Con Naval’nyj muoiono anche le speranze di un'opposizione in Russia - Lucy
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Maria Chiara Franceschelli

Con Naval’nyj muoiono anche le speranze di un’opposizione in Russia

19 Febbraio 2024

Quella di Naval’nyj è stata una visione politica discutibile. Iniziata in ambienti vicini all'estrema destra, si è poi trasformata in un populismo liberal-nazionalista e personalistico. Ma Naval’nyj è stato anche un leader carismatico, l'unico vero oppositore di Putin in questi anni. Ha combattuto contro la corruzione e ha consapevolmente scelto il martirio sotto un regime, come quello russo, che non accetta più alcuna manifestazione di dissenso.

Aleksej Naval’nyj è morto il 16 febbraio. Il leader dell’opposizione, attivista e blogger, stava scontando una condanna a 19 anni di “regime speciale” in un carcere di massima sicurezza a Kharp, nel Circolo polare artico. Aveva 47 anni, era detenuto dal 17 gennaio 2021. Durante la prigionia aveva tenuto vivo il suo impegno politico, e aveva sfruttato ogni occasione utile per mandare messaggi ai suoi collaboratori e al pubblico.

La morte di Naval’nyj segna il tramonto di un percorso che era riuscito a smuovere tutto il Paese, ma che è stato schiacciato dalla repressione sempre più feroce del regime di Putin. L’opposizione russa, già paralizzata da un sistema che ha gradualmente soffocato ogni istanza dissidente, si trova oggi priva di uno dei suoi punti di riferimento, forse il più importante. La morte di Naval’nyj è un delitto politico brutale, una dimostrazione di forza del Cremlino, che ha voluto mandare un messaggio inequivocabile a chi spera ancora di poter resistere. 

La notizia della morte di Naval’nyj è stata data dalle autorità penitenziarie russe. Naval’nyj si sarebbe “sentito male” durante la passeggiata in ora d’aria, avrebbe perso conoscenza e, nonostante le ripetute manovre di rianimazione del personale, sarebbe morto di lì a poco. Il 17 febbraio, le autorità russe hanno attribuito il decesso di Naval’nyj alla “sindrome da morte improvvisa” – una sorta di arresto cardiaco di cui non si possono identificare le cause. Poche ore dopo la comunicazione del decesso, Ivan Zhdanov, direttore della Fondazione per la lotta alla corruzione (FBK) fondata da Naval’nyj nel 2011, e Kira Jarmysh, l’avvocata di Naval’ny, hanno commentato l’accaduto in diretta sul canale YouTube del sito neputin.org, la campagna di FBK contro la rielezione di Putin alle elezioni presidenziali del prossimo 15 marzo. Zhdanov ha denunciato la morte del leader come un “omicidio politico premeditato” ad opera di Vladimir Putin.

Le circostanze precise del decesso sono ancora da chiarire – e probabilmente non verranno mai alla luce. La salma di Naval’nyj non è stata ancora consegnata alla famiglia, ci sono dubbi sulla sua reale ubicazione, e difficilmente sarà possibile condurre un’autopsia indipendente. Sullo Stato russo gravano pesanti responsabilità – come ogni volta che un detenuto muore in carcere, a prescindere dal Paese e dal contesto di riferimento.

La struttura in cui era recluso Naval’nyj è appositamente studiata per annichilire i propri ospiti: un ex GULAG, è la prigione più a nord della Russia, ubicata nella Regione autonoma di Jamalo-Nenec, nell’artico russo, quindi estremamente isolata; le comunicazioni con l’esterno sono quasi impossibili. Di norma riservata agli ergastolani e ai criminali ritenuti più pericolosi, la colonia penale di Kharp è tristemente nota per le condizioni disumane a cui sono costretti i detenuti. Anche se le informazioni che si hanno su di loro sono estremamente scarse, sono sufficienti a farsi un’idea. Si sa, per esempio, che le celle non sono riscaldate, che le persone recluse non hanno accesso a cure mediche di base, che la procura della Regione ha ripetutamente denunciato violazioni delle norme igieniche, di sicurezza e di sicurezza sul lavoro (nel caso della Russia un evento raro, che sottolinea la gravità della situazione). 

