Che cosa ci rende umani - Lucy
articolo

Vittorio Gallese

Che cosa ci rende umani

04 Ottobre 2024

Il tempo in cui viviamo, dominato dalle tecnologie digitali, ci chiede di ripensare il significato di essere umani. Una riflessione di Vittorio Gallese, neuroscienziato di fama internazionale, tra gli ospiti del ​​Pianeta Terra Festival.

Il libro Cosa significa essere Umani? nasce dal dialogo lungo vent’anni con Ugo Morelli, e dalla convinzione che il tempo in cui viviamo richieda un radicale ripensamento del significato di essere umani. Oggi si parla moltissimo di Intelligenza Artificiale e di quanto essa possa essere simile o diversa da quella umana. Ci si chiede addirittura se e quando gli algoritmi che oggi guidano molti aspetti delle nostre vite possano divenire autonomi, auto coscienti, dei veri e propri soggetti artificiali. Al di là delle enfatizzazioni tecno-entusiaste, spesso stimolate da giganteschi interessi economico-finanziari, e delle parallele grida apocalittiche che rimpiangono i bei tempi andati, non c’è dubbio che viviamo tempi di rapidi e giganteschi cambiamenti. Il libro nasce dall’esigenza di comprendere sempre più e meglio chi siamo noi esseri umani. Il nostro libro, a partire dal suo titolo, volutamente in forma interrogativa, offre molte domande e suggerisce qualche risposta.

La scoperta dei neuroni specchio ha dato un forte contributo alla nascita di una nuova branca delle neuroscienze, le neuroscienze sociali. Da allora la ricerca ha rivelato che il meccanismo di rispecchiamento che unisce gli individui è evolutivamente molto antico. Non è presente solo nelle scimmie e in noi umani, ma anche in roditori ed uccelli. In specie diverse sostiene capacità adattive in parte diverse, ma che condividono una caratteristica comune: permettere agli individui di comprendere implicitamente vari aspetti del comportamento altrui. La scoperta dei neuroni specchio ha rivitalizzato la nozione di empatia, ci ha fatto comprendere come condividiamo il senso delle esperienze altrui, ed ha permesso di formulare nuovi quesiti e nuove collaborazioni tra neuroscienze e varie discipline, come la psichiatria, la filosofia della mente, lo studio del linguaggio e dell’esperienza estetica.

Il libro riporta l’attenzione sul corpo, sulla sua espressività sensomotoria e affettiva, considerandolo il fulcro del nostro essere e della nostra individualità. Questa individualità nasce dall’incontro con gli altri, un incontro modellato dalla nostra iniziale dipendenza totale dagli altri a causa dell’immaturità del nostro funzionamento corporeo. Senza la cura, il nutrimento e la protezione degli altri esseri umani, non potremmo sopravvivere. Il nostro nascere immaturi rende essenziale comprendere e comunicare con l’altro. È attraverso la relazione che si sviluppa la nostra soggettività e unicità individuale. L’espressività corporea è la base da cui emergono il simbolico e il linguaggio.

Dall’età moderna in poi ha a lungo prevalso una concezione dell’essere umano visto essenzialmente come un’entità immateriale di pensiero, il Cogito di cui parlava Descartes, sovrapponibile al linguaggio e analizzato principalmente sotto un profilo formale e sintattico. Oggi, questa visione è adottata dai modelli computazionali e algoritmici. 

Questi approcci trascurano completamente il corpo, vedendolo solo come un veicolo per trasportare la nostra supposta vera essenza, cioè la capacità di processare informazioni e funzionare come macchine computazionali. Nel libro sosteniamo che questa prospettiva è limitata, fondamentalmente errata e ne spieghiamo le ragioni. Neuroscienze, psicologia, filosofia della mente, sociologia e antropologia concordano sul fatto che per comprendere mente, pensiero e coscienza, è indispensabile partire dal corpo. Anche quando il nostro corpo è immobile, il nostro cervello sensorimotorio e affettivo si attiva, come quando immaginiamo azioni, emozioni e sensazioni, quando le osserviamo negli altri o nelle rappresentazioni del mondo create dagli esseri umani sin dal paleolitico. Con la simulazione incarnata, molti circuiti del nostro cervello sono non solo per esperire il mondo in prima persona ma anche per dare un senso al mondo e alle esperienze altrui.

“Senza la cura, il nutrimento e la protezione degli altri esseri umani, non potremmo sopravvivere. Il nostro nascere immaturi rende essenziale comprendere e comunicare con l’altro”.

Nel libro abbiamo preso a prestito dall’antropologo Fancesco Remotti l’espressione “condividui”, per capovolgere l’idea che l’individuo sia il punto di partenza e la socialità quello di arrivo: è vero il contrario. Per comprendere l’individuo bisogna partire dallo spazio ‘noi-centrico’, costituito dalle nostre somiglianze di funzionamento e ambiente. La nostra natura corporea impara a esprimersi creando abitudini e riti, condivisi mimeticamente dai membri del gruppo sociale. Da questo emergono le nostre istituzioni religiose, politiche ed economiche, ovvero la nostra cultura. Le pratiche sociali influenzano reciprocamente la nostra intelligenza corporea. L’introduzione del linguaggio, poi, rappresenta un vero cambiamento radicale, ridefinendo l’intelligenza corporea stessa, producendo la scissione tra io e me, di fatto introducendo i molteplici dualismi che ci assillano: mente-corpo, io-tu, natura-cultura. In ognuno di noi esiste una somiglianza con l’altro che precede e fonda la differenza. È la dimensione sociale, e non quella individuale, a definire l’umano. Le conseguenze di questa visione sono molteplici, sia dal punto di vista esistenziale che da quello pedagogico ed etico-politico. 

Oggi è in corso un grande dibattito, spesso fuorviante, sull’impatto sulle nostre vite delle nuove tecnologie digitali. In realtà, l’Homo Sapiens potrebbe ugualmente essere definito Homo Tecnologicus. La tecnologia, dalle prime asce paleolitiche agli smartphones di oggi, è parte integrante della nostra natura. La nostra cultura sarebbe inconcepibile senza considerare la tecnologia. Demonizzare la tecnologia, come molti oggi fanno, non ha senso, in quanto equivale a demonizzare noi stessi. Abbiamo l’esigenza, però, di comprendere come essa impatti sui nostri stili di vita e di promuovere un suo uso consapevole. La tecnologia è come un farmaco, di cui condivide la duplice natura di cura e veleno. Più ne sapremo, meglio sapremo utilizzare le nuove tecnologie per migliorare le società, le condizioni di vita e la salute mentale di noi esseri umani. Per il nostro futuro vedo rischi ma anche molte opportunità.

Vittorio Gallese è uno dei protagonisti di Pianeta Terra Festival che si tiene fino al 6 ottobre a Lucca.

Vittorio Gallese

Vittorio Gallese è docente di Psicobiologia presso l’Università di Parma, di cui dirige il Laboratorio di Neuroscienze Cognitive Sociali. Neuroscienziato cognitivo, il suo ultimo libro, scritto insieme a U. Morelli, è Cosa significa essere umani (Raffaello Cortina Editore, 2024).

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