“Devo scrivere il mio tempo prima che lui scriva me”: il lascito di Alberto Dubito - Lucy
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Marco De Vidi

“Devo scrivere il mio tempo prima che lui scriva me”: il lascito di Alberto Dubito

Alberto Feltrin, in arte Alberto Dubito, è morto non appena ventenne nella notte tra il 24 e il 25 aprile del 2012. Da allora i suoi versi, la sua musica e il suo esempio, specie nel campo dell’attivismo politico, non smettono però di ispirare la comunità che si è da subito raccolta attorno al suo ricordo.

Sono in quattro, appoggiati al guard rail di un cavalcavia che conduce a un’enorme zona industriale. Uno di loro indossa una maschera antigas. Partono le prime note della canzone e cominciano a camminare verso la videocamera, la notte è illuminata dalle luci di un ponte dalle forme futuristiche.

Alberto Dubito inizia a cantare, a rappare, con quel suo stile deciso, rabbioso, ma sempre pulito, che arriva forte, chiarissimo, dal primo momento in cui lo si ascolta. “Sai, devo scrivere il mio tempo prima che lui scriva me, devo scriverlo perché quello che non scrivo mi limita fino a quando non diventa limite di carta”, dice, mentre l’incedere del brano si fa teso.

Qualche verso prima, in righe quasi di premonizione, in un brano che si intitola Non c’è più tempo, scriveva “E se muoio giovane spero sia dal ridere, ti dicevo, di quanto brucio più in fretta di voi”, continuando così: “e poi, non mi vedrai più per mille miglia, fratello mio, io riparto da dove gli altri non hanno più visto la partenza e la data di scadenza, che era cinque minuti fa”. 

È questa urgenza a colpire più di tutto, ripercorrendo la vicenda di Alberto Dubito, rileggendone i testi, riascoltandone le canzoni. Un percorso breve, intensissimo, prolifico, capace di ispirare cambiamenti profondi, anche aldilà delle sue intenzioni. Un artista guidato quasi dalla foga di voler esprimere tutto, e forse per questo in grado di leggere quello che gli accade intorno in modo così acuto e preciso, intuendone pure i meccanismi nascosti.

Dubito, nome d’arte di Alberto Feltrin, era un rapper, poeta, attivista, rappresentante del movimento studentesco. Insieme a Davide Tantulli, Sospè, una delle due metà dei Disturbati Dalla CUiete, fondò un duo rap che si rifaceva al filone più politico di questo genere, ispirato da Assalti Frontali e 99 Posse. Insieme a loro c’era un gruppo di amici che si occupavano di grafiche e videoclip.

Hanno cominciato a fare musica giovanissimi, scrivendo canzoni e registrando album, esibendosi dal vivo, arrivando a un passo dal diventare grandi, appena un istante prima che rap e trap conquistassero l’attenzione di radio, televisioni, giornali. 

“Un percorso breve, intensissimo, prolifico, capace di ispirare cambiamenti profondi, anche aldilà delle intenzioni. Guidato quasi dalla foga di voler esprimere tutto, e forse per questo in grado di leggere quello che gli accade intorno in modo così acuto e preciso, intuendone i meccanismi segreti”.

Nella notte tra il 24 e il 25 aprile del 2012, Alberto, ancora ventenne, decide di andarsene. Tutto si ferma, resta sospeso, per un attimo in cui la famiglia, gli amici, le molte persone che lo conoscono, non vogliono credere a ciò che è accaduto. Poi però le cose si mettono in moto, accadono repentinamente, con un’accelerazione che nessuno può prevedere. 

A Treviso, la sua città, il sindaco leghista si rifiuta di offrire un luogo per la commemorazione pubblica di un ragazzo che è stato anche un volto in vista del movimento studentesco, che ha sempre denunciato la mancanza di spazi per i più giovani.

Il sindaco di un comune vicino concede uno spazio, ma da quel momento i giovani amici decidono che occorre fare qualcosa, che la morte di Alberto è un fatto pubblico, e serve raccontarlo a tutti. Quello spazio, negato dal sindaco, occorre prenderselo. 

Cominciano così le occupazioni in quest’area. Si individua un edificio abbandonato, oppure uno dei molti capannoni vuoti nei dintorni del centro, si entra, si fa festa per tutto il fine settimana, si pulisce tutto e si va via. È un modo per ricordare un amico, ma anche di onorarlo ponendo l’attenzione su un fenomeno, quello dei fabbricati dismessi che, per quanto urgente, da queste parti nessuno vuole affrontare.

