Emanuele Atturo
21 Aprile 2025
Il sistema che dipinge come criminali i calciatori coinvolti nel calcioscommesse, fa lauti guadagni grazie alle aziende di betting online: tra app, programmi televisivi, sponsor e influencer, il gioco d’azzardo è incoraggiato dappertutto.
È l’estate del 2023. Nicolò Fagioli ha 22 anni ed è uno degli esseri umani che gioca meglio a calcio in Italia. Ha esordito con la maglia della Juventus ancora minorenne, ha giocato in tutte le selezioni giovanili italiane ed è già stato convocato in Nazionale maggiore. È un centrocampista elegante, che gioca a testa alta e ha un rapporto speciale col pallone.
Oltre al calcio, però, Nicolò Fagioli ha la passione del gioco d’azzardo. Non gli basta scommettere sulle piattaforme tollerate dallo stato, e così negli ultimi anni si è esposto per 2,8 milioni di euro verso un’organizzazione criminale che gli permette di scommettere illegalmente. Fagioli gioca a poker e scommette sulle partite di calcio. Gioca di tutto, persino il numero di rimesse laterali di una partita. Solo che essendo un calciatore, scommettere sul calcio, teoricamente, gli è vietato. La sua situazione è grave e Fagioli non riesce più a vivere con questo peso. Ad agosto del 2023 va alla procura federale della FIGC e si auto-denuncia. Per lo spirito collaborativo, gli viene inflitta una squalifica di 12 mesi, di cui solo 7 effettivi, più una multa. Fagioli accetta di seguire un percorso terapeutico per venire fuori da quella che ammette essere ludopatia. Nei mesi precedenti la madre si era accorta che qualcosa non andava e gli aveva bloccato il conto.
Insieme a Nicolò Fagioli viene squalificato Sandro Tonali: centrocampista fenomenale del Milan e della Nazionale, in quelle settimane appena passato al Newcastle per 64 milioni di euro. Viene squalificato per 18 mesi, di cui 10 di assenza forzata dai campi da calcio. Tonali scommette meno di Fagioli, ma lo fa con le stesse persone.
È la primavera del 2025 e sui giornali si è tornati a parlare di questa vicenda, perché da quella indagine è nato un altro filone, in cui il coinvolgimento di Fagioli e Tonali è diverso da quanto si immaginava. I due – pare – non si limitavano a scommettere ma erano diventati praticamente dei dipendenti di queste organizzazioni criminali, facendo da “collettori”, cioè occupandosi di attirare nella rete di scommesse altri calciatori. I nomi coinvolti sono pesanti: Alessandro Florenzi, Nicolò Zaniolo, Leandro Paredes, Mattia Perin, Weston McKennie, Angel Di Maria, Raoul Bellanova, Samuele Ricci, Cristian Bonaiuto, Matteo Cancellieri, Junior Firpo. Tutti giocatori di alto o altissimo profilo.
La sede operativa dell’organizzazione era una gioielleria di Milano, dove i calciatori ripagavano i propri debiti da gioco acquistando orologi a prezzo raddoppiato oppure – come faceva Tonali – facendo finta di comprare orologi ma lasciandoli al negozio.
Diciamo subito che nessuno dei giocatori coinvolti rischia, al momento, una squalifica sportiva e per ora sono indagati solo sotto il profilo della giustizia ordinaria, anche se le conseguenze di questa indagine sono ancora tutte da capire. I giocatori coinvolti sono accusati soprattutto di aver scommesso su piattaforme illegali, e cioè non approvate dallo stato. Non è un caso, insomma, di calcioscommesse – almeno per ora.
Eppure in questi giorni si è creato un piccolo equivoco, e cioè che si tratti di un caso diverso da quello di due anni fa, come se Fagioli e Tonali ci fossero ricascati. Se ne parla, cioè, come se non avessero già scontato una squalifica e affrontato un percorso terapeutico. I media stanno raccontando la vicenda con passione morbosa per ogni dettaglio, riportando il linguaggio violento dei criminali e il clima mesto e squallido che circondava questo giro di ricatti e contro-ricatti. Un racconto non necessario su cui Fagioli è intervenuto su Instagram, chiedendo con un post che la sua vicenda venga raccontata diversamente: «Ho raccontato della mia patologia, seria, nelle scuole, ai miei familiari, agli amici e alla stampa. Quella stessa stampa che affronta spesso le problematiche gravi della mia malattia e come affrontarle, ma che oggi mi rimette alla gogna. Ancora una volta».
