Non conosco il Sud - Lucy
articolo

Mario Desiati

Non conosco il Sud

22 Luglio 2024

Dal Sud Italia tanti giovani vanno via, verso un Nord apparentemente più moderno. Ma cosa si perde quando ci si dimentica del Meridione? Franco Cassano suggeriva di conoscerlo e valorizzarlo per comprendere profondamente il mondo intero, grazie alla sua natura di crocevia tra Asia, Africa ed Europa, per il tempo più lento, che forse può ancora aiutarci a mitigare la solitudine di alcuni estremi della modernità.

Tu non conosci il Sud.

Quante volte l’ho ripetuta nella testa, quante volte l’ho usata per tenermi appiccicato al mondo che mi sfuggiva di mano. L’umanità ha sempre imparato a memoria piccole formule, versi, preghiere e mantra per veicolare memoria, pensiero e coscienza. Quando si perde tutto, sopravvive ciò che hai imparato a memoria, lo declini con varianti di un ritmo interiore che si accorda con il mondo fuori, anche il più ostile. 

Tu non conosci il Sud, le case di calce da cui uscivamo al sole come numeri dalla faccia d’un dado. È la strofa delle Foglie di Tabacco di Vittorio Bodini compresa ne La Luna dei Borboni1, il capolavoro del poeta salentino, oggi amato, riscoperto e riletto in Puglia, ma ancora poco conosciuto al di fuori dei confini regionali. In quel “uscivamo al sole come numeri dalla faccia d’un dado” la sintesi del sentimento di casualità con cui si vivono alcune circostanze, o forse l’intera vita. 

Questa breve introduzione mi serve per tenere assieme alcune riflessioni su cosa rappresentano quelle tre lettere (S U D) per chi come me che ci è nato, lo ha lasciato, ci è tornato, è andato di nuovo via e ci sta tornando. Tu non conosci il Sud, e Bodini lo scrive con la lettera maiuscola perché il Sud è quella “nazione” che neanche i suoi abitanti sanno bene cos’è. E io sono uno di essi. Lo ammetto alla mia costante giuria interiore e ai miei interlocutori, non conosco il Sud. 

Prendi questo Sud, prendi il Mezzogiorno in quanto settore meridionale di una regione geografica e prova a indagarlo come un’entità unica. Esistono molti Sud Italia, le anime diverse, calabresi, siciliane, pugliesi, campane hanno caratteri comuni, ma anche eterogeneità formidabili. Il quadro è composito, e tiene assieme città metropolitane come Bari, Napoli e Palermo, le loro province, le punte estreme delle isole e le comunità montane, i paesi abbandonati degli entroterra e i paesoni-città, isole nella terraferma perché mal collegate con i grandi snodi del paese. Fare un discorso generale sulla questione meridionale senza tener conto di quanto siano diverse le storie comunali e regionali può risultare fuorviante. Uno dei suoi caratteri dominanti, da oltre un secolo comune, è la tensione di una notevole fetta di popolazione del Mezzogiorno ad andar via. 

Quando ero più giovane, a cavallo tra il 2005 e il 2007, mi affidai al mezzo del questionario, uno strumento di ricerca appreso nella redazione di «Nuovi Argomenti», per indagare cause e motivazioni personali della nuova grande emigrazione da sud a nord nel terzo millennio. Il metodo Questionario alla Nuovi Argomenti consiste nel somministrare a un campione di persone una serie di domande chiuse. Il mio campione di ricerca era composto da meridionali under40 e le domande erano tipo “Cosa le manca del luogo d’origine?” “Cosa non le manca?” “Ha mai avuto a che fare con pregiudizi?” ecc… Arrivai a poco più di un centinaio di profili, persone comprese fra i ventuno e i quarant’anni. Grazie alle risposte imparai a distinguere i pendolari dagli emigrati veri e propri. Chi mantiene il suo centro personale (residenza, famiglia, relazioni) nonché una certa frequenza di rientri nel luogo d’origine è più ascrivibile alla categoria di pendolare. Un emigrato è una persona che sposta tutto nel nuovo luogo. Molti degli intervistati erano più studenti fuorisede che lavoratori emigrati, residenza nel Mezzogiorno, rientro frequente in concomitanza con ferie e feste comandate. Alcuni di essi avevano mantenuto il medico, il dentista e il barbiere/parrucchiere nel luogo d’origine (per il mio animo nostalgico lo intesi come retaggio antropologico, forse, di un passato dove il cerusico era anche medico e cavadenti nei paesi di campagna).

