"The Voice of Hind Rajab" è la voce di Gaza - Lucy sulla cultura
articolo

Nicola H. Cosentino

“The Voice of Hind Rajab” è la voce di Gaza

04 Settembre 2025

Il nuovo film di Kaouther ben Hania, su una bambina palestinese uccisa dall’IDF, è il primo vero scossone della Mostra del Cinema. E un credibile favorito per il Leone d’Oro.

Di tanto in tanto, chi parla di film – ma anche di libri, di musica, di teatro – dovrebbe fare il tagliando agli aggettivi che usa. “Urgente”, per esempio: è un’espressione talmente sfruttata che non significa quasi più nulla. Negli anni ha perso potere e bellezza, finendo per diventare la parodia di se stessa (con questo intento, la adopera efficacemente Pietro Marcello nel suo Duse, altro film passato a Venezia negli ultimi giorni, uno dei più belli). Quindi, per non fare un torto a Kaouther Ben Hania – regista tunisina nota soprattutto per L’uomo che vendette la sua pelle e il documentario Quattro figlie, entrambi candidati all’Oscar – diremo che il suo The Voice of Hind Rajab è un film puntuale. Il più puntuale visto finora all’ottantaduesima Mostra del Cinema, almeno fra quelli in concorso. Non solo perché parla della cosa a cui tutti, oggi, con diversi gradi di coinvolgimento, stiamo pensando – Gaza –, ma anche perché era da giorni che al Lido si aspettava un film capace di sconvolgere; dopo tanto buon cinema inoffensivo – con l’eccezione, forse, di Il testamento di Ann Lee di Mona Fastvold, spettacolare nella messa in scena ma incapace sul finale di sostenere la propria ambizione – The Voice of Hind Rajab è riuscito nell’intento di scuotere e impensierire la platea. Riscattando così una selezione che, pur di qualità, sembra voler compiacere lo spettatore, e guardare al Leone d’Oro soprattutto come anticamera degli Oscar.

Tratto da una storia vera, il film di Ben Hania è un resoconto quasi in tempo reale del tentativo, da parte dei volontari della Mezzaluna Rossa – l’equivalente, nei paesi di tradizione islamica, della Croce Rossa –, di salvare una bambina palestinese da un attacco dell’esercito israeliano. La bimba, Hind Rajab, sei anni, si nasconde dai soldati dell’IDF  tra i rottami di un’automobile, circondata dai cadaveri dei suoi zii e dei suoi quattro cugini. I volontari Omar (Mataz Malhees) e Rana (Amer Hlehel) la intrattengono al telefono, cercando di rassicurarla, mentre il supervisore Mahdi (Amer Hlehel) lavora per avere la certezza che il percorso che la separa dall’ambulanza più vicina sia sicuro, e che l’esercito non attacchi i soccorritori. Ma la trafila burocratica per ottenere l’autorizzazione a procedere è lunga, delicatissima, a tratti assurda, e rende la telefonata più dolorosa di quanto già non sia, fino alla sua tragica conclusione. 

“Tratto da una storia vera, il film di Ben Hania è un resoconto quasi in tempo reale del tentativo, da parte dei volontari della Mezzaluna Rossa – l’equivalente, nei paesi di tradizione islamica, della Croce Rossa –, di salvare una bambina palestinese da un attacco dell’esercito israeliano”.

Per girare il film, Ben Hania è ricorsa ai veri file audio della conversazione fra la bambina e i volontari della Mezzaluna Rossa. Il risultato è emotivamente devastante, ma può anche suscitare qualche perplessità etica, se ci si ferma a pensare che sulla registrazione è imbastito un film di finzione inevitabilmente velato di elementi melodrammatici e adrenalinici. Comunque sia, The Voice of Hind Rajab è sorretto dalla vera voce di Hind Rajab, a cui la regista ha voluto dare una risonanza capace di sormontare la cronaca: quella dell’arte. “Le vittime civili di Gaza sono considerate, dall’esercito israeliano, ‘danni collaterali’” ha detto Ben Hania in conferenza stampa. “Ma erano persone. Ed è per dare loro un volto e una voce, che l’arte e il cinema diventano fondamentali. L’arte è il modo migliore per risvegliare l’empatia”. E l’empatia è, in effetti, protagonista dello scambio di battute più interessante del film, quello fra Omar, il volontario che per primo ha risposto alla bambina, e Mahdi, il suo collega incaricato di organizzare il coordinamento dei soccorsi: quando il secondo, disperato, decide di mettere sui social le registrazioni della telefonata, nella speranza che l’indignazione dell’opinione pubblica solleciti la cooperazione di Israele, Omar gli mostra con rabbia il proprio smartphone e dice: “Qui è pieno di bambini morti. Nessuno ci fa più caso. Non ci serve l’empatia, serve un’ambulanza”. 

È vero: i social sono pieni di bambini morti, e nessuno ci fa più caso. E anche per questo The Voice of Hind Rajab è un film importante, che al Lido è stato accolto da subito con affetto e commozione: perché ricorda l’impatto che il cinema può avere sul presente, mentre la Storia si svolge, e lo fa nell’ambito di una Mostra in cui l’arte sembrava, finora, deputata a suscitare esclusivamente una familiare meraviglia, ma non sgomento o indignazione. E questo potere, ha ragione Omar, i social non ce l’hanno, perché sono il luogo dell’accumulo e della distrazione, in cui tutto sembra urgente nella sua accezione più vuota, e di conseguenza ciò che lo è davvero smette di interessarci, persino di essere visto. Mentre il cinema è e deve essere il luogo della concentrazione e della scelta. Ecco, questo film così scarno ed essenziale – tutto ambientato intorno a una scrivania – e per certi versi ingenuo – a volte enfatico e ricattatorio, sebbene non serva: a straziare lo spettatore bastano i fatti – restituisce un senso a tutto quello che lo circonda: una sala cinematografica, la volontà di entrarci e condividere l’esperienza con altri, la celebrazione accorata del cinema, la sua utilità, le sue prospettive.

All’uscita dalla proiezione per la stampa, dove i giornalisti avevano appena tributato al film un applauso convinto e duraturo, una tv araba ha provato a fare delle interviste a caldo, incassando molti rifiuti: in tanti avevano la voce rotta, erano troppo scossi parlare o in lacrime. Qualche ora dopo, in Sala Grande si è ripetuta la stessa atmosfera, con un applauso lunghissimo, di circa 22 minuti. La capacità di suscitare il pianto di tanti non è un indicatore della qualità di un film, certo, ma del suo impatto sì. A una giornalista che chiedeva se ci fosse stato un momento in cui le lacrime che si vedono sullo schermo erano sincere e non recitate, l’attore Amer Hlehel ha risposto “Un momento? Uno solo?”. Il resto del cast ha confermato che si è pianto sempre, davanti e dietro la cinepresa. Un’immagine che dice tanto dell’unicità di questo film e del suo inevitabile potere sul pubblico. A oggi, The Voice of Hind Rajab sembra il più forte concorrente per il Leone d’Oro. Di sicuro è un film memorabile.   

Nicola H. Cosentino

Nicola H. Cosentino è scrittore, critico letterario e editor di Lucy. Collabora col «Corriere della Sera». Il suo ultimo romanzo è C’è molta speranza (ma nessuna per noi) (Guanda, 2025).

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