Dalle chat dei telefoni sequestrati possiamo leggere un messaggio di Fagioli a Marco Giordano, figlio dell’ex calciatore Bruno Giordano, che restituisce la difficoltà psicologia e la grande malinconia di tutta questa storia. Fagioli dice che ha fatto danni e che non sa più come gestirla; che alla Juventus è arrivata voce e che se scoppia la bomba lui finisce “rovinato a vita”; dice che è un problema più grande di lui, che la notte è triste e di giorno va mal volentieri al campo. «(…) è vero che non riesco più ad andare al campo felice… Perché la realtà è che ho minacce e tutto e non più tempo né niente».
C’è un buco nero di senso al centro di questa storia, che da due anni ce la fa apparire affascinante e al contempo incomprensibile. Come è possibile che alcuni dei calciatori di maggiore successo in Italia siano finiti per mettere a rischio la propria carriera e la propria fedina penale per delle banali scommesse?
Immaginiamo la ludopatia (o la “azzardopatia”, come forse andrebbe chiamata in questo caso) come un disagio sociale riservato alle fasce sociali più in difficoltà. Una valvola di sfogo e una trappola per persone che vivono ai margini, o ci si avvicinano. In questo caso invece sono coinvolti – su vari gradi – alcuni dei modelli maschili più di successo per la nostra società, persone che ci sembrano avere tutto e il cui vizio del gioco sembra più che altro l’espressione del vuoto che si porta dietro questo successo. In questi giorni leggiamo diversi editoriali che si avventurano in indagini psico-sociali del fenomeno. Non tutti di certo hanno problemi col gioco, ma sono abbastanza appassionati di scommesse da accettare di farlo illegalmente, correndo grossi rischi materiali o simbolici.
Questo vuoto di senso comincia a diventare molto più comprensibile quando apriamo gli occhi e cominciamo a far caso a quanto sia stretto il rapporto tra calcio e gioco d’azzardo. La agenzie di scommesse sponsorizzano emittenti televisive, siti dedicati al calcio, podcast, trasmissioni. Compaiono a fine primo tempo, prima della partita e dopo di essa. Sono una tappezzeria onnipresente della nostra esperienza da fruitori di sport: la partita sembra solo un intervallo tra una pubblicità di scommesse e l’altra. Anche se non si tratta esattamente di pubblicità di scommesse.
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In Italia è illegale pubblicizzare il gioco d’azzardo secondo il Decreto Dignità varato nel 2018 dal Movimento 5 Stelle, secondo cui «È vietata qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta» delle scommesse e così le agenzie sono state costrette ad adottare una serie di strategie per aggirare il decreto. Strategie che hanno dato vita a contenuti televisivi allucinanti, ai limiti del paranormale. Le “scommesse” sono diventate “pronostici”, il “gioco d’azzardo” è diventato solo “gioco”. Tutta un’area semantica eufemistica, in cui le scommesse vengono solo evocate – paradossalmente ottenendo un effetto ancora più manipolatorio (“Non pensare a un elefante rosa, non pensare a un elefante rosa!”). Prima della partita vediamo una giornalista che gira per le strade di Milano chiedendo ai passanti dei pronostici sulle partite. Tutti sorridono, nessuno parla di soldi. Poi ci colleghiamo con uno studio televisivo, la zona analisi e pronostici, in cui ex calciatori in giacca snocciolano pillole statistiche che possono essere d’aiuto per orientarsi fra le quote. I dati, la statistica, la professionalizzazione della discussione calcistica, che è una tendenza chiara degli ultimi anni, serve dunque a rivestire di presentabilità le pubblicità di scommesse. D’altronde il confine metodologico fra analisti sportivi e bookmakers è molto labile: le stesse aziende forniscono i dati grezzi alle squadre di calcio e alle agenzie di scommesse. Poi c’è il momento della “comparazione quote”, in cui viene messo a confronto quanto le varie agenzie paghino le diverse scommesse. L’AGCOM non le considera pubblicità ma “segmenti informativi”; come i vari siti di scommesse non sono tali, ma siti di news e pronostici, al massimo.
“C’è un buco nero di senso al centro di questa storia, che da due anni ce la fa apparire affascinante e al contempo incomprensibile. Come è possibile che alcuni dei calciatori di maggiore successo in Italia siano finiti per mettere a rischio la propria carriera e la propria fedina penale per delle banali scommesse?”