“Quando si perde tutto, sopravvive ciò che hai imparato a memoria, lo declini con varianti di un ritmo interiore che si accorda con il mondo fuori, anche il più ostile”.

In una delle risposte L., 30 anni nel 2006, funzionaria, emigrata a fine anni Novanta in una grande città del Veneto, scrisse che le mancava un albero da frutto nel cortile. Ho visto tanti alberi da frutto nei cortili di Roma, Milano, Torino, ciò nonostante all’intervistata quello che mancava era il suo albero da frutto in Calabria. Fui tanto colpito da quella risposta. Come sempre quando si fanno certi studi, impari molte cose anche su te stesso. Dunque, mi meravigliai quando notai che le arance degli alberi ornamentali di via Catania a Roma erano senza polpa. Il senso della risposta di L. era la polpa! Così scrissi un piccolo libro ispirato a quel questionario che si chiamava Foto di Classe per l’editore Laterza, dove immaginavo di rintracciare tutti i componenti della foto dell’ultimo anno della mia scuola scoprendo che erano andati via quasi tutti. (In realtà a quasi trent’anni dal diploma, posso dire che abusai di licenza poetica visto che su trenta una ventina vivono felicemente nella placida Valle d’Itria).

Gli anni dell’emigrazione massiccia da sud a nord continuano, e ogni anno basta leggersi i dati pubblicati a dicembre da Svimez e Istat. Questo è continuato a succedere anche in una regione considerata florida e moderna come la Puglia. Eppure non è neanche quello che s’immagina, dentro ce ne sono così tante che è difficile raccontare la varietà delle Puglie. Parliamo di una regione con quasi ottocento chilometri di coste dove gli stessi dialetti sono incomprensibili da un paese all’altro. Per esempio, in campagna tra Ostuni e Martina Franca le olive le chiamano ulie, a pochi chilometri più in là diventano l’gghje. La parola del frutto più prezioso di questa regione non ha un solo nome, come puoi definire cos’è il Sud se neanche i dialetti hanno un suono simile nel fazzoletto di una stessa vigna? 

Franco Cassano è tra gli ultimi che ci ha provato, alla fine degli anni Novanta, pubblicando Il pensiero Meridiano con l’obiettivo di “modernizzare la modernità attraverso la critica alla modernità reale”. Queste ultime sono le parole di Franco Chiarello, il sociologo che ha condiviso con Cassano gli anni accademici nell’università barese e che ha pubblicato una monografia sull’autore del Pensiero Meridiano, ormai scomparso tre anni e mezzo fa2

Scrive Chiarello che Cassano non amava definirsi un meridionalista, non gli interessavano i discorsi sulla ripartizione delle risorse per colmare il divario di ricchezza e benessere con il resto del paese. Si spendeva piuttosto per una rivalutazione della civiltà del Mezzogiorno, allo scopo di farla riconoscere come elemento fondante della nuova Italia, e anche della nuova Europa.  Le ragioni sono semplici, scrive Chiarello ricordando Cassano, “se non si capisce il Sud, non si capisce niente non solo dell’Italia, ma anche dell’Europa e forse del mondo.”  Questo passaggio così netto fa riferimento al Mediterraneo, all’importanza storica, politica e culturale che ha avuto per l’Europa il suo mare. L’Italia e il Sud in particolare sono un punto di intersezione tra Europa e Africa, tra Oriente e Occidente, e sono proprio al centro del suo meraviglioso, contraddittorio bacino mediterraneo. Se non si considera il mare non si può considerare la terra che sta attorno.

