Demetrio Stratos è stato un alchimista della voce - Lucy
articolo

Daniele Cassandro

Demetrio Stratos è stato un alchimista della voce

15 Gennaio 2025

Lo storico frontman degli Area, morto nel 1979 all’età di 34 anni, non fu soltanto un grande musicista e uno straordinario sperimentatore, ma anche uno studioso delle tecniche del canto e della fonazione. Oggi, un’ambiziosa mostra a Ravenna ne racconta la carriera e la costante ricerca.

Nel 2019, l’attrice, artista e scenografa Ermanna Montanari – cofondatrice del Teatro delle Albe – e lo studioso Enrico Pitozzi decidono di aprire un centro di ricerca vocale. Al momento di trovare una sede, il comune di Ravenna propone loro un palazzo settecentesco che si trova esattamente di fronte alla Basilica di Sant’Apollinare nuovo. Il palazzo era stato venduto alla fine dell’Ottocento dalla famiglia patrizia che lo abitava ed era stato usato per buona parte del Novecento come sede di uffici della provincia. Prima ancora di varcarne la soglia, Montanari capisce che quello è il posto giusto. Le basta leggere la targa: palazzo Malagola. “Quale nome migliore per un luogo destinato allo studio e alla pratica della voce?” mi dice  con un sorriso. Dopo aver smontato controsoffitti e pareti di cartongesso che dividevano gli spazi degli uffici è rimasto uno spazio ampio e austero con qualche lacerto della signorilità di un tempo: un grande ingresso per le carrozze, stucchi, decorazioni ad affresco e una fuga di saloni vuoti, come tante pagine da riempire. Oggi Malagola è la sede di un centro internazionale di ricerca vocale e sonora, una residenza per artisti, una scuola di alta formazione e un archivio di materiali sonori e audiovisivi: dalle finestre che danno sulla via di Roma si vedono le palme di Sant’Apollinare, le stesse che scandiscono la teoria di vergini rappresentata sulla navata sinistra della chiesa: una delle immagini più ieratiche e luminose dell’arte mistica e trascendente per eccedenza: il mosaico bizantino.

Demetrio Stratos è stato un alchimista della voce - Ravenna teatro - Malagola: Scuola di vocalità e corso di alta formazione  Ermanna Montanari con Enrico Pitozzi. Credits: Fabrizio Zani.

Ravenna teatro – Malagola: Scuola di vocalità e corso di alta formazione Ermanna Montanari con Enrico Pitozzi. Credits: Fabrizio Zani.

Trascendente, anche se molto legata al qui e ora dei suoi tempi, è anche l’arte di Demetrio Stratos (1945-1979), musicista, cantante, sperimentatore e insegnante a cui Malagola dedica una mostra intitolata Fino ai limiti dell’impossibile aperta fino al 31 gennaio. È la seconda parte, il secondo movimento come lo hanno chiamato i curatori, di una mostra del 2023 che era stata intitolata Amorevolmente progredire, amorevolmente regredendo. Questa esposizione, curata da Ermanna Montanari ed Entrico Pitozzi insieme a Marco Sciotto e Dario Taraborelli, è anche una maniera per raccontare al pubblico che Malagola è oggi la nuova casa di Demetrio Stratos visto che, nel 2022, la vedova Daniela Ronconi Dimitrìou (Stratos all’anagrafe era Efstràtios Dimitrìou) decise di donare tutto l’archivio del marito. Un lascito ricchissimo e variegato, fatto di oggetti e oggettini maniacalmente raccolti, di appunti stropicciati ma amorevolmente conservati, di fogli fittamente riempiti di appunti e di testi sia in italiano sia in greco. E poi una grande quantità di dischi provenienti da ogni angolo del mondo, soprattutto da quel Mediterraneo di cui Stratos, greco nato ad Alessandria d’Egitto e poi naturalizzato italiano, si sentiva figlio al di là di qualunque confine nazionale. Tra le scatole e i faldoni dell’archivio, Marco Sciotto mi fa vedere alcuni oggetti che non sono in mostra: ci sono le fibbie delle cinture decorate che Stratos metteva in scena, un panciotto tradizionale e una scatola di pappa per neonati commercializzata in Grecia alla metà degli anni quaranta su cui spicca, tra i gialli e i rossi sgargianti del packaging dell’immediato dopoguerra, il primo ritratto pubblico di  Efstràtios. Quel neonatone roseo, forzuto e sorridente era già lui, un po’ come l’Ercole bambino della pittura greco-romana. Ci sono anche dei  piccoli strumenti musicali giocattolo che ricordano l’attenzione che Stratos aveva per l’infanzia come spazio liminale in cui apparentemente dal nulla si formano la voce e quindi anche la parola e il canto. Ed era proprio in quell’abisso pre-linguistico che Stratos si era tuffato alla ricerca di un qualcosa che oggi possiamo provare ad abbracciare in queste sette sale di palazzo Malagola.