Il risultato è che forse non c’è mai stata tanta pubblicità per le scommesse come oggi. Il principale broadcaster di calcio della Serie A, DAZN, ha lanciato una propria piattaforma per scommettere, DAZN Bet che ha anche un nome, e cioè DAZN Fun: «la piattaforma di gioco ed intrattenimento basato su pronostici e cultura sportiva». Tutto chiaro, no?
Per riassumere, allora, sono queste due le strategie che le agenzie di scommesse hanno trovato per pubblicizzarsi senza essere punite: professionalizzazione e gamification. C’è una parte analitica e informativa, e una di competizione online. Una parte in cui usi le metriche avanzate per capire se giocare l’under o l’over di una partita; e poi c’è una parte in cui invece sfidi i tuoi amici a chi è più bravo a… fare pronostici. Una parte in cui si diventa studiosi del gioco; e una parte in cui si scommette in compagnia fra amici, per passare del tempo di qualità assieme.
Nemmeno le società di calcio potrebbero pubblicizzare aziende di scommesse, ma anche loro hanno trovato un modo piuttosto spudorato per aggirare la norma. Sulle maglie o nei contenuti social di Parma, Lecce, Torino, Inter, Lecce, Atalanta leggiamo Bettson.sport o AdmiralBet.news o BetItalyPay o LeonVegas.news. In questo caso basta aggiungere quei piccoli suffissi per aggirare la norma.
Dato questo contesto di fenomenale ipocrisia, è fisiologico che il governo di Giorgia Meloni stia provando a revocare la norma del Decreto Dignità, facendo cadere questa fragilissima foglia di fico che in questi anni ha contribuito solo a generare marchette d’avanguardia. Il 5 marzo la commissione cultura del senato ha modificato il vecchio Decreto Dignità, citando tra le motivazioni anche la sua scarsa efficaci. Dovrebbe suonarvi famigliare questa strategia: visto che non stiamo riuscendo a combattere il problema, smettiamo di combatterlo. Mancano ancora dei passaggi formali perché la cancellazione del divieto diventi effettiva, ma il primo passo è stato fatto. Un processo in cui l’Italia sembra di nuovo guardare agli Stati Uniti, dove ancora sei anni fa le scommesse sportive erano vietate dal governo federale mentre oggi il settore è sempre più deregolamentato.
Il motivo per cui queste pubblicità sono così persistenti in tutto ciò che ruota attorno al calcio dovrebbe esservi chiaro. Il gioco d’azzardo è una delle risorse più redditizie all’interno dell’economia disfunzionale del calcio, specie italiano, gonfia di costi e arida di ricavi. Una delle poche ricchezza che produce. Se è vero che i vari ricavi delle squadre negli anni sono aumentati, sono cresciuti d’altro canto anche i costi. Le scommesse in Italia valevano 2 miliardi di euro nel 2006, 8 miliardi di euro nel 2018 mentre nel 2015 ne valgono quasi 15. Questo grazie appunto a questo processo di gamification e all’accessibilità semplificata alle piattaforme. Le dinamiche pubblicitarie che abbiamo descritto hanno probabilmente avuto l’effetto opposto a quello ricercato, finendo per normalizzare il gioco d’azzardo, facendolo apparire come una cosa innocua su cui mettere alla prova la propria conoscenza del gioco.
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Oggi uno degli influencer calcistici più rilevanti in Italia è un tipster, definizione che si usa per indicare una nuova figura ambigua, prodotto del mondo di mezzo che stiamo descrivendo: un esperto di scommesse che nei suoi video offre consigli di schedine al suo pubblico. Si chiama Pengwin ed è uno che non si fa problemi auto-denunciare la natura venale del suo ruolo. In un video di qualche tempo fa era stato sincero: “Un appello a tutti i tifosi: a me non mi dovete rompere il c****. Del fatto che voi ieri avete vinto la Supercoppa, non me ne frega una ceppa. E sapete perché? Perché io quando perdo, perdo soldi, ma quando vinco, vinco i soldi. Voi che avete vinto la supercoppa ieri, non avete vinto un c****. Stamattina siete riandati a zappare la terra, domani riandrete a zappare la terra e la vostra vita non cambia, resta sempre la stessa”.
