Antonia Ferri
Sulle sponde bresciane del lago di Garda, c’è un albergo di lusso che ha una storia antica e prestigiosa: Villa Feltrinelli. Qui Giangiacomo sfidava Moravia a scacchi, Henry Miller giocava a ping pong e Mussolini ha vissuto, malvolentieri, gli ultimi anni della sua vita.
Il prato di villa Feltrinelli è liscio e curato, per la residenza si aggira qualche coppia di turisti americani che passeggia in silenzio curiosando tra i roseti e i vecchi casali restaurati. In lontananza si sentono le onde leggere che sbattono dove un tempo attraccavano le barche. Probabilmente questi silenziosi avventori, che nel tempo libero si divertono a giocare a croquet nel prato dell’hotel a villa Feltrinelli, non sanno quello che si mormora da un secolo a Gargnano, dove si trovano adesso, così come in tutti i paesi della sponda bresciana del Lago di Garda che insieme compongono un unico territorio: “È una villa piena di fantasmi, perché tutti i suoi abitanti sono morti di morte violenta”.
Autunno 1943.
Le SS naziste scavano un bunker nel retro della villa, a ridosso della collina. Nel caso di bombardamenti da parte degli Alleati, Benito Mussolini potrebbe ripararsi lì.
1965.
Carlo Feltrinelli, figlio dell’editore Giangiacomo Feltrinelli, è un bambino. Si perde giocando tra sale, corridoi e atri pieni di specchi, affreschi e vetri colorati. Fino al bunker, che ha ancora le cornette per gli SOS in caso di bombardamento.
2024.
I tacchi sottili dell’assistente del direttore affondano nella ghiaia del giardino dell’hotel a villa Feltrinelli: “Un bunker? Sì, c’è: ci teniamo i macchinari che fanno rumore. Qui i clienti vogliono il migliore dei servizi: con quello che pagano!”
Oggi la “F” di Feltrinelli è ancora impressa sulla parte alta della facciata della villa, ma al suo interno non si aggirano tedeschi e fascisti, né tantomeno intellettuali di tutto il mondo ed editori letterari. Chi cammina per i viali percorsi da piante – tutte – commestibili sono tra i cinquanta e i novanta addetti ai lavori, camerieri, giardinieri, inservienti, uno chef che dirige il ristorante che vanta due stelle Michelin e gli ospiti delle 20 lussuose camere che compongono l’albergo – prezzo di partenza, 1800 euro a notte.
La storia di villa Feltrinelli risale al 1892, quando fu costruita a Gargnano, a ridosso delle acque scure del lago. Al tempo la famiglia era nota per il commercio di legname e per le loro donazioni alla comunità grazie alle quali i paesi del lago prosperarono: i Feltrinelli fecero costruire asili, scuole, un cimitero, una residenza per anziani, ospedali. E dentro il perimetro della villa dipinta di giallo e salmone con una torretta su un lato, soffitti affrescati e un grande parco, stesero limonaie e adibirono le case di contadini e custodi. Dalla villa al lago, i Feltrinelli diedero vita alla navigazione pubblica, sempre con l’idea di usare il loro privilegio economico per fornire un servizio alla comunità. E anche Giangiacomo, la scintilla che diede vita alla casa editrice Feltrinelli, nel 1949 durante lo sciopero dei braccianti della Bassa Padana, usò parte della sua eredità (il ricovero degli anziani ormai semivuoto) per accogliere bambini figli del proletariato che con il proseguire della protesta non avevano più di che mangiare.
“Con l’albergatore statunitense Robert H. Burns abbiamo scelto di trasformare la villa in una residenza che è molto più di un hotel a cinque stelle in modo da recuperare i soldi per poterlo mantenere nel tempo”. Markus Odermatt oggi è il direttore e gestore unico della villa ed è convinto che se Burns non l’avesse acquistata all’asta nel 1997 sarebbe rimasta preda dell’abbandono: “È un regalo allo Stato italiano, alla comunità: per questo apriamo anche al pubblico”. Succede una volta all’anno, verso metà ottobre, a ridosso della chiusura per la stagione invernale; il percorso è obbligato e le persone entrano a gruppi: “Sono curiosi”, vengono per vedere la residenza del dittatore fascista Benito Mussolini, e ammirare la bellezza dei 72 pezzi storici parte degli arredamenti. E possono visitarla, non solo per concessione dei proprietari ma anche per un vincolo che la Soprintendenza Archeologia Belle Arti ha sancito al momento dell’acquisto: per la sua importanza storica, la residenza deve aprire alle visite dall’esterno, e, allo stesso modo, non avrebbe potuto mutare forma o subire ristrutturazioni che ne modificassero l’aspetto originale. “Abbiamo deciso di trasformarla in un hotel boutique, per rendere accessibile a un pubblico più ampio la sua bellezza unica e poterla condividere. Ci abbiamo messo cinque anni”. Odermatt ne è convinto, lo ripete: “Se la ristrutturazione non fosse stata approvata e realizzata, questa villa oggi non esisterebbe più”. Crede che sia necessario dare fiducia agli investimenti privati per mantenere i monumenti storici del Paese.
