Perché l'estate non ci piace più - Lucy
articolo

Fabio Deotto

Perché l’estate non ci piace più

22 Luglio 2024

Un tempo aspettavamo l'estate con trepidazione. Oggi invece, tra eventi meteorologici estremi e ondate di calore, la nostra salute e benessere psichico sono a rischio. E il futuro dell'estate sembra cupo e inquietante.

Quando in primavera gli amici hanno cominciato a domandarmi cosa intendessi fare per l’estate, il mio pensiero non è andato subito alle vacanze. A quelle ci ho pensato un istante dopo, quando si è trattato di dare una risposta a voce alta. Prima ho pensato che forse avrei dovuto cercare un posto fresco e abbordabile dove ritirarmi a lavorare quando Milano sarebbe diventata invivibile.

Mi succede già da un po’, ma quest’anno quel primo, pavloviano pensiero si è preso più spazio del solito. Ne ho parlato con alcuni colleghi freelance che lavorano spesso da casa, una di loro mi ha detto che cercherà di restare il meno possibile in città. Ricorda ancora l’assurda notte del 25 luglio 2023, quando in dieci minuti è caduta la pioggia di un mese, un nubifragio che ha fatto saltare i tombini e falciato quasi cinquemila alberi nel solo perimetro urbano. Uno è crollato a un soffio dalla sua macchina, da allora non la parcheggia più nei viali. 

Ma anche a chi quella notte ha dormito tranquillo viene naturale alzare le difese. La bella stagione che un tempo si aspettava tutto l’anno, sta diventando qualcosa che fa paura.

1. L’emergenza estate

Nel settembre 2023, alla fine di un’estate che ha polverizzato ogni record in termini di temperature ed eventi estremi, sulle pagine del think tank Friends of Europe, Jamie Shea ha lanciato un appello affinché diverse nazioni intraprendessero uno sforzo congiunto per sviluppare una maggiore resilienza di fronte a una crisi climatica che batte sempre più violenta: “Ci troviamo alle prese con un contesto nuovo, in cui il cambiamento climatico, all’interno di uno scenario geopolitico sempre più precario e globalizzato, si combina con le filiere fragili e le infrastrutture pubbliche antiquate, rendendo gli shock climatici più imprevedibili, frequenti, e gravi. Aspettare semplicemente che accada il peggio per poi rispondere con i pochi strumenti che abbiamo ancora a disposizione non è un’opzione”.  

Ora, Shea non è un attivista climatico, né tanto meno un politico di area progressista. È un ex-funzionario NATO, e infatti propone di rapportarsi all’estate come se fosse un altro fronte di guerra. Suggerisce di  istituire un “Summer Crisis Response Executive”, composto da professionisti provenienti sia dalle aree governative sia  dal settore privato, che dovrebbe lavorare affinché le varie nazioni sviluppino una maggiore autosufficienza energetica e potenzino le proprie reti, insistendo su come la crisi climatica sia di fatto una minaccia anche per la sicurezza militare. Al netto delle valutazioni nel merito, il solo fatto che una proposta del genere venga presa sul serio è la spia di quanto l’estate sia ormai trasversalmente riconosciuta come una situazione emergenziale.

Quella del 2023 è stata l’estate dei record: per la quantità di giorni di “stress da calore estremo” in Europa, per la frequenza delle ondate di calore, incendi e alluvioni, ma anche per il numero di decessi connessi a temperature ed eventi estremi. Stando all’Organizzazione Meteorologica Mondiale, negli ultimi vent’anni le morti riconducibili al caldo eccessivo nelle nazioni europee sono aumentate del 94%, con una media di 60.000 l’anno, e un triste primato per l’Italia, che guida la classifica con 18.000 decessi nella sola estate del 2022. Considerando che siamo arrivati a registrare dodici mesi consecutivi in cui le temperature globali si sono costantemente mantenute di 1,5 gradi sopra i valori pre-industriali, è lecito aspettarsi che la situazione non migliorerà in tempi brevi.

L’estate del resto non sta solo diventando più intensa, si sta anche allungando. Alcuni studi rivelano che nell’emisfero settentrionale le stagioni estive si sono già nettamente estese (mentre gli inverni si sono accorciati ): tra il 1952 e il 2011 siamo passati da 78 giorni estivi a 95, e si prevede che di qui al 2100, se le curve non cambiano, potremmo arrivare a un’estate di quasi cinque mesi e un inverno di due.

