Valerio Corzani
26 Settembre 2025
Cinque cantanti lirici e una palestra, per esplorare i limiti fisici del canto e intrecciare preparazione atletica e ritualità operistica. È l’intuizione alla base di Ouverture di Gaetano Palermo, che debutta il 3 ottobre al Reggio Parma Festival.
Cinque tapis roulant campeggiano sul proscenio. Dunque apparentemente stiamo entrando, siamo entrati, in una palestra. C’è un anziano stremato che sta finendo i suoi esercizi. Il pubblico viene accolto così, in un ingresso depistante, che depista da molti punti di vista: l’anziano non è anziano, non è neppure un uomo, non è lì per fare ginnastica, così come la palestra non è una palestra… In realtà quello che abbiamo appena incontrato è l’ambiente, ma sarebbe meglio definirlo semplicemente “spazio”, di Ouverture, un’opera-performance a cappella per un doppio quintetto di cinque cantanti e cinque tapis roulant. Ouverture si colloca in uno spazio-tempo di soglia e che indaga la tensione performativa che anticipa l’evento, dello spettacolo come della vita. I preparativi e rituali dell’opera lirica, perché le voci coinvolte sono cantanti d’opera, si intrecciano a quelli della pratica sportiva e del wellness, alla ricerca di un benessere, o di una forma, sempre a venire. Realtà e finzione convergono così nella voce dei cantanti-performer questionando gli orizzonti, le prospettive di fuga e gli sguardi che muovono la contemporaneità.
Quella iniziale è un’apertura rumorosa, con la meccanica del tapis roulant che si mescola al via vai del pubblico che fluisce, si siede e si sistema. Scopriamo poi che l’anziano indossava una maschera (iperrealistica in silicone, come quelle di Diabolik per intenderci – dunque davvero credibile) e che sotto quel profilo claudicante c’era invece la francese Laure Deval, direttrice musicale di Ouverture che in quest’opera interpreta il doppio ruolo di attrice (prima) e guida dei cantanti (poi). “L’idea originale – racconta il regista Gaetano Palermo – nasceva da una performance mia e di Michele [Petrosino, coregista e cocoreografo dello spettacolo n.d.r.] dove avevamo utilizzato per la prima volta un tapis roulant. La performance si chiamava Fuga e ha avuto una sua vita autonoma fino a che, partecipando al bando Gradus, la formula iniziale si è trasformata in questo Ouverture.
Grazie a Gradus si è attivata infatti la collaborazione con due creativi argentini: il compositore Fernando Strasnoy e la librettista Giuliana Kiersz e dall’incontro con loro in residenza è nata l’idea di realizzare un’opera contemporanea che mantenesse elementi come la corsa, nonché l’accostamento della corsa a dei formati musicali e che allo stesso tempo ci facesse riflettere sull’ontologia degli interpreti che convocavamo: non si trattava più di un performer su un tapis roulant, ma di cantanti su un tapis roulant. Non si trattava di mettere in gioco dei personaggi, ma la loro concreta fisionomia biografica, una fisionomia che rimane anonima, ma che trasuda la propria specificità. Cosicché l’io e il noi, il singolo e la collettività, lo spettacolo e il reale sarebbero restati sempre ambigui, opachi, sfuggenti”.