Demetrio Stratos è stato un alchimista della voce - Appunti manoscritti di Demetrio Stratos con indicazioni per la lettura scenica del frammento da "Pour en finir avec le jugement de Dieu" di Antonin Artaud, 1978.

Appunti manoscritti di Demetrio Stratos con indicazioni per la lettura scenica del frammento da “Pour en finir avec le jugement de Dieu” di Antonin Artaud, 1978.

Il primo movimento della mostra, Amorevolmente progredire, amorevolmente regredendo era tutto incentrato sulle ricerche di Stratos sulla fase della lallazione, quel momento della prima infanzia in cui i bambini cominciano a sperimentare con la voce e sulla sua collaborazione con il compositore americano John Cage. Il secondo movimento, Fino ai limiti dell’impossibile, si addentra nella ricerca vocale di Stratos, nel suo interesse per le musiche del mondo (lontano da qualunque orientalismo e da qualunque paternalismo da World Music) e nella dimensione più rituale e trascendente del suo lavoro. La mostra si apre con una sala piena di poster ed è un trionfo della comunicazione visiva graffiante degli anni settanta: ci sono i manifesti dei concerti degli Area, la band, o meglio l’International POPular Group, in cui Stratos ha militato dal 1972  (con qualche variazione di lineup) con Giulio Capiozzo, Paolo Tofani, Ares Tavolazzi e Patrizio Fariselli. La grafica dei poster degli Area, che erano accompagnati nel loro percorso artistico dal discografico, ideologo e agitatore culturale Gianni Sassi, ci racconta una realtà magmatica e vitalissima, oggi davvero impensabile, tra impegno politico, musica pop e rock, fusion, jazz e Mediterraneo. Era un’estetica che oscillava tra il progressive rock e la rivoluzione, tra le piazze creative del movimento e una discografia italiana che stava cambiando.

Demetrio Stratos è stato un alchimista della voce - Sala poster. Credits: Marco Sciotto.

Sala poster. Credits: Marco Sciotto.

Gli Area erano un gruppo pop nel senso di “popolare” che suonava nelle aule delle università occupate, tra gli intellettuali e gli sconvoltoni, tra le femministe e gli indiani metropolitani, con l’obiettivo comune di abbattere qualunque ostacolo: il patriarcato, il conformismo borghese e fascista, il colonialismo, il capitalismo, la società dei consumi… 

“La rivoluzione era lì a portata di mano”, mi dice Ermanna Montanari: “La si dava per scontata, era solo una questione di quando”. Dall’altra parte dell’androne, come un feticcio animista, occhieggia da una vetrina la scultura che vediamo nella copertina di Arbeit macht frei, il primo album degli Area del 1973. È un uomo di legno imbracato in qualcosa che sembra una cintura di castità chiusa da un lucchetto. Il legno di cui è composto è quello delle gogne e dei patiboli, come se la sua stessa carne fosse fatta del materiale che lo imprigiona e che lo umilia. In testa ha un casco metallico che gli impedisce di vedere: solo due labbra sproporzionate spuntano da una fessura all’altezza della bocca. Non sappiamo se la figura abbia un sesso: sicuramente non è nelle condizioni di esplorarlo. In mano però ha una chiave, forse la chiave che potrebbe liberarlo, ma il suo braccio è troppo corto e rigido per poterla avvicinare al lucchetto. Arbeit macht frei, il lavoro rende liberi, è il motto macabro e beffardo che si legge tuttora sui cancelli d’ingresso di molti lager nazisti. 

Demetrio Stratos è stato un alchimista della voce - Manufatto originale "Arbeit Macht Frei". Credits: Marco Sciotto.

Manufatto originale “Arbeit Macht Frei”. Credits: Marco Sciotto.

Nella sala più coinvolgente della mostra è buio e non c’è nulla da vedere. C’è un’installazione sonora che ci permette l’ascolto immersivo di alcuni pezzi vocali di Demetrio Stratos tratti dal suo primo album solista, Metrodora (1976). Mirologhi 1 e 2, i Lamenti di Epiro, sconvolgenti. In quella sala buia, in cui pare ci fosse la camera da letto in cui morì l’ultimo dei nobili proprietari del palazzo, sentiamo la presenza fisica di Stratos. Siamo talmente assuefatti alla voce umana registrata tra radio, tv, podcast e messaggi vocali che ci siamo dimenticati della sua materialità, di come esca dal corpo grazie a un sistema meccanico che coinvolge respiro, diaframma, gola, bocca, lingua, muscoli, ossa, mucose e tendini. La voce è fatta di aria e di saliva, di sforzo e di intenzione: è il soffio della vita (psyché per i greci) che si sostanzia nel verbum: la parola come primo atto creativo che spazza via l’oscurità.