“Quella del 2023 è stata l’estate dei record: per la quantità di giorni di ‘stress da calore estremo’ in Europa, per la frequenza delle ondate di calore, incendi e alluvioni, ma anche per il numero di decessi connessi a temperature ed eventi estremi”.

Ma se in buona parte del mondo occidentale ci è concesso cullarci nell’illusione che questo problema riguardi un futuro lontano, in altre parti del globo quel futuro è già arrivato. In India l’estate di solito dura da marzo a maggio, quest’anno però si è spinta fino a giugno inoltrato, con ondate di caldo che hanno causato più di 40.000 colpi di calore (a Delhi e Kanpur i pipistrelli cadevano morti dagli alberi). Alla Mecca, in Arabia Saudita, nei giorni del pellegrinaggio Hajj più di 1300 pellegrini sono morti a causa delle temperature eccessive.  

In Europa per ora non raggiungiamo simili estremi, ma ormai da qualche anno l’estate è ostaggio di ondate di calore e alluvioni devastanti. In Italia, in queste prime settimane di estate, abbiamo già sperimentato situazioni limite, come l’alluvione che ha isolato Cogne e travolto Cervinia o la tremenda siccità che sta soffocando la Sicilia, con effetti devastanti sull’agricoltura locale (si calcolano già 2,7 miliardi di danni); eventi che un tempo sarebbero stati considerati straordinari che oggi sono  ricorrenti. Giornali e telegiornali tendono ancora a descriverli come fenomeni inattesi e senza precedenti, a circoscriverli nella cornice consolante delle eccezioni, ma questo gioco al ribasso non potrà durare molto. Se per nove mesi all’anno possiamo ancora raccontarci che il mondo non sia nel pieno di un’emergenza (nonostante le prove della crisi climatica abbondino anche nelle altre stagioni, intendiamoci), d’estate siamo costretti a prendere atto della realtà; sebbene spesso in maniera inconscia.

2. La stagione dell’ecoansia

Tutti gli organismi biologici, sotto certi aspetti, funzionano come delle specie di macchinari, e come tutti i macchinari necessitano di particolari condizioni per funzionare in maniera normale, a partire dalla temperatura dell’ambiente in cui si trovano. Un laptop, per dire, può iniziare a dar problemi quando la temperatura supera i 35 gradi; allo stesso modo, il funzionamento del corpo umano risulta sempre più compromesso via via che si superano i 40 gradi: per raffreddarsi l’organismo veicola un maggior flusso sanguigno verso la pelle, nel farlo devia il sangue e l’ossigeno dallo stomaco e dall’intestino, il che può comportare la formazione di coaguli, arresti cardiaci, fino ad arrivare al collasso di alcuni organi. L’esposizione a un calore eccessivo va poi ad esacerbare problematiche mediche che in condizioni normali sarebbero più stabili e gestibili, dal diabete, all’asma, alle malattie infettive.

Alle ricadute fisiche, ovviamente, si sommano quelle psicologiche. Diverse ricerche mostrano come il caldo possa aggravare i casi di ansia, depressione e insonnia: l’irritabilità aumenta e la concentrazione diminuisce, le funzioni cognitive rallentano, diventa più faticoso lavorare ed evitare gli errori, aumentano gli incidenti sul lavoro e diminuisce la produttività, il che spesso va a creare ulteriore ansia e ulteriore insonnia, alimentando un circolo vizioso che può comportare conseguenze drammatiche. Un ambiente caldo e umido, infine, ostacola la capacità del nostro corpo di ridurre la temperatura attraverso il sudore, e questo diventa problematico per chi assume  farmaci, come gli antidepressivi, che già in condizioni normali possono interferire con la regolazione della temperatura corporea.

Non stupisce allora che all’aumento delle temperature estive sia associato un aumento nel tasso di suicidi, come non stupisce la rinnovata attenzione verso disturbi che un tempo potevamo permetterci di trascurare. Uno su tutti, la cosiddetta Summertime SAD (Seasonal Affective Disorder), una condizione depressiva stagionale caratterizzata da insonnia e inappetenza, le cui cause non sono ancora del tutto chiare (si pensa sia legata al fatto che alcune delle molecole che regolano l’umore, come la serotonina e l’epinefrina, siano  anche coinvolte nella regolazione della temperatura corporea).

