Iconografie XXI
26 Novembre 2024
Negli ultimi anni abbiamo assistito al successo e alle relative fragorose cadute di gruppi terroristici, presidenti eletti, partiti populisti e, addirittura, scaltri chef. Una raccolta di immagini curata dal collettivo Iconografie XXI.
Tutto ciò che sale prima o poi scende. Che tu sia il presidente del Brasile, le Nazioni Unite, un’organizzazione terroristica islamista o la democrazia liberale, a ogni ascesa corrisponde un declino, e a ogni declino la possibilità di una nuova ascesa. Il romanzo dei Tre Regni, capolavoro della letteratura antica cinese, lo dice nel suo incipit: “il mondo sotto il cielo, dopo un lungo periodo di divisione, tende a unirsi; dopo un lungo periodo di unione, tende a dividersi; così è stato fin dall’antichità”.
Negli ultimi anni, l’attualità internazionale ci ha offerto immagini-simbolo di ascese vertiginose e cadute improvvise. Ne ripercorriamo dieci assieme a voi.
Rostov, Russia, giugno 2023.
Per tempistiche, importanza e rilevanza internazionale, l’ascesa e il declino più spettacolari degli ultimi tempi sono senza dubbio quelli di Yevgeny Prigozhin. Avvicinatosi agli ambienti del Cremlino nei primi anni Duemila tramite il settore della ristorazione, l’ex detenuto Prigozhin si è avvicinato presto a Putin, divenendo molto influente nella sua cerchia. Con la fondazione del gruppo paramilitare Wagner, che ha permesso al Cremlino una altrimenti impossibile flessibilità nelle operazioni in Siria, Africa e Ucraina, l’ascesa di Prigozhin pareva inarrestabile. Ma, come nel mito di Icaro, anche lo “chef di Putin” è precipitato: dopo una lunga serie di recriminazioni contro la gestione delle risorse militari da parte del Ministero della Difesa, nell’estate 2023, Prigozhin, alla testa della sua compagnia di mercenari, ha guidato una vera e propria ribellione contro il Cremlino, interrotta a soli 200 chilometri da Mosca. In foto, Prigozhin saluta la folla dopo aver negoziato la resa e un accordo con Putin. Poche settimane dopo sarebbe morto a causa di un “guasto” che ha fatto precipitare l’elicottero sul quale stava viaggiando.
Stanford, California, Stati Uniti, giugno 2023.
Con la fine del nazifascismo e la caduta del muro di Berlino nel 1989, per il politologo statunitense Francis Fukuyama la Storia si poteva considerare conclusa. La democrazia liberale aveva finalmente trionfato, imponendosi come la forma di governo perfetta, in grado di proteggere i propri cittadini dalle criminali degenerazioni totalitariste delle ideologie di estrema destra e sinistra. Spiace per chi si era messo comodo, ma per fortuna (o purtroppo) la storia non è affatto finita, al pari delle ideologie che Fukuyama dava per spacciate prima del tempo. Fukuyama stesso sembra averlo capito, e infatti oggi partecipa a iniziative in onore del Battaglione Azov, controverso gruppo paramilitare ucraino di estrema destra noto per l’uso di simboli nazifascisti, nella sua università, Stanford.
Orlando, Florida, Stati Uniti, gennaio 2023.
Nella costellazione della destra internazionale, la stella dell’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro si è accesa e spenta molto rapidamente. Pur essendo un politico di lungo corso, la carriera di Bolsonaro è stata notoriamente mediocre: sia come consigliere comunale della città di Rio de Janeiro che come deputato federale dello Stato carioca, era conosciuto più per le boutade e le assenze che per il talento politico. Fino al 2018, quando – grazie all’esclusione giudiziaria e illegittima dell’avversario Lula – è diventato presidente. Nei quattro anni di presidenza il “Trump dei Tropici” ha attaccato i diritti civili delle minoranze, diboscato l’Amazzonia, smantellato la struttura statale e privatizzato il più possibile. Non ha solo allargato la rivolta populista al Sud America, dunque, ma è stato anche responsabile di quella che l’analista politico Alex Hochuli ha definito “brasilianizzazione del mondo”, ovvero “l’incontro con un futuro negato, in cui la frustrazione è diventata una parte costitutiva della nostra realtà sociale”. Nel 2022 Bolsonaro non è stato rieletto, e mentre il sindacalista Lula prestava giuramento lui era in un KFC di Orlando, Florida, a mangiare pollo fritto. Pochi giorni dopo i suoi seguaci avrebbero cercato invano di assaltare le istituzioni brasiliane, riecheggiando l’assalto trumpista al Campidoglio di Washington DC.