La volontà del Cremlino di annientare il suo principale oppositore era chiara da anni. Naval’nyj aveva iniziato la sua carriera politica nei primi Duemila, tra le file di Jabloko, partito di stampo liberale. Sin dall’inizio le sue rivendicazioni erano improntate all’opposizione a Putin e alla tutela delle comunità locali. Nel 2007 lascia Jabloko, anche per via dei molti screzi con i vertici, e fonda NAROD, il Movimento nazionale di liberazione russo, insieme a Zakhar Prilepin, oggi convinto sostenitore dell’invasione dell’Ucraina. L’organizzazione, fortemente etnonazionalista, puntava a contrastare l’immigrazione dai Paesi centrasiatici e caucasici. In molti ricordano ancora la partecipazione di Naval’nyj alla Russkij Marsh, una marcia organizzata dal fronte dell’estrema destra russa.

Naval’nyj ha sempre mantenuto la sua fibra nazionalista. Ma vincolarlo ancora oggi ai suoi esordi politici non aiuta a capire la complessità del suo caso. Naval’nyj è stato un trasformista. La sua traiettoria politica si è tesa negli anni verso un populismo liberalnazionalista – talvolta incompreso in Europa, dove i media hanno spesso dipinto erroneamente le sue battaglie contro Putin come aspirazioni filo occidentali. Naval’nyj si è affermato come leader dell’opposizione nella stagione 2011-2013, animata dalle cosiddette proteste “della Bolotnaja”, dal nome della piazza in cui sono iniziate. Grandi manifestazioni di massa sono insorte contro i brogli elettorali nella rielezione della Duma federale nel dicembre del 2011, e poi contro la rielezione di Putin, alle presidenziali del 2012.

Nel 2011 Naval’nyj fonda FBK, che raggiunge presto una capillarità singolare. Il leader si distingue per le sue capacità nell’uso dei media – i suoi video su YouTube hanno un grande seguito e sollevano forti moti di indignazione. Così, negli anni successivi, è proprio l’indignazione il sentimento su cui Naval’nyj fa leva: puntando contro la corruzione ai vertici del sistema putiniano, denuncia l’egoismo della classe politica al potere, rivendica giustizia per il popolo russo.

“La morte di Naval’nyj segna il tramonto di un percorso che era riuscito a smuovere tutto il Paese, ma che è stato schiacciato dalla repressione sempre più feroce del regime di Putin”.

L’annessione della Crimea nel 2014 rappresenta uno spartiacque nell’evoluzione ideologica di Naval’nyj, che inizia a mostrarsi titubante nei confronti delle aggressive politiche espansionistiche russe. Nel 2023, dalla prigione, rigetterà addirittura l’afflato nazionalista affermando, in riferimento all’invasione dell’Ucraina, che “quasi tutti i confini al mondo sono casuali (…) ma combattere per cambiarli nel XXI secolo non si può, altrimenti il mondo sprofonderà nel caos”. 

Negli anni successivi al 2014, la popolarità del leader aumenta ancora, grazie alle sue seguitissime inchieste. In vista delle elezioni – parlamentari, ma anche regionali e municipali – Naval’nyj e il suo team sviluppano la cosiddetta strategia “del voto intelligente”, una campagna che punta a smascherare i “finti” candidati indipendenti – in realtà pro-Cremlino – e a dare indicazioni di voto per chi volesse opporsi al regime di Putin. Nel 2017 vengono aperti in tutta la Russia i “quartier generali di Naval’nyj” (“shtab Naval’nogo”), a supporto della sua, di candidatura, per le presidenziali del 2018. Gli sarà poi proibito di candidarsi, ma quei quartier generali hanno rappresentato un polo inusuale di mobilitazione locale, hanno raggiunto grande capillarità, e si sono riadattati a seconda delle esigenze e delle nuove battaglie politiche – non ultima, l’opposizione alla guerra in Ucraina.

Nel frattempo, anche la Russia di Putin si è evoluta. Il Cremlino ha inasprito la morsa sulla società civile tramite leggi ad hoc: la quella “sulle ONG” del 2006, quella “sugli agenti stranieri” del 2012, e poi quella sulle “organizzazioni non gradite” del 2015, tutte e tre volte a limitare le iniziative dal basso, le alleanza transnazionali e, in generale, la partecipazione della società civile nell’arena politica.

