Mariachiara Rafaiani
Che cosa sono i marginalia? Anche chi non lo sa, potrebbe averli visti sui social o tatuati sul corpo di amici e conoscenti: dai più prevedibili draghi a quelli, decisamente meno noti, appartenuti agli antichi bestiari. Chi se li tatua non sempre sembra conoscere con esattezza il loro significato, eppure avverte una misteriosa e profonda attrazione per questi simboli mostruosi ed enigmatici.
La scorsa estate, mentre bevevamo una cosa con alcuni amici al bar del paese, si è aggiunta al gruppo una nostra vecchia conoscenza. Dopo i saluti e le domande di rito, per accendersi la sigaretta, il nuovo arrivato si è tirato su le maniche della camicia, scoprendo sull’avambraccio sinistro il tatuaggio della figura di un essere acefalo, con i tratti del volto posti sul torace. “Un blemma”, gli ho detto. “Un che?” ha risposto lui. I blemmi sono una popolazione della Nubia, di cui parlano già fonti tardo romane e bizantine, presenti nella mitologia medievale e nominati anche da Marco Polo. Gli ho chiesto come mai avesse deciso di farsi quel tatuaggio, se ci fosse qualche collegamento con il significato di quell’immagine, e soprattutto dove l’avesse visto. Lui mi ha risposto che non c’era una ragione, quell’immagine lo aveva affascinato ma non sapeva neppure di cosa si trattasse: l’aveva visto su Instagram e mostrato al suo tatuatore affinché lo riproducesse sul suo braccio.
Non era il primo. Negli ultimi mesi più di un amico mi ha mostrato come soggetto del suo prossimo tatuaggio un’immagine medievale trovata sui social: la cosa mi ha incuriosita e mi sono rivolta a una tatuatrice per capire quanto la nuova vita delle immagini medievali stesse influenzando le nuove richieste di tatuaggi. Lei ha confermato la mia impressione, facendomi notare però come spesso la richiesta non riguardi vere immagini medievali ma piuttosto rappresentazioni di un soggetto qualsiasi mediante la tecnica della xilografia, un metodo che evoca immediatamente il Medioevo (per farsi un’idea di quanto sia ampio il concetto di estetica “medievale” nei tatuaggi basta cercare #medievaltattoo).
Insomma, il medioevo sembra tornato di moda, o perlomeno i suoi mostri.
1. Mostri tra realtà, sogno e social network
All’interno dello sterminato panorama iconografico digitale ha trovato un’inaspettata e florida nuova vita anche la miniatura medievale. Così l’oscuro medioevo simbolico è diventato una sequela di esseri mostruosi: figure umane che brandiscono un fallo, intente a esplorare gli orifizi propri e altrui, diversamente impegnate in orge multispecie o più intimamente raccolte in apparenti prestazioni di sesso orale, e poi ancora animali dagli atteggiamenti antropomorfi e curiosi ibridi vegetali. Stratificazioni di esseri simbolici che oggi la reticolarità del web mette a disposizione anche di persone ignare di quel periodo. L’indecifrabilità di queste immagini, dovuta spesso alla mancanza di contesto, invece di depotenziarle le rende ancora più intriganti, come accade – ad esempio – con l’immagine inglese di una donna che danza in abito blu proveniente da un manoscritto inglese datato al 1200 circa e conservato alla British Library.
A postarla è @oldenglishwordhord, profilo che mentre scrivo è seguito da più di 40 mila persone e gestito da Dr Hana Videen che grazie a questa pagina ha anche pubblicato un libro The Deorhord. An Old English Bestiary (Londra, 2023). Hana Videen accompagna le immagini che condivide con una breve descrizione e la segnalazione della fonte, differenziandosi in questo da amministratori di pagine analoghe, dove talvolta confluiscono in modo indistinto sia vere immagini medievali che rappresentazioni più tarde, che di medievale hanno solo l’ispirazione.
Nella sua selezione un fatto affiora subito: ciò che attira della miniatura medievale è senza dubbio la componente grottesca e mostruosa delle rappresentazioni. D’altra parte, come testimonia il Liber monstrorum de diversis generibus (metà VIII sec. d. C.), i mostri costituiscono una delle più persistenti ossessioni dell’Occidente medievale.