Dal momento che, per stessa ammissione del regista, è stata la “fucina” di Gradus a cambiare i connotati dello spettacolo, cerchiamo di chiarire innanzitutto cos’è Gradus e qual è la formula di questo bando di produzione, un progetto che ha l’obiettivo di favorire e stimolare un passaggio/scambio di saperi e di percorsi che sia d’impulso alla consapevolezza creativa delle nuove leve dello spettacolo dal vivo. Il Reggio Parma Festival, le due città socie, Parma e Reggio Emilia, e le tre Istituzioni teatrali che lo compongono, Fondazione Teatro Due, Fondazione Teatro Regio di Parma e Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, hanno dato vita a “Gradus. Passaggi per il nuovo”, il cui obiettivo finale è la produzione e la messa in scena di nuovi spettacoli, selezionati durante il percorso, che sono entrati nei cartelloni 2025 di Festival Aperto, Festival Verdi e Teatro Festival. “Gradus – ci spiega Luciano Messi, Sovrintendente della Fondazione Teatro Regio di Parma – parte da tanti sogni che si fondono: innanzitutto quello di voler tramandare un teatro che continui a rappresentare un’esperienza non solo creativa, ma anche di comunità creativa a tutto tondo; inaugurare traiettorie che riescano a ‘mobilitare’ il futuro del teatro, dando spazio alla nuova creatività, però in un dialogo costante con le grandi tradizioni, il genius loci, gli spazi performativi tradizionali; creare anche un percorso sinergico dove gli allievi sono in contatto coi maestri (perché il programma del progetto prevede anche appuntamenti dove a tenere le lezioni e guidare gli incontri ci sono nomi importanti del mondo della cultura e dello spettacolo dal vivo) e dove la relazione che si viene a creare con le strutture produttive, i teatri, è una relazione autentica di lavoro fatto insieme, non come quello di una struttura che commissiona e poi resta estranea alle fasi di progetto, allestimento e realizzazione”. È quello che è successo nel processo di questa Ouverture che, con un titolo del genere, non poteva che aprire il calendario di quattro spettacoli del Gradus di quest’anno e che debutterà dapprima al Teatro Ariosto di Reggio Emilia (3 ottobre ore 20,30) e poi replicherà al Teatro Farnese di Parma (il 5 ottobre, ore 21).
Abbiamo evocato i cantanti, che interpretano in questo caso sia il ruolo di voci liriche (che è quello che sono nella vita reale), sia atleti o comunque frequentatori attivi di una palestra. Del resto quello è il contesto dove trovano gli attrezzi/strumenti che li accompagnano nel dipanarsi dello spartito e del libretto: ovvero i tapis roulant, con il loro “rollio” che entra nella bolla acustica dello spettacolo e ci entra da protagonista visivo, scenografico e sonoro, musicale. Si tratta di due soprano, Maria Clara Maiztegui e Maria Giuliana Seguino, un mezzosoprano, Dominika Isabell Marková, un baritono, Xiaofei Liu e un basso, Daniel Wendler. “Il testo che abbiamo affidato alle voci – segnala l’autrice del libretto Giuliana Kiersz – così come l’opera-performance nella sua interezza, è stato concepito come un testo per voci e performers, piuttosto che per dei personaggi. La forma della sua scrittura è il riflesso del suo arco narrativo e dell’esperienza di un corpo collettivo, un corpo che è il riflesso dei nostri tempi”. Una riflessione ribadita dal testo che una delle voci enuncerà: “Il futuro diventa una spirale. Un abisso/ Chi smonta il tempo? Chi lo attraverserà con una lancia per vedere di cosa è fatto?”. Dopo lo svelamento dell’anziano che si rivela direttrice, entrano scaglionati i cinque cantanti che in una cinquantina di minuti rivelano e sono protagonisti del plot musicale e narrativo dello spettacolo: dapprima “vocalizzi/stretching” poi in sequenza “Preludio”, “Fuga”, un movimento denominato “Archeologia” (ovvero un collage realizzato con frammenti dell’opera italiana: Verdi, Rossini, Bellini…), un “Lamento”, il “Catalogo delle emozioni” (in cui i cantanti dopo un cambio d’abiti fatto sotto gli occhi del pubblico, eseguono una coreografia di gesti e posture) e infine la “Coda finale” con un nuovo “Lamento”.
“Cinque tapis roulant campeggiano sul proscenio. Dunque apparentemente stiamo entrando, siamo entrati, in una palestra. C’è un anziano stremato che sta finendo i suoi esercizi. Il pubblico viene accolto così, in un ingresso depistante, che depista da molti punti di vista”.