Demetrio Stratos è stato un alchimista della voce - Sala di ascolto immersivo. Credits: Marco Caselli Nirmal.

Sala di ascolto immersivo. Credits: Marco Caselli Nirmal.

La voce di Stratos ci invita a inabissarci con lui all’origine del suono, all’origine del canto e della narrazione poetica. In italiano la parola verso può indicare sia il suono emesso da un animale o da un bambino (il verso dell’asino, o il versaccio di un bambino dispettoso) sia la l’unità di misura strutturale e ritmica della poesia, il verso che diventa versetto nelle scritture sacre. E in più segna una direzione, un verso appunto. Ed è proprio il senso della direzione che perdiamo quando siamo immersi al buio nell’ascolto dei Lamenti di Epiro: da dove arriva la voce di Stratos? Da un passato arcaico, mediterraneo e preomerico? O da un luogo dentro di noi fuori dallo spazio e dal tempo? O magari da un oltre trascendente che solo gli occhi eternamente aperti delle nostre vicine di casa, le vergini di sant’Apollinare nuovo, possono vedere?

Nella sala dei documenti e degli ascolti vediamo spartiti, appunti e fogli a cui corrispondono altrettanti ascolti da fare in cuffia. Sentire Stripsody, la composizione di Cathy Berberian del 1966 ispirata ai fumetti (o meglio a quelli che negli anni sessanta e settanta erano ancora chiamati “giornaletti”), è un’esperienza notevole. Stratos ha una sorprendente capacità mimetica e una grande musicalità: il timbro inconfondibile è il suo ma il ritmo, le sincopi, le pause e anche certi vezzi sono esattamente quelli di Cathy Berberian. E da una vetrina seguiamo lo spartito: un pentagramma costellato di onomatopee come honk, honk (il clacson), oink oink (il maiale)  fino allo n-ghé n-ghé del neonato, in un mix di inglese dei fumetti, bambinese italiano e onomatopea di sapore post-futurista (Kerplunk!). Berberian, che era anche la moglie del compositore Luciano Berio, è stata una cantante colta e  intelligente che ha saputo e voluto spaziare da Monteverdi a Kurt Weill, dai canti popolari armeni riarrangiati per lei dal marito alle canzoni dei Beatles che aveva scoperto grazie alla figlia. Se Berberian era arrivata alla cultura pop partendo dalla musica classica e dalla sperimentazione contemporanea, Stratos ha fatto il cammino inverso, arrivando alla sperimentazione vocale dai concerti rock, dai festival e dalle assemblee del movimento. Eppure i due artisti qui si specchiano e ci ricordano un momento storico, non così lontano, in cui esisteva un dialogo vitale e vivace, anche molto acceso, tra la cultura cosiddetta alta e le controculture. E soprattutto ci ricordano che questo dialogo avveniva davanti a un pubblico, un pubblico variegato, attento e curioso e non atterrito, respinto o annoiato dalla sperimentazione, anche la  più estrema. Un pubblico che poteva essere aggressivo, molto politicizzato e polemico, che poteva arrivare a salire sul palco e staccare la spina ma si sentiva assolutamente parte del processo artistico a cui assisteva. 

Si esce da questa mostra emozionati e iperstimolati, con la sensazione di averlo conosciuto davvero, Demetrio. Lo abbiamo visto bello e forte nei ritratti in bianco e nero di Roberto Masotti e di Guido Harari, sul palco con gli Area o mentre insegnava ai bambini davanti a una lavagna, e abbiamo sentito John Cage tessere le sue lodi. Ma soprattutto, attraverso la sua voce, abbiamo percepito ancora il suo calore e il suo respiro. Come se fosse vivo, nel presente, di fianco a noi.

La mostra “Fino ai limiti dell’impossibile. La ricerca vocale di Demetrio Stratos 1970-1979. Secondo movimento”, a cura di Ermanna Montanari e Enrico Pitozzi, è a Ravenna, a Palazzo Malagola, fino al 31 gennaio 2025. 

Daniele Cassandro

Daniele Cassandro è giornalista di «Internazionale» e collabora con diverse testate.

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