Pechino, Cina, ottobre 2022.
Xi Jinping è l’uomo destinato a plasmare la politica cinese del presente e del prossimo futuro. Se ne aveva sentore da anni, ma la profezia si è avverata durante il XX congresso del Partito Comunista Cinese nell’ottobre 2022, quando Xi – riprendendo le parole del giornalista e sinologo Simone Pieranni – “si è preso tutto”. La consacrazione di Xi ha avuto anche delle vittime: una fetta consistente della cosiddetta vecchia guardia del Partito, in quell’occasione, è stata mandata in pensione, tra cui l’ex premier e numero due del Partito Li Keqiang. Ma la sorte più triste è toccata all’ex presidente Hu Jintao, leader cinese dal 2004 al 2012 e predecessore di Xi alla guida della Cina, che nel bel mezzo dei lavori congressuali è stato portato di peso fuori dalla sala. I media cinesi hanno ignorato la scena, scrivendo solo qualche riga sul fatto che l’anziano Hu soffra da tempo di demenza senile, e che fosse stato accompagnato fuori perché non si stava sentendo bene. Le immagini tuttavia smentiscono questa ricostruzione.
Gaza, Palestina, febbraio 2024.
L’aggressione militare israeliana nei confronti della popolazione palestinese a Gaza non rappresenta solo una crisi umanitaria di proporzioni catastrofiche, la riproposizione di dinamiche genocidiare, e una nuova miccia per gli equilibri estremamente precari del Medio Oriente. È anche la fine dell’ordine internazionale post-1945 incarnato dalle Nazioni Unite. Come ha scritto su «il Mulino» l’accademica Marina Calculli, il fatto che Israele “possa continuare a essere considerato un pilastro e non un’aberrazione di quest’ordine internazionale rappresenta la più grande impresa di equilibrismo della politica contemporanea”. Le Nazioni Unite e le loro “regole condivise” sono ormai tagliate fuori dalla storia, con il ritornello “the UN is deeply concerned” – esempio dell’irrilevanza dell’istituzione, capace solo di esprimere preoccupazione – che è ormai diventato materiale da meme. Sotto le macerie di Gaza, insomma, c’è anche l’idea di pace ed equilibrio tra popoli e nazioni nata dal trauma della prima metà del secolo scorso. Sia metaforicamente che materialmente: una delle foto più eloquenti del conflitto è quella della facciata del palazzo dell’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, a Gaza, bombardato dall’esercito israeliano.
Roma, Italia, marzo 2013.
Più di dieci anni fa, il 15 marzo 2013, il comico Beppe Grillo postava la foto di un apriscatole appoggiato sui banchi del Parlamento italiano, simbolo di quel grido di battaglia “apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno!” che ha accompagnato la rivolta populista in Italia. Due settimane prima il Movimento Cinque Stelle da lui fondato, uno dei primi partiti populisti a raccogliere effettivamente (tantissimi) voti sia da destra che da sinistra, aveva appena preso il 25% e sembrava in grado di rivoluzionare la politica italiana. A distanza di un decennio si può dire che il Movimento Cinque Stelle è cambiato: è diventato sia di destra sia di sinistra, governando con Lega e PD, oltre che con Mario Draghi – un peccato mortale per un movimento populista. Ha mandato in Parlamento politici improvvisati, uomini qualunque (come Di Maio e Di Battista) che poi hanno rotto con le loro radici; ha dovuto gestire una pandemia e ha completamente dissipato il patrimonio di voti guadagnato così velocemente. Il Movimento ha insomma vissuto mille vite e cambiato mille facce, e gli italiani hanno finito per non riconoscerlo più.
Kabul, Afghanistan, agosto 2021.