A ciò vengono affiancate prassi intimidatorie: arresti a tappeto, perquisizioni, avvelenamenti e omicidi. Tra i tentativi più tristemente noti c’è proprio quello di Naval’nyj, che il 20 agosto 2020 viene avvelenato con il novichok, un agente nervino potenzialmente letale. Dapprima ricoverato in un ospedale di Omsk in condizioni gravissime (dove il forte malore viene attribuito a un calo di zuccheri) Naval’nyj viene poi evacuato d’urgenza in un ospedale tedesco, dove i medici accertano l’avvelenamento

Il 17 gennaio 2021 Naval’nyj torna in Russia con un volo di linea. Anche dal letto di ricovero in Germania, il leader aveva sempre affermato con decisione di voler tornare in Russia. Appena atterrato a Mosca, viene placcato al controllo passaporti dagli agenti del Servizio federale per la sicurezza della Federazione Russa e messo in custodia cautelare. Le accuse riguardano una vicenda risalente a cinque anni prima, che vedeva Aleksej e il fratello Oleg imputati di frode fiscale. Dall’arresto del 2021, Naval’nyj non verrà mai scarcerato, e nell’agosto del 2023 viene condannato a 19 anni di carcere duro.

La morte di Naval’nyj è una morte annunciata, dunque. Nessuno aveva dubbi in merito alla sua fine, tantomeno il blogger. “Se mi ammazzano, non arrendetevi. Significa che siamo fortissimi. Dobbiamo usare questa forza: non arrendetevi”, diceva nel 2021 in un documentario girato dal regista canadese Daniel Roher. Nella sua ultima apparizione, il 15 febbraio 2024, un giorno prima della sua morte, un Naval’nyj emaciato e profondamente provato faceva ironia sulle condizioni in cui versava il carcere che lo ospitava, chiedendo provocatoriamente al giudice di cedere parte del suo “enorme salario” ai detenuti, per garantir loro un po’ più di cibo. 

La morte di Naval’nyj si iscrive in una dinamica, quella fra il Cremlino e la società civile, che si è fatta progressivamente più violenta. La guerra di Putin ha accelerato questo processo esponenzialmente, imponendo una società sempre più repressiva e polarizzata, che non lascia spiraglio alcuno per immaginare futuri alternativi. La cifra totalitaria del regime è ormai evidente, con un governo che non esita a reprimere le istanze di opposizione nella maniera più cruenta e insieme eclatante possibile, e che intende lasciare il popolo non allineato privo non solo di mezzi ma anche di eroi. 

“La morte di Naval’nyj è una morte annunciata. Nessuno aveva dubbi in merito alla sua fine, tantomeno il blogger”.

Di eroismo si può e si deve parlare nel caso di Naval’nyj. La sua parabola politica è stata discutibile e non priva di difetti, certamente personalistica ed egoriferita, ma Naval’nyj è stato anche un leader carismatico che ha saputo intercettare gli umori di una parte di popolo che, in questi anni, ha avuto ben pochi altri strumenti per esprimere il proprio dissenso.

È stato, a conti fatti, l’unico oppositore che il Cremlino abbia davvero temuto. Con il suo team è riuscito a istituire in Russia un’organizzazione capace di raggiungere anche le città più remote, dall’Artico alla Siberia fino ai confini con l’Asia centrale. Sempre disilluso in merito alla propria sorte, ha scelto il coraggio dei martiri il giorno in cui è atterrato all’aeroporto di Sheremetevo di ritorno da Berlino. “Questo è il nostro Paese e non ne abbiamo un altro” diceva, come ricorda Luigi De Biase sul «manifesto». E davvero Naval’nyj non ne ha avuto nessun altro: al riscatto della Russia dall’ombra di Putin ha immolato la propria vita. A 48 ore dalla morte, più di 400 persone sono state arrestate per averlo omaggiato.

È difficile sperare in un una rivolta sull’onda del suo omicidio. Al momento in Russia non ci sono le condizioni per una rivoluzione. Ma a Naval’nyj va il merito di aver unito nella lotta al potere di Putin voci radicalmente diverse, e di aver continuamente smascherato un regime che non riesce a fare i conti con il dissenso, se non assassinandolo.

Maria Chiara Franceschelli

Maria Chiara Franceschelli è dottoranda alla Scuola Normale Superiore di Pisa e scrive di governance ambientale, società civile e partecipazione politica nella Russia contemporanea. È autrice, insieme a Federico Varese, di La Russia che si ribella. Repressione e opposizione nel Paese di Putin, in uscita a marzo per Altreconomia edizioni.

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