Mamma, mi porti a Lourdes? - Lucy sulla cultura
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Davide Piacenza

Mamma, mi porti a Lourdes?

09 Settembre 2025

File oceaniche e speranzose, marketing diffuso, souvenir improbabili e attrattive continue: Lourdes è uno dei luoghi di pellegrinaggio più noti e importanti al mondo ma, a ben vedere, somiglia più a un parco divertimenti.

Nella concisa lista di mete che immaginavo avrebbero fatto da sfondo alla mia estate, il nome “Lourdes” non figurava nemmeno come boutade estrosa. Ma siccome ogni vacanza può dirsi riuscita solo quando sorprende, il 15 agosto del 2025 mi ritrovo a scendere da un treno regionale francese alla fermata della cittadina dei miracoli, da cui poi ripartirò diretto a ovest. Sono le dieci di mattina e il piazzale della stazione ferve di attività: ci sono backpacker giovani e mitteleuropei alla ricerca spasmodica del loro prossimo torpedone, figli con genitori anziani spinti in salita su sedie a rotelle, e quella che mi pare fin da subito una frequenza strabocchevole di famiglie con bambini, dai tratti soprattutto asiatici.

A Lourdes quella della mia coincidenza ferroviaria non è una giornata qualunque: Ferragosto, prima di diventare l’odierno tripudio di costine grigliate e Instagram Stories di tramonti alle Baleari, nasce come festa cattolica che celebra il dogma dell’Assunzione della Vergine. Ecco perché ovunque poso gli occhi ci sono zelanti volontari con pettorina blu del Pèlerinage National de l’Assomption, il fiore all’occhiello degli appuntamenti annuali lourdiani, giunto alla sua 152esima edizione e segnato, oltre che da una mole inusitata di pellegrini provenienti da ogni parte del mondo, anche da un impiego massiccio di dissuasori a scomparsa, transenne, agenti di polizia municipale. 

Lourdes negli Alti Pirenei, e arrivarci in treno significa costeggiare per un lungo tratto il fiume che divide a metà la cittadina, la Gave de Pau, lungo scenari pedemontani illuminati dal sole brillante. Sulla sommità di una collina troneggia un castello grigio e spartano già oggetto di mire carolingie, la fortezza di Lourdes, che domina il circondario con l’occhio austero di un padre-padrone. Il centro, sia spirituale che urbanistico, del paese si sviluppa però attorno alla grotta di Massabielle, la serie di nicchie carsiche dove nel 1858 la pastorella Bernadette Soubirous disse di aver visto diciotto volte aquerò (in occitano, la sua lingua, ‘quella là’), una donna che le avrebbe in seguito rivelato di essere la Vergine Maria. Sopra e attorno alla grotta, che nella giornata di oggi è ovviamente presa d’assalto, pochi anni dopo è stato edificato il complesso monumentale del santuario di Nostra Signora di Lourdes, la cui torre campanaria di 70 metri fa capolino in fondo a ogni stretto viale punteggiato di insegne di alberghi che, dalla stazione, scende verso le acque miracolose della grotta. 

Le vie della cittadina si chiamano Boulevard de la Grotte, Rue de la Grotte e anche Avenue Bernadette Soubirous, e man mano che si avvicinano al luogo delle Apparizioni ospitano numeri esponenzialmente maggiori di hotel, bar, ristoranti etnici, cambiavalute, pizzerie, rivenditori di abbigliamento, oltre a una pletora senza fine di negozi di souvenir. È su questi ultimi che si concentra la mia attenzione di turista per caso: come da prassi non scritta delle destinazioni più densamente affollate, tutti vendono i le stesse cose, ma ognuno le personalizza con un qualche afflato identitario. La statua della Madonna vestita di bianco con la lunga cintura blu, ispirata alla celebre scultura ottocentesca di Joseph-Hugues Fabisch che veglia sulla fonte di Massabielle (e che venne anche criticata dalla pastorella, secondo la quale non ricalcava l’oggetto delle sue visioni) è il pezzo forte, quello che smerciano, vendono tutti e in qualunque dimensione, dall’Immacolata Concezione versione portachiavi alla Vergine di legno dipinto alta un metro e mezzo, di fatto trasportabile solo col furgone.

