Lavoratori dell’AI, unitevi (prima che sia troppo tardi) - Lucy sulla cultura
articolo

Giorgia Moretto

Lavoratori dell’AI, unitevi (prima che sia troppo tardi)

Zagarolo non è certo un posto frenetico: è un paese a sud di Roma, con case di pietra, Fiat Panda 4×4 e anziani buttati su sedie monobloc bianche. Enrico Cerruti a Zagarolo ci vive, ha un figlio di cinque mesi e di lavoro fa il bot-trainer, ovvero:  istruisce intelligenze artificiali. 

“È vero che ho 35 anni, ma sono nato col computer in mano”, racconta, quasi a dirsi vecchio – o non abbastanza giovane per il lavoro che fa. Ha iniziato a fare il bot-trainer a dicembre 2024, quando è stato contattato su Linkedin da un profilo privato; all’inizio, temeva fosse una truffa. Poi, spiega “mi sono reso conto che non era uno scam. Le persone che già lo facevano ne parlavano molto bene, i guadagni erano reali”. Così comincia la sua carriera su Outlier, piattaforma internazionale di training per chatbot: la scuola media dell’AI. Man mano che porta a termine task – singoli compiti linguistici con cui istruire il modello di calcolo – Enrico capisce qualcosa in più di quella tecnologia invisibile: “non ho mai avuto a che fare con una persona direttamente”, né in fase di colloquio, né dopo. A differenza di altre piattaforme, su Outlier, descritta come “un deposito di forza lavoro, venduta a clienti ignoti”, c’è una gerarchia piramidale. I cosiddetti Q-manager, supervisori virtuali dei progetti, hanno qualche potere in più e qualche obbligo in meno rispetto ai trainer, ma sopra questi due gradini nessuno sa com’è fatta la cima.

Annie, Eleonora, Antonio ed Enrico non sanno per chi o a cosa lavorano, ma sanno che da qualche parte in Italia un Q-manager può decidere delle sorti delle loro future trascrizioni. “Dal 6 dicembre 2024 a oggi, 3 febbraio 2025, ho guadagnato 502 dollari”, commenta il giovane padre davanti a una cameriera sbigottita; per l’occasione si è recato alla sua tavola calda preferita, dove ama lavorare. Nonostante segua moltissime task, non riesce a mantenere nemmeno se stesso con questo lavoro: ne ha altri due. “Le mie trascrizioni devono durare diciotto minuti, posso anche metterci più tempo, ma la paga è dimezzata”. Eleonora è laureata in Biotecnologie, di solito lavora su progetti più complessi, pagati – poco – di più, ma che non devono mai superare i cinquanta minuti. Reclutata su Linkedin per una posizione di autrice bilingue italiano-inglese, ha passato i test su Data Annotation a giugno 2024, e ha cominciato il lavoro qualche mese dopo. Racconta che “è un lavoro sempre e solo a progetto, quindi capita di aspettare a lungo”. La vaghezza dei contesti lavorativi dà spazio a speculazioni: “chi recluta non fornisce contratto, né prova alcuna che tu sia stato assunto; anche perché, tecnicamente, non lo sei”.

Il commercialista di Eleonora non è stato in grado di registrare i pagamenti per le mansioni svolte dalla ragazza, transitati su Paypal e provenienti dal Delaware, paradiso fiscale negli Stati Uniti. Le ha chiesto quanto guadagnasse in media in un anno, ma lei non sapeva se sarebbe stata confermata oltre l’estate: “si può perdere l’accesso ai progetti senza preavviso, ed è difficile capire persino se si è stati estromessi dalla piattaforma”. Le aziende, con sedi legali estere e costi azzerati, reclutano sui social, promuovendo il bot-training a tempo pieno, “lo pubblicizzano come un full time da casa, facile e remunerativo, ma non parlano della volatilità, non dicono quanto saltuario sia e quali le paghe reali”, mi racconta Eleonora in videochiamata dalla sua stanza a Taranto vecchia. Ci sono stati periodi in cui facevano nottata, lei e i colleghi sparsi nel metaverso, tutti con un nickname, sulla chat della community: un luogo sospeso nella nullità cosmica, in cui i lavoratori si fanno compagnia, si confortano tra loro per sfuggire alla solitudine e all’alienazione del loro lavoro. “In questa chat ci aiutiamo tra noi; tutti si mettono sui progetti, fanno domande, e magari si fa notte al computer assieme. Poi, il lavoro finisce e il giorno dopo si ricomincia”. Timidamente, Eleonora domanda se a Roma faccia caldo come a Taranto.

