La redazione di Lucy
01 Settembre 2025
Con il nuovo mese inauguriamo anche un nuovo tema: ve lo presentiamo qui.
Se diciamo “metamorfosi”, cosa vi viene in mente?
A molti, forse, questa frase: “Un mattino, al risveglio da sogni inquieti, Gregor Samsa si trovò trasformato in un enorme insetto”.
È l’incipit della Metamorfosi di Franz Kafka, uno dei racconti più famosi di sempre.
Kafka non ci dice cosa sia successo a Gregor Samsa. E non importa.
Perché il vero cambiamento, nella storia, non è quello concreto, fisico, del protagonista, ma quello nello sguardo degli altri.
È lì, mentre la famiglia isola Gregor e lo trova improvvisamente repellente, che la metamorfosi si compie.
Quindi, cos’è la metamorfosi?
È un cambiamento che lascia un segno. Sempre. Perché è quasi sempre dolorosa, mai completamente sotto controllo, spesso imposta. Ma proprio per questo, è rivelatrice: ci dice qualcosa che prima non vedevamo. Su di noi, ma anche sul nostro rapporto con gli altri, su come ci guardano, su cosa diventiamo ai loro occhi mentre cambiamo.
Ovidio è stato fra i primi a ricordarcelo.
Dafne viene trasformata in un albero per sfuggire al desiderio. Aracne in ragno come punizione per la sua superbia, per aver sfidato Atena. E di Narciso, innamoratosi del proprio riflesso, non resterà neanche il bellissimo corpo, solo un fiore col suo nome.
Queste storie ci piacciono perché ci rispecchiano, nel senso che anche noi siamo il risultato di una lunga serie di trasformazioni. Fisiche, certo: il colore della pelle, i tratti somatici, l’aspetto dei nostri volti raccontano ambienti, mescolanze, adattamenti.
Ma anche interiori: ogni passaggio della vita ci cambia. Ogni ferita, ogni incontro, ogni rinuncia.
C’è una soglia che segna questo passaggio, una linea sottile tra ciò che eravamo e ciò che siamo diventati. Joseph Conrad la chiamava la linea d’ombra: è lì che il marinaio del suo romanzo più famoso smette di essere ragazzo e diventa uomo.
E ogni racconto di formazione – dal Giovane Holden a Harry Potter – è una metamorfosi: un viaggio da un’identità a un’altra, da un’idea di sé a un’altra più incerta, ma più vera.
Pensiamo a Orlando di Virginia Woolf, che attraversa i secoli cambiando sesso e prospettiva.
Ma anche a Edmond Dantès, che riemerge dalla prigione con un altro nome, un altro volto, un altro scopo. Il Conte di Montecristo è l’incarnazione del potere trasformativo della sofferenza.
“È un cambiamento che lascia un segno. Sempre. Perché è quasi sempre dolorosa, mai completamente sotto controllo, spesso imposta. Ma proprio per questo, è rivelatrice: ci dice qualcosa che prima non vedevamo”.
Le metamorfosi non riguardano solo gli individui. Cambiano le società, cambiano i linguaggi, cambiano i simboli. Cambiano persino gli oggetti attorno a noi, e il valore che gli attribuiamo: ciò che prima era bello può diventare brutto, ciò che è sempre stato brutto può diventare di culto.
E poi ci sono le metamorfosi del pensiero. Quelle più difficili da accettare. Quelle dei politici che cambiano bandiera. Degli ideologi che si convertono. Degli uomini e delle donne che rinnegano le proprie certezze. Sono volte in cui il cambiamento appare come tradimento. Ma forse, in certi casi, è solo la verità che si svela.
Ci insegnano che l’identità è qualcosa da difendere, ma che significa “identità”? Chi ce lo dice che in realtà la versione migliore, più giusta, o comunque più sincera di noi, non sia quella futura, che ancora non conosciamo? Che per essere davvero noi stessi non dobbiamo ancora mutare?
“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”, scriveva Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo. Ma cambiare davvero significa accettare che qualcosa si lasci indietro. Pelle, abitudini, convinzioni. Parti di noi.
Nel numero di Lucy Sulla cultura parleremo di questo: di trasformazioni biologiche e morali, di svolte individuali e collettive, di forme che si disfano e si ricompongono, di identità che si spostano, che si fratturano, che si riscrivono.
Perché ogni metamorfosi ci riguarda, ed è un racconto che vale la pena ascoltare.
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