Come fu con Robert Burns a suo tempo, il quale nel 2007 ha lasciato la proprietà e la gestione alla società di Odermatt, villa Feltrinelli s.r.l. – che al momento in cui si scrive risulta al 100 per cento di proprietà della Camerlex Holdings Limited (cipriota) e che, secondo «Forbes», fa capo al magnate russo Viktor Vekselberg, colpito dalle sanzioni degli Stati Uniti nel 2018.
E in Russia (una Russia antica e diversa da quella di oggi) affonda le radici anche la storia della villa. Quella del Dottor Živago, romanzo del poeta russo Boris Pasternak, è la vicenda di un altro fantasma, letterario e politico.
“La storia di villa Feltrinelli risale al 1892, quando fu costruita a Gargnano, a ridosso delle acque scure del lago”.
Il manoscritto arriva a Giangiacomo Feltrinelli nel 1956, attraverso il comunista italiano Sergio D’Angelo che, tra le altre cose, aveva già collaborato con la casa editrice in veste di traduttore e scout letterario. Pasternak desiderava che il libro circolasse anche fuori dall’Italia, in particolare in Francia e in Inghilterra e, ottenute rassicurazioni in tal senso da Feltrinelli, diede il via libera alla pubblicazione: “Che faccia il giro del mondo”. Giangiacomo Feltrinelli lo pubblica nel 1957 sfidando la censura sovietica: il libro in URSS viene considerato “un sermone politico pieno di pregiudizi borghesi contro la rivoluzione” e l’Unione Sovietica, esercitando pressioni anche sul PCI, s’impegnerà molto a ostacolarne la pubblicazione. Feltrinelli però non si lascia scoraggiare dal clima ostile: da comunista, crede riconosce il valore letterario e politico del romanzo. Feltrinelli e Pasternak si scrivono lettere in francese, attraverso un codice linguistico che rimane segreto ai vertici dell’URSS. Da quando nel 1956, Feltrinelli riceve il dattiloscritto, alle pressioni da Mosca si sommano quelle del Partito comunista italiano, che teme l’attrito con l’URSS proprio negli anni in cui quest’ultima sta cercando una distensione con la comunità internazionale. Togliatti chiede all’editore di attendere, in vista della pubblicazione simultanea in Russia e in Italia. Ma Feltrinelli conserva il libro, affretta la traduzione, e nonostante le titubanze dello stesso Moravia a cui chiede una prima revisione, e per il timore che i comunisti in Unione Sovietica vogliano far saltare la pubblicazione, procede alla stampa: il 23 novembre del 1957 il romanzo di Pasternak esce in 12 mila copie. Sarà un successo straordinario di vendite.
Al termine di tutto, nell’inverno del 1959, la sconfitta russa si incarna nella figura del vicepresidente del Consiglio dei ministri Anastas Ivanovič Mikojan fotografato a New York davanti a una libreria la cui vetrina ospita solo Il Dottor Živago. Dalla stessa scrivania su cui Giangiacomo Feltrinelli conduceva il carteggio con Boris Pasternak, poco più di dieci anni prima, si alzava, senza più farvi ritorno, Benito Mussolini.
È un uomo finito, un fantasma, lo dice espressamente alla sua amante, Claretta Petacci. Ma lo scrive anche alla sorella Edvige, usando queste parole: “Io sono un uomo tre quarti morto”. Roberto Chiarini parla così del Mussolini del periodo della Repubblica Sociale Italiana, lui che è presidente del Centro studi Rsi che si occupa proprio di analizzare il periodo compreso tra l’ottobre del 1943 e l’aprile 1945. “È fatto noto che detestava il lago, la sua tristezza e umidità. Si sentiva in esilio, privato del corpo che aveva sempre usato come tramite di comunicazione e che aveva reso emblema della potenza dell’uomo fascista. Se ne stava sempre chiuso in casa, sequestrato di fatto dai tedeschi da cui era attorniato”. Mussolini si intristisce davanti alla gigantesca magnolia dei Feltrinelli che si allunga di fronte alla sua finestra, mentre tutt’intorno i nazisti sequestrano ville e palazzi per costruire le sedi istituzionali del regime nazi-fascista del nord Italia.
Credits National Archives and Records Administration.