La parola monstrum viene da monere: ammonire, mettere in allarme, “dare un avvertimento”, e dunque in relazione anche con monstrare, sempre con valore prescrittivo. Il monstrum era, letteralmente, un prodigio, buono o cattivo che fosse – basti pensare che Orazio definisce Cleopatra fatale monstrum, una creatura mandata dal destino a portare orrore e caos, mentre Virgilio utilizza il termine in riferimento all’orrendo Polifemo, sì, ma anche alla pianta sanguinante in cui si trasforma il cadavere di Polidoro. È la definizione che ne dà Varrone – uno dei più importanti grammatici dell’antichità – a connotare il termine in un’accezione più specifica e negativa dal Medioevo fino a oggi: monstrum è tutto ciò che nasce contro natura.
“All’interno dello sterminato panorama iconografico digitale ha trovato un’inaspettata e florida nuova vita anche la miniatura medievale. Così l’oscuro medioevo simbolico è diventato una sequela di esseri mostruosi”.
Queste entità mostruose sono, nel Medioevo, alla portata di tutti: chi è colto le conosce tramite le opere classiche e non solo, mentre gli analfabeti le incontrano soprattutto guardando i fregi delle chiese. Va detto inoltre che la cultura medievale è un mondo perennemente immerso nel meraviglioso, descritto bene da Jacques Le Goff in Il meraviglioso e il quotidiano nell’Occidente medievale. L’uomo medievale vive un legame assai stretto e indissolubile tra l’esperienza reale e quella onirica, in una commistione continua, quasi promiscua, tra sogno e incubo.
Mostri usciti dal mondo cristiano e dal mondo classico, mostri che si sono fusi tra di loro – evoluti, riprodotti, raccolti nei bestiari medievali dove non si faceva distinzione tra animali reali e animali fantastici, mostri che dopo aver invaso il sonno della ragione medievale infestano oggi i social e ci vengono a trovare sugli schermi, ma privi di tutte le loro valenze simboliche.
Numerosi sono i draghi, ad esempio, animale considerato reale nel Medioevo, che nei manoscritti miniati si può trovare nelle forme più varie, con o senza ali, e con varie combinazioni di teste: c’è l’anfisbena che ne ha due, una sul collo e una all’estremità della coda; il drago del paese delle Amazzoni che ne ha tre, una grande e due piccole ai lati; l’idra, mostro marino, che ne ha sette, e così via. Molto successo hanno le razze umane mostruose, dagli acefali ai cinocefali, il basilisco, gli unicorni, gli ibridi, più sono strani meglio è.
2. Gli influencer del Medioevo
Se queste immagini sono oggi così diffuse è grazie alla recente e massiccia digitalizzazione di moltissimi manoscritti medievali. La British Library ha deciso di rendere di pubblico dominio una vasta parte del suo catalogo di manoscritti, ma anche la Vaticana, la Bodleian Library e la Bibliothèque nationale de France (solo per citarne alcune) hanno seguito lo stesso esempio.
La più nota fra le nuove case delle mostruosità medievali è @weirdmedievalguys, 91 mila followers, il cui nome scelto per la pagina esprime bene la natura della sua selezione. Dal 2019 Olivia Swarthout pubblica su Instragram e X (@weirmedieval) immagini ridicole, ironicamente mostruose e stranianti rubate dalle pagine dei manoscritti medievali.
Anche da questo profilo nasce un libro, Weird Medieval Guys: How to Live, Laugh, Love (and Die) in Dark Times (2023), un volume che non ha nulla di scientifico ma continua il tono e la narrazione scanzonata portata avanti nei social network, fornendo però al lettore un’utile lista di credits che permettono di recuperare le fonti.
Chi volesse approfondire l’argomento in modo serio dovrebbe affidarsi piuttosto a lavori come Medieval Monsters di Damien Kempf e Maria L. Gilberti, uscito per la British Library nel 2015, dove si esplorano i mostri più popolari che affollano i margini dei manoscritti medievali. Pur fornendo solo in piccola parte il contesto da cui derivano, il lavoro di Kempf e Gilberti mostra come miti e leggende del periodo medievale prendessero vita in immagini fantastiche attraverso il mostruoso, lasciando intravedere al lettore caratteristiche centrali della mentalità medievale.
Tra le pagine più seguite e più antiche anche Medieval Reactions (@medievalgram), nata su Twitter nel 2015, che ha su Instagram 42.000 follower, sebbene sia ormai inattiva, che associa immagini di medievali (o di ispirazione medievale) a frasi ironiche sulla realtà contemporanea, secondo il meccanismo tipico dei meme.