Pengwin quindi denigra apertamente il sentimento teoricamente più puro che ruota attorno al calcio, ovvero il tifo. Un sentimento troppo autentico, troppo sincero e quindi in fondo stupido. Lui si pone al di sopra di questa passione becera – mica come i soldi.
Potreste pensare che il Pengwin sia una figura ai margini dell’industria dell’intrattenimento, ma ha un podcast molto seguito insieme a un giornalista tradizionale (Sandro Sabatini), è invitato ospite spesso in altri podcast e talvolta è opinionista in format più convenzionali in qualità di esperto. Di cosa? Di analisi e pronostici, ovviamente.
Su YouTube si può trovare anche il video di una sua ospitata in un podcast in cui racconta di aver perso 38 mila euro in una settimana quando aveva diciotto anni. Lo spezzone è stato ritagliato, impacchettato e messo come teaser. È a suo modo impressionante da guardare. Mentre in sottofondo suona un pianoforte drammatico, Pengwin racconta di avere come obiettivo guadagnare cinquantamila euro per aiutare i suoi genitori ad acquistare “una casetta”, solo che poi ha finito per perderli in una settimana. Mentre racconta questo episodio immagino duro della sua vita non sembra nemmeno per un attimo volerci costruire una parabola edificante, ma sa già che sta confezionando dell’ottimo content: un titolo da sparare in caps lock, un reel da estrarre e diffondere sui social.
“Il gioco d’azzardo è una delle risorse più redditizie all’interno dell’economia disfunzionale del calcio, specie italiano, gonfia di costi e arida di ricavi. Una delle poche ricchezza che produce. Se è vero che i vari ricavi delle squadre negli anni sono aumentati, sono cresciuti d’altro canto anche i costi”.
Pengwin ripete spesso quello che dicono tutte le persone che ruotano attorno alle scommesse: “Il focus è il pronostico, l’analisi, il divertimento, la passione”. Chiaramente nessuno di questi pronostici, analisi, divertimenti e passioni hanno a che fare col gioco d’azzardo.
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Non dovremmo commettere l’errore di immaginare questa importanza del gioco come un fenomeno contemporaneo. Lo sport e le scommesse hanno da sempre un legame stretto e indissolubile. Nicola Sbetti, storico dello sport all’Università di Bologna, che ho intervistato per questo articolo, ci ricorda che le scommesse hanno contribuito a dare forma allo sport moderno, e ad alcune discipline in particolare: «Nel pugilato per esempio le regole sono state pensate per dare la possibilità di scommettere. Perché senza creare dei confini regolamentari chiari non era possibile scommettere». Il calcio esisteva già come lo conosciamo, ma il professionismo in Italia ha preso una certa forma grazie alle scommesse. “In Italia grazie ai soldi del Totocalcio lo sport ha trovato i soldi per professionalizzarsi. Molti degli impianti e delle infrastrutture costruite nel dopoguerra sono state costruite con i soldi del Totocalcio”.
La schedina del Totocalcio costava quanto un bicchiere di vermouth, ovvero 30 lire, perché il suo inventore, Massimo Della Pergola, pensava che gli italiani potessero compilare una schedina invece di bersi un bicchiere. Come dice Sergio Guntini, autore di Un azzardo italiano. Storia del Totocalcio, “Il presidente del CONI Giulio Onesti e un politico di grande potere nel nostro Paese, Giulio Andreotti, i quali, nell’immediato secondo dopoguerra, compresero che l’unico modo per garantire un’autonomia al sistema sportivo italiano, che non venisse condizionata dalle influenze da politica dei partiti, poteva consistere proprio in un concorso pronostici sul calcio che garantiva sia all’Erario che al CONI cospicue entrate”.
La rottura, secondo Sbetti, c’è stata quando è iniziata la liberalizzazione delle scommesse, e non c’è stato più un controllo statale sugli introiti, che fino a quel momento venivano redistribuiti. Non che non ci fossero problemi, se pensiamo allo scandalo del Totonero negli anni ‘80, ma a livello legale le scommesse erano controllate, inaccessibili per i minori, ed erano considerato una fonte di sostentamento del sistema sportivo statale.
Massimo Della Pergola era un ebreo triestino. Inventò il Totocalcio attorno al 1943 mentre era un rifugiato clandestino in Svizzera. Attraverso il Totocalcio aveva l’ambizione di finanziare lo sport italiano nel dopoguerra.