Sbaglieremmo però a pensare che il problema riguardi solo chi già presenta disturbi specifici. L’ecoansia, il termine-ombrello che stiamo imparando a utilizzare per raccontare l’ampia varietà di disagi correlati alla crisi climatica, si sta diffondendo in fasce sempre più ampie  della popolazione, e l’estate è la stagione in cui si manifesta in modo più intenso. Il punto non è soltanto che abbiamo sempre più paura del caldo e degli eventi estremi, il punto è che il clima è sempre meno prevedibile, e il mondo in cui viviamo assomiglia sempre meno a quello che molti di noi hanno imparato a conoscere negli anni.

Perché l’estate non ci piace più -

Per quanto ci piaccia immaginarci come individui versatili e adattabili, la realtà è che noi esseri umani prediligiamo la stabilità. Il che non significa necessariamente che  preferiamo  una rassicurante e monotona quotidianità agli imprevisti di una vita movimentata, parlo piuttosto della nostra tendenza a interiorizzare un’idea dinamica di normalità, un ventaglio di possibili situazioni che ci aspettiamo esaurisca ogni eventualità, dandoci l’illusione di avere un qualche controllo su ciò che succede o potrebbe succederci. Ecco: per molto tempo l’estate è stata la stagione da cui ci aspettavamo giornate calde e temporali, vacanze rilassanti e noia, qualche notte insonne per il caldo o per le zanzare; ora sta diventando la stagione delle ondate di calore interminabili, delle alluvioni devastanti, degli incendi indomabili, eventi che la crisi climatica sta rendendo sempre più intensi e sempre meno prevedibili; una stagione, insomma, da cui non sappiamo cosa aspettarci. 

In questo senso, la “pausa estiva”, che molti studenti ancora oggi agognano e riempiono di aspettative, rischia di assumere la forma di una rovente e sfiancante sala d’attesa per l’autunno. 

3. Ripensare la pausa estiva

Tra le tante cose che diamo per scontate, e che la crisi climatica ci spingerà a cambiare, c’è l’idea che l’estate sia il periodo dell’anno in cui alcune attività si fermano, come quella scolastica, mentre altre entrano in pieno regime, come quella turistica. Viviamo la pausa estiva come se ci fosse sempre stata, ma a ben vedere è una novità piuttosto recente. Nel suo saggio School’s in: The History of Summer Education in American Public Schools, lo storico Kenneth Gold racconta come fino al XIX secolo, negli Stati Uniti, il calendario agricolo prevedesse di solito un breve periodo scolastico in inverno e un altro breve periodo scolastico in estate. La ragione di questa suddivisione era che le famiglie contadine avevano bisogno del contributo dei più giovani durante le fasi di semina, raccolto e vendita, che normalmente avvengono in primavera e nella prima parte dell’autunno. Le scuole urbane, invece, erano aperte tutto l’anno, non erano obbligatorie, e gli alunni ci andavano quando potevano. A detta di Gold, il break estivo sarebbe nato per arginare il rischio di epidemie da vaiolo, difterite e altre malattie, che abbondavano nelle città in crescita, ma anche da una necessità borghese: già allora i mesi estivi potevano rivelarsi intollerabili in città, e le famiglie più ricche ne approfittavano per riparare nelle loro seconde case.

Oggi, quello che un tempo poteva essere un capriccio borghese, sta assumendo la forma di un’esigenza generale. Lo dimostra il fatto che negli ultimi anni la stagione estiva montana ha registrato un’impennata senza precedenti: se prima la quota invernale copriva il 70% del settore, ora è scesa a 55%, con una quota estiva che incalza al 45%. Il turismo estivo sta cambiando rapidamente più o meno ovunque. Sebbene il settore sia tuttora in espansione, alcune mete un tempo gettonate cominciano a registrare un insolito declino nelle prenotazioni, vale per Las Vegas, come per le Bahamas e le città del Mediterraneo. Il problema non è soltanto il caldo, ma anche il pericolo di uragani e alluvioni, che con l’innalzamento delle acque e dell’umidità si fanno ogni anno più letali. Questo vale in particolare per le aree costiere, ossia la metà delle mete turistiche mondiali: quasi un terzo dei resort caraibici, per dire, sembra destinato a essere inondato da qui ai prossimi decenni.

