Breve storia della Siria e di chi l'ha governata - Lucy
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Bruna Soravia

Breve storia della Siria e di chi l’ha governata

17 Dicembre 2024

Il crollo del regime in Siria è avvenuto in modo rapido e, per certi versi, sorprendente. Per capire come si è arrivati a questo punto, vale la pena ripercorrere la storia recente del Paese attraverso quella degli Assad e del loro partito Baath, al potere per decenni.

Fine di un regime

Le immagini della distruzione della tomba monumentale di Hafez Assad, il padre di Bashar, nel suo paese natale di Qardaha, sono un simbolo potente del desiderio dei siriani di oggi –  al di là della frammentazione estrema dell’opposizione – di cancellare anche il ricordo di una dinastia familiare che ha dominato il paese per oltre 50 anni. Per capire come si è arrivati a questo epilogo rapidissimo, più o meno tre settimane al momento in cui ne scrivo, vorrei proporre di considerare alcuni dei momenti storici e degli attori interni che hanno contribuito alla nascita del regime, e alcuni dei fattori ne hanno poi deciso la fine.

Facciamo un passo indietro

La Siria moderna è un caso esemplare degli esperimenti di ingegneria dei confini portati avanti dalle potenze vincitrici della prima guerra mondiale, ritagliando arbitrariamente nuovi stati dalle province mediorientali che erano appartenute all’impero ottomano sconfitto. Esemplare perché da subito la Francia, che aveva ottenuto la Siria negli accordi segreti con l’Inghilterra precedenti la sconfitta degli Ottomani, si mise a frazionare nelle sue componenti settarie il territorio siriano (che non era uno stato ma un insieme di governatorati).

“Settario” è una parola chiave nella storia dell’area siro-irachena e indica la compresenza di diverse comunità identificate dalla religione o dall’appartenenza etnica o da entrambe; per esempio, in Libano convivono ancora oggi 18 diverse sette religiose, in Siria 12, in Iraq 11, variamente incrociate con i diversi gruppi etnici. Il mosaico comunitario era caratteristico dell’impero ottomano, che permetteva e anzi proteggeva la presenza di minoranze religiose ed etnoculturali in cambio di accordi fiscali e militari. Esso rappresentò da subito un problema nel passaggio forzato agli stati nazionali moderni che, come quelli europei, avevano liquidato da tempo le loro minoranze interne. La Turchia lo fece di colpo al momento di definirsi come stato nazionale nel 1923, con un brutale scambio di popolazioni con la Grecia, dopo che nel 1915 l’impero al collasso aveva espulso la comunità armena, massacrandone una gran parte nel corso dell’esodo.

Nel 1920, la Francia si vide confermare dalle neonate Nazioni Unite il Mandato, ossia l’incarico di guidare la regione siriana nella costruzione nazionale, e la divise in 5 stati comunitari più o meno omogenei, due dei quali (Damasco e Aleppo) a maggioranza sunnita, uno druso al confine sud-orientale, uno alawita (vedremo subito chi erano) nella regione montagnosa settentrionale parallela alla costa, uno cristiano, comprendente il Monte Libano e la fascia costiera, la più evoluta e ambita, a maggioranza cristiana. La divisione in stati comunitari, funzionale a una eventuale e sempre rimandata autonomia nazionale, ma soprattutto al controllo da parte francese, creò subito conflitti fra le diverse comunità, ora messe l’una contro l’altra di fronte alla potenza occupante. Mentre favoriva visibilmente il nuovo stato-cliente libanese, la Francia indeboliva il prestigio politico e culturale della maggioranza sunnita e destinava i giovani alawiti all’esercito nazionale, perseguendo una strategia divisiva che avrebbe avuto grandi conseguenze. Dopo il ritiro della Francia nel 1946, e con la proclamazione del Libano e della Siria come stati indipendenti, l’antico mosaico comunitario si trovò irrigidito in un contesto statale formalmente moderno. L’anno dopo, un gruppo di intellettuali e politici siriani di diversa provenienza religiosa fondava il Baath, il partito del Risorgimento arabo. 