Sono tutti passaggi in cui appoggiarsi alle musiche ha rappresentato, per il compositore Fernando Strasnoy, una doppia sfida: “Da una parte – conferma Strasnoy – quella di dover comporre una lunga composizione interamente a cappella (laddove i precedenti, come ad esempio i ‘12 Madrigali’ di Sciarrino, avevano una ‘metratura’ molto più circoscritta), dall’altra quella di pensare a una scrittura che tenesse conto del fatto che le voci venivano, in questo caso, emesse anche sotto sforzo, ovvero camminando, correndo, agitandosi, facendo un training atletico”.
Dunque, aggiungiamo noi, viene chiesto agli interpreti di violentare la propria postura, di superare l’ortodossia del canto, di alterare un’attitudine che stanno educando da una vita. Come quasi a dir loro, e dirlo attraverso uno spartito, “non pensate a quel che fate di solito”, “superate il limite”, “non abbiate paura” ad esempio “di rimaner senza fiato”… Che è una cosa piuttosto eversiva se la si chiede a un cantante lirico. “Le cinque voci sono accompagnate da cinque macchine – riflette proprio su questo Roberto Fabbi, responsabile musicale Festival Aperto Reggio Emilia – e l’organico è totalmente aderente alla situazione immaginata, una situazione sempre il bilico tra la tensione e l’alienazione. Ne viene fuori, anche grazie a questa postura scenica, un’affilata, anche se mai esplicitata, critica del tardo capitalismo, così come è stata teorizzata da filosofi e pensatori come Mark Fisher, Slavoj Žižek, Fredric Jameson…”. In questo catalogo di riferimenti e concezioni, dove una trama sghemba mescola continuamente reale e fittizio, alla fine hanno un ruolo fondamentale quegli oggetti così usuali, ordinari, ma se vogliamo anche implacabili e ipertecnologici che sono i tapis roulant. Come se la sfida fosse anche quella tra una macchina perfetta che ogni tanto va in tilt (l’usura dell’attrezzo) e quella dei corpi in movimento che cantano per comprendersi e per sfuggire allo stress (l’usura delle persone). “L’interazione tra macchina e corpi è molto potente – segnala Paolo Cantù, direttore Fondazione I Teatri e Festival Aperto Reggio Emilia – ma un ruolo e una verifica importante arriverà anche dai due spazi in cui la compagnia metterà in scena questo Ouverture, perché da una parte c’è uno spazio quasi neutro come la Sala Verdi dell’Ariosto di Reggio, in cui la riproposizione della palestra è quasi calligrafica, dall’altra c’è invece un proscenio ingombrante – magnifico, ma ingombrante – come quello del Teatro Farnese di Parma”. “L’impianto di Ouverture – aggiunge a questo proposito il sovrintendente Messi – è un grandissimo cortocircuito: portarlo in uno scenario unico come quello del Teatro Farnese di Parma, è proprio uno di quei cortocircuiti epidermici e folgoranti che noi speriamo sempre di riuscire ad ottenere con questi progetti di Gradus”.
C’è anche un’epifania però da registrare. C’è anche un moto di speranza che si identifica con l’azione, quella del muoversi e soprattutto quella delle corde vocali. “È vero, qui si rimanda esplicitamente alla dimensione di una palestra reale – chiosa infine Michele Petrosino prima di tornare alle prove dello spettacolo – in cui l’alienazione, il solipsismo, è dato per scontato. I corpi stanno soli, fanno i loro esercizi in solitario in una palestra, soprattutto nella zona dei tapis roulant che è quella che mettiamo in scena, e in questo caso è proprio il canto che invece fa emergere i protagonisti come gruppo, come coro, come voce unica”. Nello status di questa unità d’intenti si chiude in effetti l’opera-performance: un corteo che porta i cinque protagonisti fuori dalla sala e dal proscenio, mentre ancora resta l’eco, la presenza, il suono del loro canto.
Questo contenuto è stato realizzato in collaborazione con Reggio Parma Festival. Tutte le info al sito reggioparmafestival.it. Foto di Andrea Mazzoni.
Valerio Corzani
Valerio Corzani è presentatore, autore radiofonico e critico musicale. Voce di Radio 3, collabora con «Il Manifesto» e Bloogfoolk.
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