Tra i più seguiti @medievalart (274.000 fllw), caratterizzato da un tono più accademico, come spiega la bio stessa “Digital destination for global art history every day, Medieval Art (c500-1500), curated by professional art historians”; di taglio scientifico anche @effervescencesmedievales (44.500 fllw), che si definisce “Plateforme scientifique sur le Moyen Âge”; di grande successo @medievalmarginalia (92.900 fllw) che propone proprio le immagini decorative che si trovavano ai margini dei manoscritti, con una particolare predilezione per mostri e ibridi;
@medieval.psychedelia, “An anthology of fantastic visions from c. 500 to c. 1500 AD”, che in vista di un auspicabile rinascimento psichedelico conserva surrealtà, apocalissi e visioni, e può vantare 27.200 follower;
tutta italiana è invece @medioevosplatter (40.6000 fllw), “perché l’arte medievale è tutta santi e madonne col Bambino”: questo è il pregiudizio da smentire con forza, postando i marginalia più dissacranti.
3. Forse non importa comprendere
Quando penso a questa nuova, strana vita delle creature medievali, mi viene in mente Paul Gauguin, che auspicava una preminenza dell’emozione sul dominio della comprensione. Il fruitore contemporaneo di quelle immagini, almeno nella gran parte dei casi, non possiede gli strumenti per comprendere i significati simbolici e analogici più profondi che le hanno generate.
Non sa, ad esempio, che il blu nel Medioevo è considerato un colore caldo, proprio come il rosso, per contrapposizione con il bianco e il giallo (trasposizioni cromatiche dei metalli oro e argento) che in araldica erano invece considerati colori freddi; o che il leone, promosso e sostenuto dalla Chiesa, siede sul trono del mondo animale solo dopo aver detronizzato l’orso, colpevole di unire brutalità e fattezze antropomorfe capaci di farne – soprattutto nell’atto sessuale – una sorta di oscena parodia umana, incarnazione di tutto il selvaggio e il bestiale che la Chiesa ambisce a estirpare dall’essere umano; né sa che è sempre la Chiesa a screditare il valore del cinghiale, di cui tanto il mondo classico quanto quello germanico e celtico amavano la caccia, a favore del cervo, all’interno di un più ampio discredito della pratica della caccia, soprattutto nelle sue forme più violente – come appunto quella del cinghiale, accusata di far sprofondare i cacciatori in stati di furore troppo dionisiaci per gli standard cristiani.
Il nuovo pubblico di queste immagini raramente conosce le leggende e il sostrato culturale a cui spesso esse rimandano, e tuttavia ne è attratto. Dirlo è ribadire un’ovvietà. È meno scontata la risposta che possiamo darci se ci interroghiamo su come vada interpretato questo fenomeno, provando a non considerarlo come la perdita di qualcosa, bensí come l’evoluzione e la continuazione di una storia di simboli che si modificano e richiamano attraverso le epoche. Una forma di moltiplicazione, il sovrapporsi di un ulteriore strato simbolico. Il rimandarsi di una frequenza.
All’inizio del XIX secolo venne pubblicato un libro che rimase a lungo il best-seller del mondo occidentale: Ivanhoe di Walter Scott. Il successo fu tale che valse all’autore il titolo di “baronetto”, conferitogli da Re Giorgio IV. Quest’opera, rafforzata dal film che ne fu tratto da Richard Thorpe, è quella che probabilmente più di tutte ha condizionato l’immagine che tuttora abbiamo del Medioevo: un’immagine, costellata di imprecisioni. Tuttavia, Michel Pastoureau, storico illustre, nel suo Medioevo Simbolico racconta che è stato proprio quel film a orientare la sua vocazione, e riporta a tal proposito un’indagine condotta dalla rivista Médiévals da cui emergeva che, a metà degli anni Ottanta, circa un terzo dei giovani ricercatori e storici di professione interrogati affermavano a loro volta di dovere la loro vocazione allo studio del Medioevo proprio al popolare, inesatto, sbagliatissimo Ivanhoe.
Viene da pensare che i social stiano realizzando, nei fatti prima ancora che nella teoria, la promessa originaria di cui parlava Susan Sontag nel saggio La caverna di Platone: “Democratizzare tutte le esperienze, traducendole in immagini”. I marginalia medievali possiedono la forza di ciò che è contemporaneamente mostruoso e familiare, enigmatico e insieme confortante. È questo strano attrito ad averle riportate fuori dall’ombra dei secoli. Da quella forza contraddittoria noi siamo respinti, da quella stessa forza siamo affascinati.
Mariachiara Rafaiani
Mariachiara Rafaiani è laureata in filologia classica e medievale e scrive poesie. Alcuni dei suoi testi sono usciti per diverse riviste.
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