Antonino Treppiedi avrebbe bisogno del suo sole siculo, mi fa sapere dal settimo piano dell’appartamento in cui vive, in zona Porta Venezia a Milano. Da settembre 2024 istruisce AI generative – come ChatGPT – e tenta di mantenersi così: “i primi mesi andava bene, guadagnavo in pigiama. Ma io non sono un loro dipendente” dice, riferendosi a Data Annotation.  “Lavoro anche per Outlier e Crowdgen, sempre senza contratto. Lo faccio a tempo pieno, ma devo arrotondare con qualcos’altro”. Può passare anche 25 ore filate al computer a lavorare ma “non sono le 25 ore a settimana dell’ufficio dove lavora mia mamma”, che fa la contabile e lo aiuta a districarsi nei vuoti legali del settore del bot-training. Quando è in fase calante, la chiama così, deve per forza inventarsi altri mestieri: ha capito che, quando sta bene e riesce a riposare un po’, non sta lavorando abbastanza.

Le paghe sono calcolate su base oraria e vengono erogate a una settimana dal termine della prestazione; variano in base al progetto ma, Antonino ne è certo, che siano diciotto o venti dollari l’ora, la paga grava tutta sulle sue spalle. Data Annotation, Outlier, Stellar e altre aziende simili fanno firmare ai lavoratori un non disclosure agreement, un accordo di segretezza e non divulgazione: “non possiamo dire cosa facciamo tutto il giorno”. Antonino è certo che i suoi datori di lavoro, chiunque essi siano, si approfittino della sua condizione: non avere colleghi, non potersi confrontare con nessuno, rende più difficile avanzare richieste o lamentele. Anche perché non saprebbe a chi farle, queste richieste. Anche Antonino è costretto a lavorare di notte: alle otto di sera esce un unico progetto “e devi essere veloce a prenderlo prima degli altri. Poi, ti metti lì e vai avanti fino alle due, tre di notte”.

Enrico vorrebbe che ci fossero progetti esclusivi per chi lavora di notte, “ho un figlio piccolo, non posso stare al computer tutte quelle ore la notte. Ma di giorno le task sono già finite”. C’è anche chi preferisce lavorare la notte; indica sullo schermo una chat di Outlier e continua: “questi hanno appena scritto che stanotte stanno a lavorare. Io non lo posso fare”.

“Le paghe sono calcolate su base oraria e vengono erogate a una settimana dal termine della prestazione; variano in base al progetto ma, Antonino ne è certo, che siano diciotto o venti dollari l’ora, la paga grava tutta sulle sue spalle”.

Davide Ganito, programmatore senior e socio di VAS, startup milanese di soluzioni digitali e simulazioni orientate all’apprendimento, è convinto che sia necessario  “insegnare alla gente a diventare hacker”; c’è troppa distanza tra chi è destinatario della tecnologia e chi la progetta, anzi: “una volta il mestiere di programmatore non poteva prescindere dalla matematica. Adesso non ti serve nemmeno saper contare”. Lo pensa anche Stefano Borroni Barale, per il quale  “l’intelligenza artificiale non è intelligente. Noi siamo intelligenti”. Fisico teorico, è stato ricercatore nel progetto EU-Data Grid e ha lavorato per l’Istituto nazionale di fisica nucleare; formatore sindacale all’International Labour Organization di Ginevra, oggi insegna in un istituto tecnico del torinese. Barale parla dei cosiddetti large language models, come ChatGPT o OpenAI: “A cosa servono? Ce lo dicessero dalla Silicon Valley. Di sicuro, creano stupore”, commenta. Non siamo abituati a contemplare la possibilità che qualcosa parli senza possedere un’intelligenza propria e questo comporta, secondo Barale, una grande novità: la perdita di senso nelle conversazioni. “ChatGPT risponde bene alle domande degli utenti perché ci sono io a sistemare le cose”. In verità, non sempre i bot rispondono puntualmente; per lo più copiano e rimasticano parole acquisite da precedenti domande.

