Romano Bilenchi: oltre l’impegno - Lucy
Compagni di strada

Goffredo Fofi

Romano Bilenchi: oltre l’impegno

17 Maggio 2024

Scrittore ambiziosissimo, autore di saggi pionieristici, ma soprattutto redattore senza compromessi: Romano Bilenchi è stato al centro della vita culturale italiana del secolo scorso eppure oggi sembra essere stato messo da parte.

Ho scritto il mio primo articolo – una corrispondenza da Partinico sullo “sciopero a rovescio” organizzato da Danilo Dolci all’inizio del 1956, che era finito con l’arresto di decine e decine di partecipanti e un processo che fece clamore – sul «Nuovo Corriere» di Firenze, quotidiano diretto e fondato negli anni della guerra fredda da Romano Bilenchi.

L’ho conosciuto più tardi insieme alla bravissima moglie Maria, già segretaria di redazione del giornale. Il «Nuovo Corriere» fu, non solo a parer mio, il quotidiano più intelligente e aperto che la sinistra avesse mai avuto. Però, finanziato dal PCI, venne chiuso d’autorità quando prese le difese degli operai polacchi in sciopero e, a distanza di poco, della rivoluzione ungherese contro l’oppressione stalinista. 

Bilenchi è stato certamente uno degli intellettuali più rappresentativi di un tempo che ne fu straordinariamente ricco, con la Resistenza e in epoca repubblicana, ma fu anche uno degli scrittori più esigenti e profondi che l’Italia avesse mai avuto. Era stato fascista – credendo che il fascismo fosse la continuazione del Risorgimento. Formidabile il racconto che mi fece di quando Mussolini convocò lui e i redattori fiorentini di una piccola rivista di fronda, elogiandoli perché di fronda il fascismo aveva bisogno per non imborghesirsi, ma aggiungendo un gesto brutale della mano destra per dire: “guai a voi se però esagerate”. 

Romano diventò antifascista al tempo della guerra di Spagna, e comunista e partigiano durante la Resistenza. Alle stragi naziste e alla storia della Resistenza in Toscana dedicò inchieste e saggi memorabili quanto quelli dell’amico Piero Calamandrei, e fu amico e sodale dei grandi artisti, educatori, politici, preti del periodo forse più glorioso della Firenze moderna.

“Bilenchi è stato certamente uno degli intellettuali più rappresentativi di un tempo che ne fu straordinariamente ricco, con la Resistenza e in epoca repubblicana, ma fu anche uno degli scrittori più esigenti e profondi che l’Italia avesse mai avuto”.

Fu amico fraterno di Pratolini e di Luzi e fu legato alle edizioni Vallecchi che, tramite il lavoro con le riviste prima e con i quotidiani poi, seppe aprire ai nomi tra i più esigenti e combattivi del tempo. Dopo la chiusura del «Nuovo Corriere», si occupò delle pagine culturali di «La Nazione», non un giornale di sinistra, ma che gli lasciò carta bianca nelle sue scelte, anche in quella dei collaboratori.

Nel suo libro Amici, edito da Einaudi nel 1976 e di cui ci si augura la ristampa, sono compresi i ritratti di molti grandi letterati e politici del suo tempo, un tempo che alcuni hanno chiamato delle “Giubbe rosse” dal nome del caffè nel centro di Firenze che frequentarono tante belle persone dagli anni Venti ai Sessanta. Il ritratto più bello di Amici è forse quello che Bilenchi ha dedicato a Vittorini. 

Non è stato uno scrittore prolifico, Bilenchi, ma si può ben dire che ogni suo testo – grande o piccolo, racconto o romanzo, testimonianza o saggio, inchiesta o polemica – si è caratterizzato per una precisione e un rigore di scrittura di rara densità; e certamente gli esempi cui si rifece, e che ha più volte citato, furono gli antichi cronisti della Firenze più classicamente lontana nel tempo, i Compagni e i Villani. 

Il suo libro d’esordio fu Vita di Pisto (1931). Pisto era un vecchio garibaldino del suo paese, Colle Val d’Elsa (in provincia di Siena). (Una curiosità: Bilenchi poco più che ventenne collaborava alla rivista «Il Selvaggio» di Maccari, e Maccari lanciò il libro con il primo esempio forse, in Italia, di una fascetta, che fu lui stesso a scrivere: “Il libro più venduto nel Massachussett”!). 

Bilenchi è autore di due romanzi – uno del 1940, Conservatorio di Santa Teresa, e l’altro del 1972, Il bottone di Stalingrado – e di una manciata di racconti ciascuno dei quali, per l’alta misura della lingua e per un’intima grazia nata dal levare invece che dall’aggiungere, sono tra i migliori di tutta la nostra storia letteraria.

“Non è stato uno scrittore prolifico, Bilenchi, ma si può ben dire che ogni suo testo – grande o piccolo, racconto o romanzo, testimonianza o saggio, inchiesta o polemica – si è caratterizzato per una precisione e un rigore di scrittura di rara densità”.

Si tratta di Anna e Bruno e di Mio cugino Andrea, e di tre racconti, scritti in tempi diversi, che sembrano pezzi di uno stesso austero ed essenziale romanzo, La siccità, La miseria e Il gelo (i primi due del 1940-41, il terzo del 1983) sulla formazione di un ragazzo di provincia da infanzia ad adolescenza, un apprendistato all’età adulta e alla solitudine, che per molti aspetti mi è sempre parso debitore dell’austerità ed essenzialità di un Tozzi (vicino) e di un Kafka (lontano) ma anche di quello che egli stimava il più grande racconto del Novecento, I morti di Joyce, che chiude I dublinesi. 

Se Conservatorio ha delle affinità profonde con i racconti, Il bottone di Stalingrado ha le ambizioni di un grande affresco storico, e può perfino ricordare, per qualche verso, certe grandi opere dell’Ottocento, compreso I promessi sposi… Un’impresa non meno ambiziosa e non meno generosa, e perfettamente laica.

La recensione che ne feci per i «Piacentini» la intitolai Tre tempi della guerra di classe, ché i dilemmi politici di tre epoche dall’Ottocento al secondo dopoguerra riguardavano direttamente e decisamente la storia anche politica del nostro proletariato (e non solo del nostro).

Continua a stupirmi la scarsissima attenzione che viene dedicata a questo romanzo dai soloni delle nostre belle lettere, e in qualche modo a scandalizzarmi: quanti scrittori possono vantare nella storia della nostra letteratura un romanzo di queste ambizioni, e che oggi quasi nessuno più legge? (Aggiungo: quasi nessuno a sinistra, di quel poco di sinistra che ancora esiste, pur così debole e incerta).   

Goffredo Fofi

Goffredo Fofi è saggista, critico cinematografico e letterario. Il suo ultimo libro è Cari agli dèi (Edizioni E/O, 2022).

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