Per settimane si continua così, a individuare sempre nuovi punti della mappa in cui lasciare un segno, almeno per un weekend. Poi qualcuno avanza l’idea di restare più a lungo, di dar vita a un luogo che tenga insieme musica e cultura, politica. Un’idea che forse Alberto avrebbe apprezzato. Comincia così l’occupazione dell’enorme complesso dell’ex Telecom (che ora sta per diventare un parcheggio comunale) e poi quella della vecchia caserma Piave, a pochi passi dalle mura che delimitano il centro cittadino, diventato nel frattempo il centro sociale Django, che ora fa parte di un più ampio piano di co-progettazione del comune di Treviso.

Alberto, nelle sue peregrinazioni, che lo avevano portato a vivere da solo nel complesso popolare di via Pisa, a Treviso, e poi a Roma e a Milano, aveva iniziato qui a collaborare con Agenzia X, casa editrice che si occupa prevalentemente di controcultura fondata da Marco Philopat, scrittore, cronista del punk e dei movimenti di protesta in Italia.

Dopo la sua morte, Agenzia X insieme a Lorenzo Fe, il fratello maggiore di Alberto anche lui collaboratore della casa editrice, decide di pubblicare una raccolta di materiali ritrovati negli hard disk lasciati da Dubito: poesie, prose, testi di canzoni, fotografie. Il volume si intitola Erravamo giovani stranieri ed esce subito, nell’ottobre del 2012.

Il libro, negli anni, è diventato una sorta di long seller, ha continuato ad attirare lettori, tra i molti che si sono imbattuti nella storia di Alberto Dubito, anche grazie al premio che porta il suo nome. All’interno si trova l’intero immaginario creato da Alberto in pochissimi anni, sorta di autoritratto di un ventenne capace di osservare la realtà con uno sguardo surreale ma immediato. Un diario allucinato che proviene dalle periferie arruginite, e che invita continuamente un’intera generazione ad avere speranza, ad agire, prendere posizione. Agenzia X, lo scorso inverno, ha deciso di ristampare il volume, uscito finalmente in un’edizione integrale.

Ma non solo. La famiglia di Alberto ha poi scelto di onorare il suo ricordo istituendo un premio di poetry slam e di poesia con musica, organizzato in collaborazione con Agenzia X, ora arrivato alla tredicesima edizione. La serata di apertura, per tradizione, si svolge il 24 aprile al centro sociale Django a Treviso, la finale invece a dicembre, a Milano, al Cox 18 (le due città di Dubito).

Ogni anno vengono inoltre pubblicati i materiali del premio, con testi di diversi autori a completare ogni volume. Nella raccolta di un paio di edizioni fa compariva anche un mio testo, un reportage inizialmente pubblicato su Vice, in cui con alcune interviste ai suoi amici, tentato di ricostruire il percorso musicale di Alberto e i suoi molti progetti. È una storia cui sono molto legato: Treviso è la mia città, con Lorenzo, fratello di Alberto, abbiamo frequentato le stesse scuole superiori, ci conosciamo insomma da moltissimo tempo. Seguire, soprattutto all’inizio, gli effetti così inaspettati e dirompenti della morte di un ventenne su una città provinciale e assopita, è stato sorprendente.

È stato impressionante, soprattutto, osservare come le parole di Alberto Dubito abbiano fatto da guida ai mutamenti. “Di ritorno dalle altre come sempre un po’ mi manchi, con le vie intitolate alle vite sbagliate, le serate incerte e le urne verde lega, verde della tua intolleranza che piega, ti colorerò con gli spray di maledetto verde speranza, credimi. Cara Città, Sveglia! Cara Città, Wake up!”, dice il testo di Cara città. Il primo collettivo di occupanti, prima di chiamarsi Django, sceglie proprio il nome Ztl Wake Up, citando così i Disturbati Dalla CUiete.

E nel 2013 è stato proprio il movimento attorno alle occupazioni a favorire la vittoria della prima timida amministrazione di centrosinistra nella storia di Treviso, poi tornata rapidamente in mano alla Lega alle elezioni successive. 