C’è poi chi unisce al sacro una robusta dose di profano: peluches, pupazzi, collanine, crocifissi coloratissimi, coltelli, borsette, magliette, persino pentolame a tema Lourdes. La mensola inferiore di un souvenir shop in Rue de la Grotte espone una fila di taniche in plastica con l’iconografia mariana e la scritta «Lourdes», ordinate dalla più piccola (mezzo litro) alla più grande (dieci litri) come matrioske e perfette per riportare a casa l’acqua di Bernadette. Un esercente temerario, invece, esibisce quelle che a prima vista, e con un sussulto interiore, riconosco come bambole Labubu (non avendo potuto scattargli una foto dovrete credermi sulla parola, proprio come talvolta accade ai protagonisti di visioni da queste parti).

Mi trascino da uno shop all’altro, sul marciapiede stretto fra il traffico letargico di automobili e furgoni spazientiti e la risacca incessante di pellegrini in entrambi i sensi di marcia, e chiedo a negozianti poliglotti – saranno loro a rivolgersi a te direttamente nella tua lingua, senza che tu apra bocca e spesso con margini di errore risibili – il costo di un rosario che voglio regalare a mia madre. Per terra, sull’asfalto, una serie di placche dorate segna l’itinerario del chemin de Bernadette, cioè le strade del paesino che la pastorella percorreva abitualmente a metà dell‘Ottocento. Da allora ne è passata di acqua sotto il Pont-Vieux, quello da cui si può ammirare il grande santuario della Vergine come se fosse un castello incantato: oggi il colpo d’occhio mi suggerisce che buona parte dei fedeli accorsi a Lourdes – se non la maggioranza – è venuta appositamente sui Pirenei dall’India; un Paese dove i cattolici, 17 milioni di persone, sono soltanto l’1,5% della popolazione totale. Sul piazzale antistante la chiesa un gruppo di giovani donne africane sta cantando e ballando tenendosi per mano, avvolte in una enorme bandiera del Senegal. Sembrerà retorica post-coloniale ad alzo zero, ma non posso trattenermi dal pensare che sia uno dei giorni più belli, o quantomeno più significativi, della loro vita.

Sul sagrato si susseguono abiti sgargianti in tessuti a stampa wax dell’Africa occidentale, kurta sartoriali indiani, completi bianchi, scarpe da cerimonia per infanti, splendidi copricapi intarsiati che non avevo mai visto prima. C’è un clima festoso e un po’ assuefatto, da gita scolastica fatta di code sotto il sole, accompagnatori che procedono agitando bandierine, ricerca dei perenni ritardatari ed entusiasmo procedurale, comunitarista. Eppure io, più di tutto, prima di tutto, mi sento stanco: non so se Lourdes è bella, ma di certo in questo designer outlet della fede non vivrei, penso, mentre vengo superato in tutta fretta da una famigliola del sud-est asiatico, vestita a festa e orgogliosa del suo viaggio spirituale. Dopo il primo approccio, il mio rapporto con la folla che si accalca è diventato claustrofobico, le valigie del viaggio ora sembrano pesare il doppio, la salita della rampa monumentale della basilica si è fatta inaffrontabile, e le voci dei pellegrini sfumano sotto la cappa dei 30 gradi della canicule che ha stretto in una morsa la Francia mediterranea, quella di cui parlano i telegiornali delle tv accese nei bar.

“C’è poi chi unisce al sacro una robusta dose di profano: peluches, pupazzi, collanine, crocifissi coloratissimi, coltelli, borsette, magliette, persino pentolame a tema Lourdes”.

