento luminoso sulla salute umana, sugli ecosistemi naturali e sulla possibilità di osservare il cielo notturno nella sua immensa profondità, forse è anche arrivato il momento di chiederci perché abbiamo bisogno di così tanta luce.

“Per lungo tempo, l’inquinamento luminoso, ossia l’eccesso di luce artificiale che altera l’oscurità notturna, è stato principalmente cruccio di astronomi e appassionati”.

La notte, sostiene l’antropologo Murray Melbin, è diventata una risorsa essenziale per la società moderna, in particolare nel contesto di un’economia a 24 ore, dove il tempo è considerato merce. Ma alcuni sono arrivati anche oltre. Seppure in modo provocatorio, l’autore Leon Kreitzman nel suo libro The 24 Hour Society scriveva: “Qualcuno vorrebbe ripensare completamente l’uso del tempo, passando a giornate di 28 ore. Il lunedì verrebbe eliminato, perchè tutti odiano il lunedì. La settimana lavorativa sarebbe quindi composta da quattro turni di 10 ore con un fine settimana di 56 ore. Il giovedì potrebbe essere un problema, essendo buio per la maggior parte del giorno, ma, come suggeriscono gli ideatori di questa teoria, il giovedì potrebbe essere utilizzato per i lavori stradali.”

Ironia a parte, la “colonizzazione della notte”, come la chiama Melbin, non ha solo conseguenze biologiche ma anche sociali e culturali. Il ciclo del giorno e della notte è uno degli aspetti più prevedibili del pianeta Terra: ha svolto un ruolo fondamentale nell’evoluzione della vita cellulare e ha plasmato le culture umane arricchendole di significati, simbolismi e riflessioni. Per molti versi, siamo fatti di giorno e di notte. Cancellare completamente questa dualità, in favore di un modo sempre più illuminato –  quindi sveglio, attivo e produttivo – davanti a quale futuro ci pone?

Camilla Capasso

Camilla Capasso scrive di cambiamenti climatici, accesso alla terra e sicurezza alimentare per organizzazioni internazionali, ONG e agenzie delle Nazioni Unite.

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