Molto spesso, quando si leggono i pensatori del Sud Italia li si immagina accigliati e severi censori di valori moderni quali le diverse forme di liberalismo, universalismo, differenziazione sociale. In realtà, come Cassano mette in luce nei suoi classici (Il pensiero Meridiano e Modernizzare stanca in primis), il problema da affrontare sono le derive fondamentaliste (come in tutto): l’individualismo sfrenato, l’onnipotenza del mercato, la mercificazione di ogni ambito della vita. Insomma, i valori moderni vanno bene ma devono essere temperati e sfumati in modo sapiente.  “L’obiettivo di Cassano è riabilitare la modernità temperandone le derive assolutistiche”. Il tentativo è quello di correggere un determinato processo attraverso l’inserimento di un elemento contrario che ne attenui gli eccessi. Chiarello ricorda che questo tipo proposta è già all’interno della tradizione di critica autoriflessiva della scuola di Francoforte, e trova i suoi riferimenti sociologici soprattutto in Emile Durkheim e Max Weber.

Per questo merita di essere ricordato un altro studio. 

Quando una decina d’anni fa esplose il dibattito sulla revisione del Risorgimento italiano, Alessandro Leogrande curò L’Altro Risorgimento del rivoluzionario socialista Carlo Pisacane3. Nobile napoletano dalla vita avventurosa, filosofo e politico, Pisacane sognava un mondo più giusto dove la questione sociale era più urgente di quella nazionale. La sua idea era liberare il Mezzogiorno non solo dai Borboni, ma da qualunque dinastia regale che opprimeva il popolo. Pisacane radunò una ventina di uomini sensibili alla causa e poi liberò dal carcere di Ponza trecento detenuti (in gran parte politici) insieme ai quali sbarcò a Sapri con l’obiettivo di sollevare le popolazioni locali. L’epopea ispirò Luigi Mercantini per la sua Spigolatrice di Sapri, in cui racconta di una giovane donna che si unì a rivoluzionari.  I prodi di Pisacane che sognavano di liberare il mondo dalle ingiustizie furono fermati da soldati borbonici e finiti a roncolate dai contadini di Padula e Sanza, sobillati da un sacerdote che li aveva spacciati per banditi. Pisacane, ferito in combattimento, si uccise. 

Non conosco il Sud -

La triste parabola di Pisacane, utile insegnamento a chi sogna un mondo più giusto, viene raccontata da Alessandro Leogrande traendo una morale, ossia che senza conoscenza non si può ottenere nessun progresso. Nel saggio introduttivo al volume di Pisacane, Leogrande ci invita a uscire dalla polarizzazione tra secessionismi nordici e vittimismi meridionali, il processo di unità conviene molto di più rispetto alla parcellizzazione, che porterà i ricchi a essere sempre più ricchi e sempre meno, e i poveri a essere sempre di più e sempre più poveri (con la conseguenza che quei pochissimi ricchi non potranno chiudersi per sempre nelle loro torri eburnee). A proposito di questo, scrive Franco Cassano in un saggio introduttivo allo studio di Daniele Petrosino e Onofrio Romano sul Sud e che in qualche modo si allaccia ai discorsi odierni sull’autonomia differenziata: “Chi è avanti andrà sempre avanti e chi è indietro precipiterà sempre più indietro e se non esiste altro meccanismo capace di garantire un percorso diverso, la divaricazione sarà crescente.”4

Grazie a Cassano era nato a fine anni Novanta un movimento politico di cittadinanza attiva che fu anche alla base di molti governi amministrativi pugliesi e campani. Il manifesto di Città plurale fu pubblicato nel 2000 e tra i punti cruciali c’era l’idea che questa associazione si proponesse di ricostruire uno spazio pubblico nella città senza però diventare un partito o sostituirsi ai partiti, bensì cercando di costringerli a misurarsi sulle grandi questioni, ma soprattutto a modificare i criteri di reclutamento e selezione della classe dirigente: non più il censo o la fedeltà al capo o all’apparato, ma la discussione civica, la capacità di formulare risposte trasparenti ed efficaci ai problemi.