“Quello che un tempo poteva essere un capriccio borghese, sta assumendo la forma di un’esigenza generale. Lo dimostra il fatto che negli ultimi anni la stagione estiva montana ha registrato un’impennata senza precedenti”.

L’estate fa paura anche ai turisti, dunque, ma prima ancora fa paura a chi per lavoro deve trascorrere lunghe ore all’aperto. Il rapporto ADAPTHEAT, pubblicato lo scorso giugno, ha rivelato che le ondate di calore causano ogni anno, a livello globale, 22,85 milioni di infortuni, una cifra che con le dovute misure potrebbe essere drasticamente ridotta. Nel sud della Spagna, dove d’estate le temperature raggiungono ormai frequentemente i 45 gradi, è pratica diffusa l’orario anticipato per chi lavora all’aperto, ad esempio nei cantieri e nei campi: il cartellino viene timbrato alle 6 del mattino e la giornata finisce intorno alle 2 del pomeriggio. Alcune aziende, poi, hanno iniziato a introdurre delle lunghe pause nelle ore più calde per consentire ai lavoratori di rifugiarsi  in ambienti più freschi. L’Italia, che pure è il paese con più morti correlate al caldo, da questo punto di vista è ancora indietro: esistono provvedimenti virtuosi a livello locale, ma manca una strategia nazionale.

Quello scolastico, quello turistico e quello lavorativo sono dunque tre settori che potrebbero trarre significativi vantaggi da un cambio di paradigma nella gestione della stagione estiva. Sono già diversi anni che si discute dell’opportunità di abolire la pausa estiva così come la conosciamo. C’è chi propone di ridurre il periodo di interruzione scolastica a cinque settimane, se non addirittura a quattro, sostenendo che un break prolungato porti a una sostanziale perdita di apprendimento (gli studi in merito sono discordi). L’idea non è così peregrina: ridistribuire i giorni di vacanza in modo più uniforme nel calendario annuale potrebbe aiutare ad alleviare il carico di lavoro durante i mesi meno caldi e ridurre il rischio di perdita d’apprendimento nei mesi più caldi; inoltre, alleggerirebbe le famiglie dalla necessità di dividersi tra lavoro e cura dei figli proprio nei mesi più psicologicamente impegnativi. D’altro canto, però, esistono anche valide ragioni per potenziare la pausa estiva: poiché i mesi più caldi stanno diventando sempre meno vivibili, potrebbe aver senso trattarli come un periodo dove la protezione e la cura sono  prioritarie rispetto ad apprendimento e produttività.

4. Il ritorno estivo alla realtà 

Quando ero piccolo l’estate era qualcosa che poteva trascorrere in fretta o con esasperante lentezza: era la stagione in cui il tempo quasi non esisteva, si guardava l’orologio solo quando cominciava a calare il sole, e ogni giorno bisognava trovare una soluzione diversa alla noia. In Brianza, dove vivevo io, era la stagione delle avventure: ci si inoltrava in boschi inesplorati, si attraversavano torrenti a piedi nudi, si vagava per chilometri negli interminabili campi ingialliti, ci si perdeva per sfida. Le paure del resto appartenevano all’inverno, alla scuola, alle notti fredde e silenziose; l’estate era una stagione temeraria. Si poteva ridere delle insolazioni, delle scottature che ti impedivano di sederti, delle notti insonni a far braccio di ferro col caldo, si poteva ridere dei pomeriggi talmente roventi da non potere uscire di casa, e della noiosa, forzata immobilità che ne seguiva. Si poteva ridere di quasi tutto. Era il privilegio dei temperati. 

Perché l’estate non ci piace più -

Alle nostre latitudini l’estate è sempre stato un fuoco con cui si poteva giocare, perché sapevamo non avrebbe bruciato per molto. Un po’ come alcuni abitanti delle zone artiche, che si rifiutano di montare tapparelle alle finestre nonostante d’estate il sole non cali mai, noi approfittavamo anche delle scomodità dell’estate perché sapevamo che presto le avremmo rimpiante. 

Se l’estate ora comincia a farci paura è anche per questo. La stagione che un tempo aspettavamo come una fuga dalla realtà, sta diventando la stagione in cui la realtà arriva a presentarci il conto.

Fabio Deotto

Fabio Deotto è scrittore e giornalista. Il suo ultimo libro è L’altro mondo. La vita in un pianeta che cambia (Bompiani, 2021).

 

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