Colpo dopo colpo, 1946-1970

È difficile capire il successo del regime militare istituito da Hafez Assad, il padre di Bashar, senza considerare il lunghissimo periodo d’instabilità vissuto dalla Siria dopo la fine del Mandato francese. Nel 1948, l’onda d’urto della prima guerra arabo-israeliana, persa a sorpresa dagli stati riuniti nella Lega araba, mise in crisi i fragili sistemi politici mediorientali venuti fuori dalla fine dei Mandati, provocando a breve distanza colpi di stato in Siria e in Egitto. Fra il 1948 e il 1970, quando Assad prese il potere, ci furono in Siria dieci cambi di regime, che smantellarono progressivamente la fragile struttura parlamentare creata dall’occupazione francese. Il partito Baath diventò il principale attore della politica siriana: la sua ideologia era rivoluzionaria e social-nazionalista (si può discutere se anche l’inverso fosse vero) e, dagli anni Cinquanta in poi, anti-imperialista e, a tratti, marxista. Furono i teorici baathisti a lanciare il progetto politico detto panarabismo, al quale aderirono i principali stati arabi con l’esclusione delle monarchie, con l’obiettivo di sacrificare i nazionalismi locali per arrivare all’unione di tutti gli stati arabi in un unico stato sovranazionale, identificato da lingua e cultura arabe. Come altre utopie rivoluzionarie, il panarabismo sarebbe dovuto restare un ideale lontano e irraggiungibile. Nel 1958 invece, il carismatico leader egiziano Gamal Abdel Nasser convinse il governo siriano dell’epoca a rinunziare alle proprie prerogative per formare insieme all’Egitto la Repubblica Araba Unita (RAU), dove però comandava Nasser. L’esperimento finì per la Siria nel 1961 e la crisi profonda che vi seguì condusse nel 1963 a un nuovo colpo di stato e all’istituzione di un regime baathista. 

“Le immagini della distruzione della tomba monumentale di Hafez Assad, il padre di Bashar, nel suo paese natale di Qardaha, sono un simbolo potente del desiderio dei siriani di oggi”.

Nel 1956, era intanto scoppiata in Medioriente la Guerra fredda, dopo la che Crisi di Suez aveva messo fine all’egemonia franco-britannica in Medioriente e esaltato la statura politica di Nasser, vincitore morale del confronto con l’Occidente grazie all’appoggio sovietico. Nasser spostò il suo regime e i suoi alleati nel campo sovietico e da questo momento tutti i principali stati arabi che avevano aderito al progetto baathista rimasero nell’orbita dell’URSS, che se ne servì per contrastare l’influenza americana nella regione. Quando, nel 1961, la Siria uscì dalla RAU, il colpo di stato che ne seguì mise il potere nelle mani dell’ala baathista radicale che adottò parole d’ordine e programmi dichiaratamente marxisti, che prevedevano l’instaurazione in Siria di una “democrazia popolare” e di un’economia socialista sul modello sovietico, con la nazionalizzazione dell’industria e l’eliminazione della classe borghese. Questa evoluzione politica eterodiretta si scontrò con la guerra dei Sei giorni, nel giugno 1967, e con la seconda vittoria israeliana. La Siria sconfitta perse il Golan, l’altopiano al confine con Libano e Israele, al centro di una contesa di cui si è tornato a parlare in questi giorni – al-Julani, “l’uomo del Golan”, è il nome di battaglia del leader dell’insorgenza attuale, che lo ha provvisoriamente accantonato per evitare di sottolineare un punto di conflitto con Israele. Fu la crisi politica e militare successiva alla sconfitta a portare al potere Hafez Assad nel 1970, con quella che si chiamò, con uno dei molti esempi di neolingua di questa storia, la Rivoluzione correttiva, e che fu invece il colpo di stato definitivo che instaurò il regime degli Assad.

La connection alawita

Hafez Assad era nato nel 1930 nella comunità alawita, una setta religiosa che sia sunniti che sciiti consideravano eretica. Furono in realtà i francesi a chiamarla così, preferendo questa denominazione rara a quella locale di nusairiti, che secondo alcune teorie derivava dalla loro affinità con i cristiani (nasara in arabo), per esempio nel credo trinitario e in alcuni riti. La dottrina alawita è esoterica, ossia fatta di rituali e credenze nascoste ai non iniziati; si dice che possono bere alcool, vietato dall’islam, e che credono in una forma di reincarnazione. Quando Assad divenne presidente della Siria, dovette giustificarsi di non essere considerato musulmano, un requisito formale essenziale, e chiese allora al famigerato ulema libanese Musa al-Sadr, il fondatore di Amal (l’organizzazione da cui si sarebbe nata Hezbollah) di dichiarare con una fatwa che gli alawiti appartenevano allo sciismo duodecimano. L’ayatollah Khomeini, giunto al potere in Iran nel 1979, ratificò questa fatwa per includere la Siria di Assad nel fronte politico e militare sciita a guida iraniana. 