Alcune esperienze ispirate da quelle discussioni hanno portato buoni frutti, ma la maggioranza si è adeguata al medio (per non dire mediocre) cabotaggio. Spesso si è preferita la cartolina paesaggistica del buon cibo e del bel mare alla cruda realtà dei servizi non all’altezza delle necessità e delle aspirazioni dei suoi cittadini. Oggi si vive il paradosso di usare selettivamente storia e tradizione del Sud per giustificarne l’uso in chiave commerciale ma perdendone di vista l’essenza e dunque anche la coscienza. Nascono mille narrazioni diverse, ciascuna utile alla propria idea di Sud, senza inquadrarne la complessità e le criticità. Il rischio di pensare a quanto si stava bene quando si stava peggio lo raccontava già ottant’anni fa Rina Durante nel suo capolavoro La Malapianta5, narrando i lati più atroci della civiltà contadina meridionale come l’alienazione, lo sfruttamento, il patriarcato più deteriore e la solitudine. 

Smarcarsi da tutto questo non è facile. Lo sguardo critico senza ansia di polarizzarsi, senza spazi per l’iterazione istantanea, oggi soccombe. Ma è proprio questo il tempo a cui si dovrebbero opporre all’emergenza delle soluzioni semplicistiche la conoscenza e l’analisi concreta di un luogo, e all’immediatezza di un profitto fugace la lungimiranza dell’attesa. 

Torno indietro a vent’anni fa, quando mi chiedevo “Perché ce ne andiamo da qui?” Se oggi rifacessi quel questionario, direi “Perché alcuni di noi stanno tornando?”. C’è una risposta che non ho il coraggio di riferire a me stesso, ed è quella che spesso rimuovo, che si torna perché si invecchia, per seppellire i propri morti e per assistere i propri malati. Ed è per questo che vorrei saltare altissimo, come i cieli scavalcati delle spose barocche di Claudia Ruggeri, e pensare a un tempo di futuri da costruire col ritmo del respiro dell’umanità. C’è una vita che va vissuta in una terra, in un paese, in un lembo di mondo dove sei libero di desiderare, anche se quel posto è il luogo dove sei nato.

Su questo Sofia Stevens6 (Gallipoli, 1845-1876) scrisse. “Quando eravamo fanciulle/Presso le chete arene/Assise sulla luna /Parlavamo del futuro…”. È ciò che libera gli spiriti più di ogni altra ricetta o prescrizione, il pensare profondo e lento di Franco Cassano che ci invitava a non fermarci alle apparenze irrilevanti, ma alle sostanze rilevanti come quelle di dar nome agli alberi che si paravano innanzi al nostro cammino ma rimanendo con il sogno di farlo “assise sulla luna”, come nei versi di Sofia Stevens. In fondo l’Orlando Furioso ci ha insegnato che sulla Luna ci sono tutti i beni perduti dall’uomo in terra, anche quando quella Luna è la Luna dei Borboni.

Non conosco il Sud -

1

Vittorio Bodini, Luna dei Borboni di Vittorio Bodini, Besa editore.

2

 

Franco Chiarello, Franco Cassano a passeggio sui confini, Edizioni Radici future.

3

 

Carlo Pisacane, L’altro Risorgimento, a cura di Alessandro Leogrande, Edizioni dell’Asino.

4

 

Dell’eclettismo meridiano, Prefazione a Buonanotte Mezzogiorno di D.Petrosino e O.Romano, Carocci editore.

5

Rina Durante, La Malapianta, Anima Mundi editore.

6

Sofia Stevens, Le voci del vento, Milella editore.

Mario Desiati

Mario Desiati è scrittore, poeta e giornalista. Il suo ultimo libro è Spatriati (Einaudi, 2021).

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