Gianluca Nativo
Colpo di scena: Milano si posiziona prima nella classifica delle città più vivibili d’Italia, malgrado sia spesso aspramente criticata. E se il problema non fosse solo Milano, ma anche la nostra tendenza a provare nostalgia per quello che non abbiamo?
Nell’annuale classifica sulla vivibilità delle città italiane quest’anno, scalzando perfino l’inarrivabile Bolzano, si piazza – colpo di scena – Milano. Ma come? Ora che avevamo fatto l’abitudine a sentirne parlare male – si sprecano i panel e gli articoli sulla sua insostenibilità, persino le influencer hanno paura a girare per strada di notte – proprio ora che gli sfessati millennial attratti dal miraggio Expo iniziavano a escogitare piani di fuga – chi vuole aprire un ristorante a Livorno, chi punta sul Giubileo e sogna di tornare a Roma, chi pensa di spostare l’ufficio a Palermo, tanto con l’aeroporto sei dove ti pare in un attimo – arriva la notizia che ci fa capitolare tutti. Non abbiamo fatto in tempo ad andare via che siamo di nuovo costretti a rimanere. Milano torna a fare Milano, ti dà tanto ma ti toglie altrettanto eccetera eccetera.
Lo studio di ItaliaOggi e Ital Comunications con l’università La Sapienza di Roma parla chiaro: tra reddito, infrastrutture, servizi, istruzione, sistema salute e altri parametri, Milano si piazza prima. Ma allora cosa è cambiato? Com’è che l’entusiasmo è finito? Sarà stato il covid? O siamo solo stufi di metterci in fila per una brioche nella nuova bakery in Forlanini? Stanchi di andare a cena fuori e scegliere tra un coreano bbq e un ristorante che serve solo cibo fermentato? O ci hanno spaventato le borseggiatrici perseguitate dall’account Milanobelladadio, gli orrendi tornelli in metropolitana, con luci alla Star Wars – oltraggio a Bob Noorda – pensati per ostacolare i tuffi dei furbi senza biglietto? Per non parlare della qualità dell’aria: l’isteria per le polveri sottili un anno fa fece schizzare Milano su un altro podio, quello delle città più inquinate al mondo, salvo scoprire che i sondaggi in questione erano gestiti da un’azienda di purificatori d’aria. Ed ecco un’altra rivincita.
Addirittura è riapparso anche l’account Instagram di Beppe Sala. Immediata la sua storia per celebrare la notizia, con un secco, quanto passivo aggressivo, “ecco…” e il link all’articolo. Ricordiamo tutti il post della campagna Milano non si ferma, anche con hashtag #milanoneverstops, che sopravvive su alcune tshirt di stilisti ottimisti, e invece Milano si era dovuta fermare insieme al resto del mondo, ma adesso vuoi vedere che il sindaco torna alla carica, ai posti di partenza in compagnia di cantanti e influencer per inaugurare nuovi quartieri dall’acronimo improponibile, giusto in tempo per sponsorizzare le olimpiadi Milano Cortina?
Nella storia in questione poi aggiusta anche il tiro: “e sui problemi, che ovviamente ci sono, continueremo a lavorare”. Chissà.
Intanto Milano ha la capacità di svincolarsi da qualsiasi narrazione, forse perché non le interessano, sono troppo provinciali, italiane: che importa del carovita e dei prezzi degli affitti, intanto inaugura il coliving in zona Dateo, lo spazio Cohabs, ventisette stanze singole in un intero palazzo in condivisione. Non certo una possibilità per i cittadini, per le famiglie, (si va dai mille euro al mese per una stanza) o per gli studenti fuori sede che per protesta un tempo dormivano in tenda davanti al Politecnico, ma spazi pronti ad accogliere chi a Milano viene solo di passaggio, per lavoro, coabita un paio di mesi e se ne va. Beati loro.
Per chi non coabita, la vita è dura. Sfiderei una giovane famiglia a trasferirsi in una città con affitti alle stelle. Fa male sentire single costretti a pagare settecento euro una stanza a Rescaldina (eh però c’è il treno…). Molti colleghi insegnanti, non appena gli è stato confermato il ruolo, hanno già pronta la richiesta di trasferimento. E va bene che la maggior parte del personale scolastico è di origine meridionale, ma con uno stipendio da fame non puoi sopravvivere in una città in cui tutto viene sovraprezzato. Una volta, durante un festival letterario a cui ero stato invitato, nella bassa bergamasca, qualcuno mi ha chiesto, ma perché vivi a Milano? Mai pensato all’hinterland? Come se da piazzale Loreto in giù si svolgesse una dimensione della vita per loro inaccettabile, troppo trafficata e ingiusta. Quando a Napoli dico di vivere a Milano lo sconcerto regna. Ma come, una volta gli scrittori andavano a Roma, è più simile, più vicina, un’ora di treno e sei a casa, ma che ci fai a Milano? Qualcuno prende in giro: certo, avete quei tramonti sullo skyline…
Mettiamo pure che Milano fosse diventata una scelta assurda, quasi provocatoria, soprattutto per chi non ha radici qui e potrebbe vivere altrove. Ogni volta che qualcuno mi chiede perché non te ne vai? non so mai cosa rispondere, subisco e basta. Perché continuare a tenere botta se Milano rischia di essere sempre meno accessibile?