Non ci sono dubbi sull’intelligenza politica di Assad, “il leone di Damasco” come lo ha definito un suo esegeta occidentale, prolungando l’equivoco propagandistico sul suo nome di famiglia (asad significa in arabo “leone”, ma è più probabile che sia as’ad, più prosaicamente “fortunatissimo”). Arrivato al potere, Assad smantellò gran parte delle strutture socialiste create dai baathisti radicali, pur mantenendo stabilmente la Siria nell’orbita sovietica, e bilanciò abilmente le istanze politiche, sociali e comunitarie in conflitto, fino a creare un regime autoritario fondato sul culto della personalità, come testimoniano i monumenti e le statue distrutti in questi giorni. I suoi veri punti di forza rispetto ad altri tiranni mediorientali meno longevi furono però l’appoggio della setta alawita dalla quale proveniva e quello della sua stessa famiglia. Gli alawiti, minoranza povera e derelitta, proprio in virtù della loro marginalità erano stati destinati dai francesi a formare i ranghi dell’esercito nazionale siriano, e avevano mantenuto questa prerogativa nella Siria indipendente. Assad, che aveva fatto carriera fino a diventare capo dell’aeronautica, mantenne e rafforzò la posizione privilegiata dei militari alawiti, che intervennero in suo favore nelle numerose crisi interne. 

Il clan 

La famiglia Assad è stata spesso paragonata a un clan mafioso, di cui ha la forza dei legami e il potenziale romanzesco. Il secondo membro più importante del clan, dopo Hafez, è stato il fratello minore Rifa’at, anche lui alto ufficiale dell’esercito e complice di tutte le imprese fraterne, dalla presa del potere alla gestione della guerriglia palestinese filosovietica ai massacri dei Fratelli musulmani negli anni Ottanta. Quando Hafez ebbe un infarto nel 1983, Rifa’at cercò di subentrargli, forte del suo controllo di una parte dell’esercito e, secondo molti, dei rapporti che aveva intanto stretto con l’Arabia saudita e gli USA, alle spalle di Hafez. Il tentativo fallì e Rifa’at fu mandato in esilio in Europa, a dimostrazione della sua personale influenza ma anche della sacralità della famiglia. Spregiudicato e violento quanto Hafez era cauto e misurato, Rifa’at è stato perseguito in Europa per una lista interminabile di reati, fra i quali quelli legati ai massacri di Hama di cui riparleremo. Nel 2022 è tornato in Siria, perdonato da suo nipote Bashar, di cui ha probabilmente seguito la fuga nella Russia di Putin. L’altro personaggio notevole della famiglia è stato il primogenito di Assad, Basel, designato a succedergli. Definito dalla propaganda baathista “il cavaliere d’oro” per la sua bravura equestre, Basel era di bell’aspetto, carismatico e un buon soldato ma morì a 31 anni, nel 1994, in un incidente d’auto. Prima di Bashar, bisogna menzionare il terzogenito Maher, il secondo uomo forte del regime fino a qualche settimana fa, del quale si dice che abbia chiesto asilo in Iraq e poi, forse, in Russia. Come suo zio Rifa’at, Maher è spietato e determinato; è lui non solo il responsabile dell’uccisione del presidente libanese al-Hariri nel 2005 e della repressione sanguinosa della primavera siriana dopo il 2011, ma anche delle successive repressioni e della trasformazione della Siria in un narcostato dedito alla produzione del Captagon, un tipo di metanfetamina. 

