Aggro Dr1ft di Harmony Korine è un film-videogioco che sfida lo spettatore - Lucy
articolo

Nicola Lagioia

Aggro Dr1ft di Harmony Korine è un film-videogioco che sfida lo spettatore

06 Settembre 2023

L'ultimo film del regista di "Gummo" appare pensato ad arte per scoraggiare il pubblico. Eppure, a chi resiste alla visione, il film sembra dire molto del nostro tempo.

La gente si alza e se ne va dalla sala cinematografica. Pensano “è uno scherzo”, “che senso ha?”, “ci sta prendendo per il culo”. Oppure restano davanti allo schermo, sprofondati in una poltrona della Sala Grande all’una del mattino, senza sapere come tradurre in pensieri complessi un sentimento nuovo, fatto di angoscia, noia e meraviglia.

La prima proiezione di Aggro Dr1ft, il nuovo film di Harmony Korine, presentato fuori concorso alla Mostra veneziana, è un’esperienza che va oltre il cinema e fa riflettere sul futuro (o è il presente?) della razza umana, passando più per Gran Theft Auto che per Foucault o Deridda. Spero si sia trattato di una scelta precisa: solo una proiezione (l’ultima, in Sala Giardino) con la luce del giorno, le più importanti a mezzanotte (Sala Grande), alle dieci e mezzo di sera (Sala Darsena), al limite nella più piccola Sala Perla all’ora di cena.

Uscire nella notte di un Lido semideserto dopo aver visto questo film restituisce meglio la sensazione di stordimento e paura che i più aperti si sono concessi durante la proiezione. Girato con lenti termiche (i personaggi, gli oggetti e il paesaggio sono macchie fluorescenti, la grana grossa uccide volutamente ogni dettaglio), Aggro Dr1ft ci mostra BO (Jordi Mollà), un killer rozzo e melanconico che si muove in una Miami che sembra ridisegnata da una consolle di trent’anni fa (anche qui: c’è la sensazione che 8 bit restituiscano meglio dell’alta definizione ciò che ci sta accadendo) alla ricerca di un terribile signore del crimine con cui ingaggiare un duello all’ultimo sangue. Accanto a lui c’è Zion (un quasi irriconoscibile Travis Scott), nel ruolo di discepolo con la lingua da rettile. Sullo sfondo, una famiglia a cui tornare in caso di sopravvivenza.

Nel mezzo: prostitute che twerkano, auto sportive, tribù di suburbani (tra Carpenter e gangsta rap), monologhi di cavernose voci off per le quali il delirio egomaniaco (“sono il miglior assassino del mondo”) è l’ultimo argine a una solitudine suicida (“uccidi o ucciditi” potrebbe essere il codice di questo universo dove il cervello rettiliano riprende il sopravvento), figure demoniache che si accendono nel cielo come corrispettivo dello stato d’animo dei personaggi.

Le musiche sono affidate a Abraham Orellana, noto come AraabMuzik, un ritmo cupo e martellante che scaraventa lo spettatore-ascoltatore in una dimensione allucinata fatta di orrore metafisico, violenza e vuoto esistenziale. Il denaro è il motore del mondo. La violenza il suo discepolo. L’io è un guscio svuotato dai significati che avevamo creduto lo tenessero in piedi negli ultimi tre secoli e poi riempito di un fluido sintetico (“Fluids!”, ripeteva ossessivamente il Jack D. Ripper del Dottor Strangelove, uno dei primi apologhi sulla specie in mutazione) capace di ridefinirlo in un modo al tempo stesso autoevidente e misterioso.

Aggro Dr1ft sembra seguire più gli schemi del videogioco che la drammaturgia di un vero film. Per questo è noioso e ricorsivo. Ma, come nel vero cinema, ogni immagine (così vigorosamente semplificata, sfigurata, sintetizzata) è molto più di ciò che sembra e comunica in superficie, specie se della superficie fa l’apoteosi. Dopo i primi dieci minuti di visione, anche io ho avuto la tentazione di alzarmi e andarmene come vedevo fare intorno a me (alla fine della proiezione, in sala è rimasta poco più della metà degli spettatori), ma poi qualcosa mi ha costretto a restare. Non era la necessità di capire come andava a finire (quale può essere il significato recondito di un videogioco d’azione?) ma la voglia di sentire meglio l’azione di Aggro Dr1ft dentro di me.

L’uomo del Novecento è finito, sembra affermare Korine (per meglio dire: si è inabissato l’esperimento umano per come lo abbiamo condotto dal Rinascimento in poi), la trinità di es io e super io è polverizzata, l’inconscio è collassato su se stesso. Al suo posto ci sono degli umanoidi governati non più dalle profondità care a Freud, a Proust, a Pirandello, a Joyce, ma pure forze, spinte oscure, vettori, inquietanti deità. Non c’è più il complesso di Edipo, ci sono i demoni che guidano le nostre azioni, esattamente come gli dèi dell’Iliade governavano le gesta degli achei e dei teucri. Non più Zeus, Atena, Afrodite, Ermes, ma “neon demons” nel cielo di South Beach. Ci sono soprattutto forze sotterranee e mortifere. Ma Harmony Korine non è così sprovveduto (e neanche così cinico) da non contemplare, tra queste potenze primitive, anche l’amore. L’amore puro. È qui che il gioco rischia di rovesciarsi in qualcosa di ancora più imprevisto.

La notte dopo aver visto Aggro Dr1ft, sono andato a vedermi la versione restaurata de I giorni del cielo di Terrence Malick. Il primo è un esperimento audace (molto più di una semplice provocazione, anzi, della provocazione il film di Korine non ha proprio nulla, secondo me). Il secondo è un capolavoro. Nel primo le lenti termiche impediscono di riconoscere, persino durante i primi piani, i tratti somatici dei personaggi, ridotti a flussi d’energia. Nel secondo ogni piega sul volto di Richard Geere, Brooke Adams, Sam Schepard e Linda Manz scava abissi di significato.

Superficie o profondità? Inconscio o pulsione? Qual è la cosa giusta da fare a questo punto della nostra storia? Diventare gli umani che pienamente non siamo mai stati o trasformarci definitivamente in qualcos’altro?

Nicola Lagioia

Nicola Lagioia è scrittore, sceneggiatore, conduttore radiofonico e direttore editoriale di Lucy. Il suo ultimo libro è La città dei vivi (Einaudi, 2020).

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