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Bisogna fare un grande sforzo dissociativo per non legare la passione dei calciatori per le scommesse con l’importanza che queste rivestono nel calcio. C’è anche però una questione più antropologica, di conformazione mentale e postura verso il mondo. I calciatori e gli sportivi d’alto livello in generale, sono gli scommettitori ideali: hanno molti soldi, molto tempo libero, pochi riferimenti culturali e un innato spirito competitivo.
Lo sportivo che ha più forgiato il paesaggio mentale contemporaneo, Michael Jordan, è sempre stato un accanito scommettitore. Quando glielo facevano notare lui si difendeva dicendo che non si trattava di scommesse, ma di competizione – appunto. Scommetteva su più o meno qualsiasi cosa. Atterrato a Portland con i Chicago Bulls, scommise cento dollari che il suo bagaglio sarebbe uscito per primo dal rullo, e così fu (aveva corrotto l’addetto ai bagagli dell’aeroporto). Giuseppe Signori, uno dei giocatori condannati per calcioscommesse, era celebre per la scommessa del Buondì: riuscireste a mangiare un buondì in trenta passi?
Roberto Di Martino, ex procuratore che indagò su un giro di scommesse illecite nel 2011, ha dichiarato che il 70% dei calciatori scommetterebbe in modo più o meno lecito. Un problema trasversale fra paesi e sport, come dimostrano alcuni recenti casi negli Stati Uniti. Le squalifiche degli atleti per scommesse illecite sono in chiaro aumento, perché in crescita è anche la cultura che le accompagna.
Il 15 novembre del 2024 Mike Tyson e Jake Paul sono scesi sul ring per affrontarsi in un incontro di boxe. Uno è un ex pugile iconico e pluri-titolato, l’altro un influencer appassionato di boxe. L’incontro, circondato da un hype estremo, ha funzionato come una grossa macchina da contenuti social e interazioni, ma sopratutto scommesse: è stato l’incontro più scommesso della storia degli sport da combattimento. In un recente articolo sulla rivista Current Affairs, le scommesse vengono citate come una pratica simile al trading speculativo, e fatta spesso dalle stesse persone, con uno stile di vita e una visione del mondo simile: maschile, aggressiva e tossica. Alcune società di trading hanno aperto la propria parte di scommesse sportive e il mondo del trading e del poker professionistico sono sempre più connessi. Un territorio torbido, popolato da laureati in matematica o statistica e che usano le proprie competenze per arricchirsi in questi universi.
In questi giorni sulla stampa italiana si mangia sulla carcassa di Fagioli e Tonali. I dettagli più morbosi della loro vicenda vengono estratti e impacchettati dentro card Instagram che fanno aumentare le interazioni. I nomi dei calciatori coinvolti circolano senza sapere precisamente di cosa si sarebbero macchiati. È poker? Calcioscommesse? Giocavano le proprie partite, ne pilotavano gli esiti? Non pare molto importante; a ben vedere la cosa che ci interessa è la loro fragilità, l’idea che tutto il loro successo non li mette al riparo dal vizio e dall’immoralità. Mi rendo conto di non dire niente di particolarmente nuovo nell’epoca di White Lotus e Succession, in cui tanti prodotti di cinema e tv riscuotono successo per mostrarci la depravazione morale dei ricchi.
Le scommesse nello sport ricoprono un’importanza economica sistemica, che però viene negata oppure ammessa sotto voce, perché se ne intuisce la stretta mortale. Le scommesse alimentano l’industria sportiva, ma lo fanno nutrendo il disagio psicologico sociale. Un costo che forse si può ancora far finta di ignorare, finché possiamo pensare che la responsabilità sia solo individuale, come nei casi di Tonali e Fagioli. Sono dei mostri del vizio, dei ragazzi fragili vittime della malavita, o dei prodotti del sistema?
Nel frattempo ognuno sfrutta questa vicenda come può: per farci intrattenimento, oppure per posizionarsi nel dibattito pubblico. Il ministro per lo sport Andrea Abodi ha invitato a non convocare più in Nazionale i giocatori coinvolti, che sarebbero un pessimo esempio. Nel frattempo il governo di cui fa parte sta lottando per abolire il divieto di pubblicizzare le scommesse.
Emanuele Atturo
Emanuele Atturo è caporedattore di «l’Ultimo Uomo». Ha scritto Roger Federer è esistito davvero (66thand2nd, 2021).
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