Breve storia della Siria e di chi l’ha governata -

Un tiranno riluttante

Nessuno ha mai saputo perché Hafez, dittatore pragmatico, abbia alla fine scelto come suo successore il secondogenito maschio Bashar. Descritto dai diplomatici occidentali come timido ed esitante, Bashar non solo era l’opposto esatto del fratello Basel, ma mancava anche della risolutezza del fratello minore Maher. Richiamato in Siria da Londra, dove si stava specializzando in oftalmologia, fu inserito di forza nella carriera militare e, nel 2000, alla morte di Hafez, divenne presidente suo malgrado, troppo giovane anche per la legge siriana. Dopo un’iniziale apertura riformista, Bashar ha assecondato la tendenza dittatoriale del regime di cui è stato, fino a pochi anni fa, la faccia presentabile grazie anche a un’intensa promozione mediatica, e nonostante la repressione documentata di una guerra civile devastante che ha provocato finora oltre 600.000 morti e ha distrutto l’economia e la società siriane. Sotto Bashar, l’Iran e la Russia, di cui il padre Hafez aveva gestito abilmente l’alleanza perché non diventasse un rapporto di dipendenza, sono diventate l’influenza dominante nel paese. Entrambe hanno fornito al regime le armi usate contro dissidenti e insorgenti in cambio della possibilità di avere basi militari nel paese. La Russia, in particolare, ha finora mantenuto una base aerea a Khmeimim e, nel porto di Tartus, la flotta con la quale attesta la sua presenza nel Mediterraneo (entrambe le postazioni si trovano nella regione di Latakia controllata dagli alawiti). Nel 2015, Putin è intervenuto per salvare il regime, quando l’esercito siriano controllava meno del venti per cento del paese, spendendo inoltre il peso diplomatico della Federazione per stornare i numerosi tentativi di censura internazionale di Bashar. Sono tuttavia sotto gli occhi di tutti la frustrazione e l’incertezza di Putin di fronte a un’evoluzione di cui nessuno aveva previsto la rapidità, e che scoraggia per ora interventi esterni.

L’enigma dell’insorgenza

Sappiamo veramente troppo poco degli obiettivi degli insorgenti che, negli ultimi giorni di novembre di quest’anno, hanno lanciato un’offensiva conclusa con l’entrata a Aleppo e a Damasco e con la fuga degli Assad. Da tempo, il governo di Bashar aveva perso il controllo dei confini, che erano presieduti da forze interne alleate con gli attori esterni di questa storia, la Turchia a nord, l’Iran al confine con Iraq e Libano, gli USA sul confine nordorientale, in un equilibrio dinamico e precario. Lo scacco all’Iran e il quasi totale azzeramento di Hezbollah conseguiti da Israele, uniti alla “distrazione” degli Stati Uniti dopo le elezioni di novembre, e della Russia impegnata nell’invasione ucraina, hanno messo in moto una coalizione formata da forze salafite jihadiste eredi dell’ISIS e di al-Qaeda, dai resti dell’esercito nazionale siriano, dalle milizie curde e da gruppi criminali. È francamente poco verosimile che da questa iniziativa eterogenea possa venire fuori la ricomposizione del caos siriano, date anche le istanze geopolitiche conflittuali che la sottendono.

È invece probabile che, come in Iraq dopo il 2003, il paese si divida nuovamente in enclave etno-comunitarie  in competizione tra loro, ciascuna sostenuta da attori e interessi esterni. Non a caso la coalizione è a dominanza sunnita, eredità della guerra aperta che il regime degli Assad ha fatto ai sunniti siriani fin dagli anni Settanta del Novecento, proseguendo lo scontro, che era all’inizio ideologico e non solo siriano, fra il partito baath e i Fratelli musulmani, il movimento fondamentalista sunnita nato in Egitto. Nel corso degli anni Sessanta, Nasser aveva perseguitato e poi espulso i Fratelli dall’Egitto. In Siria, i Fratelli avevano trovato una roccaforte nella città sunnita di Hama, nel centro del paese, e da qui avevano ingaggiato con il regime baathista un confronto che da politico era presto diventato settario. Con l’arrivo di Assad, il conflitto divenne militare, con le stesse tattiche di guerriglia che la Siria stava usando all’epoca nella guerra civile libanese. Nel febbraio 1982, uno scontro fra truppe governative e milizie dei Fratelli ad Hama portò alla repressione violentissima dell’insorgenza, condotta da Rifa’at Assad, che fece fra i 25.000 e i 40.000 morti ad Hama e aprì una frattura mai risanata fra il regime e la maggioranza sunnita della popolazione. Al-Qaeda prima e poi l’ISIS si sono infiltrati lungo questa linea di faglia settaria, ed è difficile pensare che la lunga storia di radicalizzazione dell’opposizione siriana possa, in breve tempo, riconvertirsi in un progetto politico capace di riunificare e pacificare il paese.

Bruna Soravia

Bruna Soravia è storica dell’Islam. Specialista di Islam medievale, si è interessata, in ambito contemporaneo, di storia dell’orientalismo europeo e del conflitto arabo-israeliano. Ha insegnato in Francia, negli Stati Uniti e presso l’Univesità Luiss  Guido Carli di Roma.

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