Con la scomparsa dell’Unione Sovietica e della possibilità di un’alternativa al modello economico capitalista liberale statunitense, il predominio di Washington sul mondo intero pareva ineluttabile. Un McDonald’s in ogni città e un F-22 Raptor in ogni cielo avrebbero confermato l’esistenza di un mondo unipolare, saldamente controllato da una sola superpotenza. E per trent’anni è stato effettivamente così. Poi, non lo è stato più. Il momento in cui abbiamo visto il cambiamento è avvenuto nell’estate 2021, quando il maggior generale Chris Donahue è salito sull’ultimo C-17 americano in partenza da Kabul dopo il ritiro statunitense dall’Afghanistan. Quell’immagine è il simbolo della fine di un’epoca (e dell’inizio di una nuova).
Mar-a-Lago, Florida, Stati Uniti, novembre 2024.
Il 6 gennaio 2021, mentre si svolgeva l’assalto trumpista al Campidoglio di Washington DC, sembrava di assistere alla fine politica di Donald Trump. Il politico, sconfitto alle elezioni, si comportava in modo inconsulto, accusando i Democratici di brogli e incitando i suoi sostenitori a dissacrare i luoghi della democrazia americana. Eppure, nei quattro anni successivi, Trump è riuscito a cavalcare una nuova ascesa, nonostante (e forse grazie a) un arresto con tanto di prima foto segnaletica della storia di un ex presidente degli Stati Uniti, e un tentativo di omicidio. Fino al recente ritorno alla presidenza. Trump ha mille vite: non è difficile ucciderlo, è difficile assicurarsi che rimanga morto. In foto, lo vediamo preparare il discorso della vittoria dopo le elezioni del 2024.
Amburgo, Germania, aprile 2019.
Un decennio fa, lo Stato Islamico proclamava ufficialmente la costituzione di un Califfato in Iraq e Siria, diventando rapidamente il nemico numero uno dell’Occidente e un mostro in grado di popolare gli incubi della coscienza collettiva globale. La storia dell’ISIS è la storia dell’ascesa e declino più incredibile degli anni Dieci del XXI secolo: un gruppo di jihadisti che riescono a farsi Stato, adottando la struttura degli Stati veri e propri (nel suo momento più alto, l’ISIS aveva una burocrazia, una zecca, una motorizzazione civile). Un’ascesa fatta – ovviamente – di violenza, brutalità, sopraffazione, crimini di guerra. Bombardato dai russi in Siria, decapitato dai raid mirati americani, sconfitto sul campo dall’esercito iracheno e dai curdi, l’ISIS alla fine è tornato nel nulla da cui era venuto. E la fine di quell’esperienza storica è stata anche la fine di molteplici esperienze individuali, tra cui quella di Omaima Abdi, ex miliziana dell’ISIS e vedova del noto rapper jihadista Deso Dogg, che dopo il jihad è tornata a fare la event manager ad Amburgo, con tanto di profilo Linkedin.
Atlanta, Georgia, Stati Uniti, giugno 2024.
Il percorso di Joe Biden è stato costellato da drammatiche discese e rapide risalite, sia dal punto di vista personale che professionale. Una serie di terribili lutti familiari e il ritrovamento di un equilibrio emotivo con la moglie Jill ne hanno segnato l’aspetto privato, mentre la sua carriera politica sembrava destinata a culminare nella vicepresidenza durante i due mandati di Obama. Nel 2020, invece, Biden si è imposto nelle primarie democratiche e poi nelle elezioni presidenziali come l’unico in grado di sconfiggere Donald Trump, di fatto riuscendoci e arrivando alla Casa Bianca come leader di una democrazia in pericolo. Il piano era fare lo stesso anche quattro anni dopo, ma l’avanzare dell’età è diventato un problema sempre più ingombrante. Nell’ultimo anno le gaffe del presidente sono state incalcolabili, e la questione della sua salute, dapprima liquidata come una teoria del complotto, è stata alla fine affrontata costringendolo al ritiro dopo un catastrofico dibattito televisivo con Trump. It’s Joever, come dice il meme.
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Iconografie XXI è un collettivo e un progetto multimediale di ricerca e analisi su immagini, politica e società nel contemporaneo.
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