Mussolini passa le sue giornate andando avanti e indietro in bicicletta da villa Bettoni, dove c’è la presidenza del Consiglio, a villa Feltrinelli, dove vive e a cui fa togliere la torretta per mettere una mitragliatrice. Al Grand Hotel a Gardone i soldati nazisti feriti passano la convalescenza, e nello stesso paese, a villa Fiordaliso, vive l’amante Claretta Petacci, poche centinaia di metri sotto il Vittoriale di Gabriele D’Annunzio. A Salò, conosciuta come capitale della Rsi, c’era solo la tipografia Stefani che timbrava i documenti ufficiali. “Perché fu scelta proprio villa Feltrinelli non so. Ma il confine con il Reich era vicinissimo, a 20 chilometri: era lì pronto per fuggire in Germania. E tutte le ville della zona erano di villeggiatura, perciò i tedeschi affittarono formalmente le residenze a una piccola somma, di fatto, sequestrandole”. La fine è nota: il 25 aprile 1945 Mussolini si alza alle 7.30, come suo solito, indossa la divisa ed esce per sempre da villa Feltrinelli. Alle 16.10 del 28 aprile la sua fucilazione chiuse definitivamente il ventennio fascista. Mentre negli anni successivi dell’Italia liberata la residenza si ripopola: Winston Churchill, che amava dipingere paesaggi, gira spesso intorno alla villa e alla sua cornice di montagne, cercando forse una corrispondenza con il dittatore che non troverà mai. I Feltrinelli tornano. Carlo, figlio di Giangiacomo, la ricorda negli anni Sessanta, quelli che precedono la clandestinità del padre, entrato nelle file della lotta armata degli anni di piombo. Diventato Osvaldo (nome di battaglia) dentro i Gruppi d’Azione Partigiana che aveva fondato, morirà di una morte violenta ancora avvolta nel mistero, dilaniato dall’esplosivo che stava posizionando su un traliccio dell’alta tensione a Segrate, nell’hinterland milanese. Ma quello che Carlo ricorda e descrive nel suo libro Senior Service è la grande magnolia con i fiori bianchi, e quello che racconta è che “tutto è dolce in riva al Garda, anche il pomodoro nella pastasciutta. In paese si mormora di fantasmi, ma nei nostri pranzi in cucina c’è calore e gli scalini della veranda sono l’angolo giusto per parlare. Da qui guardiamo il lago, e il Monte Baldo con spruzzo di neve è da cartolina giapponese”. Quegli anni sono quelli del decennale dalla nascita della casa editrice: Inge Schoenthal Feltrinelli, fotografa ed editrice, nonché moglie di Giangiacomo organizza feste e cene. Invita Alberto Arbasino, Umberto Eco, Camilla Cederna. In una sera del 1965 fa conoscere allo scrittore Gregor “Grisha” von Rezzori la baronessa Beatrice Monti della Corte, con la quale si è poi sposato, istituendo anche, nei dintorni di Firenze, la più celebre residenza per scrittori in Italia, dove negli anni si sono incontrati Sally Rooney, Olga Tokarczuk, Zadie Smith e Michael Cunningham.
Alberto Moravia e Giangiacomo Feltrinelli hanno più volte giocato a scacchi nel giardino che dà sul lago. Mentre Henry Miller, autore di Tropico del Cancro (edito anch’esso Feltrinelli), libro circolato negli Stati Uniti di contrabbando, nonostante la censura per via dei dettagliati racconti di esperienze sessuali, ha soggiornato spesso a villa Feltrinelli. Inge e Giangiacomo avevano comprato un tavolo da ping pong per lui, che non sapeva stare senza.
Carlo ricorda confusamente i nomi – un altro legato ai Rolling Stones, quello di Anita Pallenberg, modella, attrice, artista e stilista – che hanno vagato per le stanze della villa di Gargnano. Di loro e delle loro piccole grandi rivoluzioni sono rimaste delle aure. I grandi romanzi si sono trasformati in fantasmi. E di Giangiacomo sopravvive ancora quell’ultimo spettro che circonda la sua morte, dopo la quale la villa fu venduta a una ricca famiglia bresciana di costruttori edili, i Regalini, che la lasciarono in disuso, finché l’occhio acuto di Burns non la scorse durante un sorvolo del lago in elicottero. Della concitazione e del fervore della vita precedente oggi non c’è più traccia.
Durante il carteggio con l’editore, Pasternak scrisse – velandole d’ironia – queste parole: “Siete fin d’ora invitato alla mia fucilazione”. Morirà nel 1960, dopo che nel 1958, nonostante la gioia, per il timore dell’esilio dovette rifiutare il premio Nobel. Il Dottor Živago invece è oggi un classico del Novecento, e in Russia è stato pubblicato nel 1988.
Antonia Ferri
Antonia Ferri è reporter e giornalista freelance. Collabora con testate nazionali e internazionali, occupandosi principalmente di migrazioni e conflitti sociali.
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