Quando un’AI generativa dichiara “sto pensando”, per Barale “sta bluffando”: quello che sta facendo – invece di pensare – è allargare o il contesto, passandolo da un primo giro di parole a un secondo, più ampio, per ottenere una risposta più coerente, ma “da qui a pensare, ce ne passa”. Anni fa il mercato dei large language models coinvolgeva lavoratori a bassissima competenza nel Sud del mondo; oggi si è espanso anche al cosiddetto Nord, fino a raggiungere Zagarolo, Taranto, Milano. Lo attesta il report ILO 2023, Generative AI and Jobs. Anni fa, Borroni Barale sperava si potesse impostare un altro tipo di rapporto con le tecnologie, rifacendosi al pensiero di Ivan Illich, secondo il quale la componente tecnologica dev’essere concepita in modo comunitario e utilizzata in funzione strumentale: non l’umano adeguato alla macchina, bensì la macchina al servizio dell’umano. Ora, però, pensa non sia più possibile: “se non posso usare l’AI nella scuola di provincia dove insegno, coi computer del PNRR, e i ragazzi non imparano a usarla , il problema sta nel sistema, non nella tecnologia. Bisogna cambiare sistema”.

I numeri del lavoro digitale europeo

565mila persone, nel 2022, hanno lavorato su piattaforme digitali. Secondo il primo report sperimentale Istat sul lavoro digitale, le persone residenti in Italia a lavorare su piattaforme sono state il 3 percento del campione europeo di 17 Paesi. Il 22,3 percento ha utilizzato due piattaforme per svolgere la stessa attività e il 10,1 percento ha svolto più attività su più piattaforme. La creazione di contenuti per social media e i servizi informatici sono state tra le maggiori occupazioni digitali; l’impegno orario lavorativo è rimasto molto basso: otto individui su dieci hanno lavorato meno di 20 ore in un mese, in linea con la quota di guadagno, che, per più di due individui su tre ha corrisposto al massimo alla metà del loro reddito complessivo di quel mese. Nel 2024 la spesa per i servizi digitali AI è cresciuta sette volte di più rispetto all’economia complessiva statunitense – e mondiale – attesta l’International Data Corporation. In linea con le stime finanziarie, il report ILO 2023 sul lavoro digitale conferma un aumento occupazionale globale nei Peasi a medio e basso reddito pari al 14 percento. L’aumento dell’occupazione non equivale a un aumento dell’automazione e a un miglioramento delle condizioni di lavoro.

Lavoratori dell’AI, unitevi (prima che sia troppo tardi) -
Lavoratori dell’AI, unitevi (prima che sia troppo tardi) -

Giorgia Moretto

Studia giornalismo alla Scuola Lelio Basso.

newsletter

Le vite degli altri

Le vite degli altri è una newsletter che racconta di vite che non sono la nostra: vite straordinarie, bizzarre o comunque interessanti.

La scriviamo noi della redazione di Lucy e arriva nella tua mail la domenica, prima di pranzo o dopo il secondo caffè – dipende dalle tue abitudini.

Iscriviti

© Lucy 2025

art direction undesign

web design & development cosmo

sviluppo e sistema di abbonamenti Schiavone & Guga

lucy audio player

00:00

00:00