Mentre mi trovo al piano superiore del complesso, nella cappella degli ex voto della basilica dell’Immacolata Concezione, fra le pareti placcate di lapidi votive “per grazia ricevuta” (tante sono in italiano; alcune parlano di incidenti, di malattie, di miracoli), la memoria del corpo mi ricorda l’ultima volta in cui mi ero sentito così. Devo metterlo a fuoco, ma ci vuole poco perché il fatto è recente: è stato al Walt Disney World Resort, la gargantuesca, sterminata, ineluttabile distesa di parchi a tema Disney della Florida centrale, dove sono stato all’inizio dell‘anno. Nel bel mezzo di questo luogo santo e riverito, afferro al volo l’intuizione più sacrilega e sfrontata: e se Lourdes e Disney World di Orlando avessero molto in comune? 

Non si tratta di sminuire l’oggetto di fede di milioni di persone, né di proporre paralleli blasfemi tra Bernadette e Topolino, mi dico rammentandomi il motto dell’honi soit qui mal y pense. Ma il parallelo esisteva da prima che lo realizzassi: la mattina mi sono ritrovato in un paesino con tutti i crismi del fiabesco, dotato di una fortezza medievale che domina la sua collina e un simil-castello neogotico che si apre allo sguardo del visitatore in fondo alla via maestra della città, oltre il ponticello che attraversa un fiume blu. È un luogo iper-affollato, fatto di speranze e di aspettative e di marketing, di gioie e dolori condivisi, di fiducia cieca e di liturgia consapevole, di souvenir, di immaginari che rendono meno soli, e che per questo ogni tanto si tramutano in miracoli. Come scrisse l’antropologo Marc Augé descrivendo Disneyland, nonluogo par excellence: “Deambulazione perpetua e musica incessante: anche gli adulti si stancano. Eppure non bisogna perdere niente, profittare del denaro speso, poiché si è comprato a forfait, il diritto di vedere tutto”.

Come i parchi Disney, Lourdes permette ancora di credere che qualcosa di rivoluzionario sia possibile; come a Disney World, a Lourdes si va non soltanto per trovare la propria grazia personale, ma anche per inseguire lo straordinario, per sentirsi parte attiva di una comunità che si stringe attorno a valori semplici ma trascendenti, per resistere al tempo e alla fine di ogni cosa. In tempi in cui qualsiasi Gianfranco94 con un profilo social si sente in dovere di ridurre duemila anni di dogmi, fede e misteri a una battutina catchy sulla presunta credulità dei cattolici (e dal punto di vista di un agnostico come lo scrivente, Gianfranco avrebbe anche ragione: però sulla sostanza ultima, non certo sulla sbrigatività dei modi), un giro a Disney-Lourdes aiuta a rimettere la storia in prospettiva: quello che per te non è nulla, per tanti altri è sempre stato, e sarà ancora, tutto. Non è dato sapere quante delle 72 guarigioni “inspiegabili” accadute a Lourdes e accertate dalla Chiesa Cattolica non rispondano ad alcuna logica scientifica, ma non è rassicurante sapere che nel mondo esiste un posto in cui si crede che una fonte d’acqua sorgiva sia in grado di mettere al riparo dalle insidie dell’esistenza? Non ci basta questo, che si sia cattolici o  atei?

Me lo ricorda, a modo suo, anche l’ultima persona con cui parlo a Lourdes prima di prendere il mio treno per Bayonne, cittadina che dista un’ora e mezza da Lourdes, sulla costa piovosa dell’oceano Atlantico. È un barista di origine tunisina, acceso tifoso dell’Olympique Marseille, che mi chiede come mi sono trovato in città e poi butta lì con nonchalance un “parce que, you know, Lourdes est magique” (e a me viene in mente la forse attinente massima di quell’altro impallinato di magia, Walt Disney: “Se puoi sognarlo, puoi farlo”). Una di quelle magie che stancano presto, ma che nondimeno continuano da secoli a seminare utopia nel cuore degli uomini, e a intrecciare i filamenti consunti delle loro vite coi fili dorati dell’eterno.

Davide Piacenza

Davide Piacenza è giornalista e collabora a diverse testate. Il suo ultimo ultimo libro, che riprende temi della sua newsletter settimanale “Culture Wars”, si intitola La correzione del mondo (Einaudi, 2023).

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