La questione è semplice: non ci sono poi tante alternative.
Per quanto stia diventando sempre più ostile c’è da dire che Milano ha l’onestà di rivendicare anche i propri difetti, oramai ha gettato la maschera e non sente più il bisogno di giustificarsi. Il suo centro è dichiaratamente inavvicinabile. Fa strano passeggiare lungo corso Venezia e, all’ombra di un chiostro di un palazzo del Cinquecento, scoprire che non si tratta di una vetusta biblioteca di area umanistica ma dell’Hotel Portrait, proprietà di Ferragamo. All’ombra dei portici, ai cittadini è concesso passeggiare tra le vetrine di boutique Antonia, tra amuleti ricavati da materiali di scarto di So-Le studio e bere un campari spritz al Beefbar affollato di turisti slavi. I due tre alberelli all’ingresso sono diventati una segreta area cani per i residenti dell’area C, unico beneficio per una zona da sempre compiaciuta del suo cemento.
“Nell’annuale classifica sulla vivibilità delle città italiane quest’anno, scalzando perfino l’inarrivabile Bolzano, si piazza – colpo di scena – Milano. Ma come?”
Chi oggi viene a Milano, città del desiderio per eccellenza, deve accontentarsi delle periferie, che sì si riqualificano ma a costo di diventare più squallide di prima. A NoLo, i pionieri della gentrificazione rischiano di vedere le librerie del quartiere chiudere mentre il tiktoker napoletano Donato di Caprio apre in viale Brianza la sua seconda paninoteca in città Con mollica o senza?
Volendo, per il lavoro che svolgo, potrei chiedere quando voglio un trasferimento a Roma o tornarmene anche a Napoli. Ne sarei felice, certo, vivrei le più belle passeggiate al tramonto sul lungomare di via Caracciolo o lungo le curve del Gianicolo, ma la bellezza non basta, ce l’ha ripetuto fino alla nausea la Parthenope di Sorrentino “come si fa a essere felici nella città più bella del mondo?”. Ve lo dico io: acquistando un motorino, o almeno garantendo una rete di trasporti che mi permetta di andare al lavoro senza impazzire per la frustrazione. La maggior parte delle altre città italiane ormai si regge su ricchezze accumulate: o i nonni ti lasciano una casa da affittare su B&B o non sai come arrotondare lo stipendio. Molti amici che hanno deciso di rimanere spesso vivono con mamma e papà, fanno ancora i turni per poter prendere la macchina. Anche a Napoli del resto il centro sta diventando inaccessibile, presa d’assalto dal turismo selvaggio, e intanto nelle periferie dimenticate si riprende a costruire a più non posso, chi l’avrebbe mai detto. L’umanità, il calore, la gentilezza mediterranea sono tutte qualità che ormai si vendono ai turisti.
Milano, allora, dati alla mano, rimane la città che continua a offrire opportunità, per quanto sacrificate, a tutti, anche all’ultimo arrivato. È questo, in fondo, il suo paradosso: ti spinge a stancarti e non ti permette di mollare. Certo, dopo un po’, la puntualità quasi teatrale dei mezzi pubblici comincia a stancare, il car sharing diventa scontato, le innumerevoli week passano inosservate, così si decide, per cambiare aria, e provare un po’ di nostalgia del disagio, di scendere giù. Poi però nei giorni successivi non si fa altro che sognare piazze assolate, con quella luce alta e gloriosa che resta impressa nella mente, ci si chiede come è stato possibile avere festeggiato solo qualche giorno prima un amico che ha appena comprato un seminterrato a tremila euro al metro quadro. Ma alla fine, mentre si torna a casa con l’ultima metro, si fa presto ad abituarsi all’umidità della sera, e l’ambascia sul cuore che ti ha preso a settembre, al ritorno dalle tue vacanze, piano piano torna ad avere un aspetto familiare, quello della tua vita adulta. Anche perché passare il tempo a struggersi di malinconia è roba da meridionali, da città in fondo alla classifica, da gente che ha tempo per rimuginare. A Milano non interessa, Milano di fatto non si ferma. Milanoneverstops.
Gianluca Nativo
Gianluca Nativo è insegnante e scrittore. Il suo ultimo libro si intitola “Polveri sottili” (Mondadori, 2023).
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