In Intolleranza, brano del 2007, raccontando in modo accurato il comportamento della Lega al potere in Veneto, Dubito pare prefigurare quella che poi è stata l’evoluzione della destra in tutto il nostro Paese: “Intolleranza per chi disprezza e prende voti, intolleranza parla di razza e merita sputi, intolleranza e si alimenta quando sento discorsi senza fondamenta”. E qualche verso prima, a descrivere con precisione un mondo in cui ancora non esistevano le fake news legate ai social media, affermava: “Ma il dito si punta senza più problemi, basta lo scoop tu basta che ci credi, falsità in loop, tu manda in alto i medi”. 

Quella innata capacità di comprensione della propria contemporaneità, ma anche di prefigurazione di ciò che sarebbe accaduto dopo, è evidente anche in un lavoro come Italia precaria.

Nel 2011, dopo che i Disturbati avevano pubblicato due album (Shh! e Le periferie arrugginite) e un ep (Mille miglia in silenzio), tutti autoprodotti, vengono contattati da un’autrice di un programma che verrà trasmesso su La7, Il contratto, condotto da Sabina Nobile, una sorta di talent dedicato al mondo del lavoro. 

All’allora giovanissimo collettivo vengono affidati dei videoclip (realizzati in autonomia) come sigla di chiusura del programma. Ne verranno realizzati otto ma trasmessi solo cinque, sui temi, scrivevano i Disturbati, del “lavoro nero, precariato, morti bianche e altre mostruosità contemporanee del nostro bel paese”.

Il lavoro che dovrebbe essere un diritto e invece spesso è precario, l’Italia che invecchia, le morti sul lavoro, le canzoni e i video che li accompagnano descrivono un mondo che, a quasi quindici anni di distanza, è forse peggiorato.

Così cantava Alberto Dubito in Omicidi del lavoro: “Ma ancora qui (qui) di lavoro sì, si muore, e avaro per due soldi in più tu togli le tutele, e per quelle due lire s’è stoppato il cuore scivolato cento metri giù dalle tue impalcature”.

In occasione della della dodicesima edizione del premio, un anno fa, è stato presentato il disco Disturbat! Altr!, in cui un collettivo di venti artisti, selezionati tra vincitori e amici del premio Dubito, reinterpreta i brani dell’album “La frustrazione del lunedì (e altre storie delle periferie arrugginite)”, l’ultimo lavoro dei Disturbati dalla CUiete, pubblicato nel novembre del 2012, quando Alberto già non c’era più.

A seguire la produzione e la nuova veste musicale del disco ci sono Sospè, l’altra metà dei Disturbati, e Bonnot, produttore che ha lavorato con M1 e Assalti Frontali tra i tanti, e che ha portato a termine, in un’atmosfera sofferta, la prima versione di un album che sarà il testamento musicale di Alberto.

È un disco cui Alberto Dubito teneva moltissimo, scritto durante la sua permanenza a Milano, mentre Sospè faceva su e giù da Treviso per seguirne la produzione nel frattempo appassionandosi al mestiere di tecnico del suono nello studio di Bonnot. Al suo interno ci sono alcuni tra i brani più rappresentativi dei Disturbati Dalla CUiete, da Storie abbandonate a Cara città, da Vent’anni contro a Stazioni nelle stazioni: in una sintesi perfetta tra temi, metrica dei testi e sperimentazione musicale del gruppo.

Alla nuova versione dell’album hanno partecipato la Monosportiva e Matteo Di Genova, Eell Shous e A13, Mezzopalco e Kyoto, Osso Sacro e Gabriele Stera, e poi Wissal Houbabi, Marco Philopat e Paolo Cerruto (anche membro degli Addict Ameba) di Agenzia X, il sassofonista Frank Nemola e il poeta Lello Voce, che è stato professore di Alberto al liceo artistico e lo ha introdotto al mondo della poesia con musica, campo in cui Alberto Dubito è poi diventato eccezionale.

La nuova versione del brano Disturbati Army, realizzata da Bonnot e Sospè, ne è un esempio: un brano rabbioso, in cui a un certo punto il cantato si fa velocissimo, incalzante, eppure perfettamente scandito sul groove. I testi di Dubito mescidano slogan politici, paradossi e immagini efficacissime nel raccontare l’attualità. Insieme a metafore che diventano a loro volta dei perfetti manifesti, come “Generazione di pentole a pressione”, ritornello che ritorna più volte nel corso dei suoi brani, a esprimere in modo preciso il montare della rabbia dei giovani inascoltati della provincia.

“Alberto Dubito inizia a cantare, a rappare, con quel suo stile deciso, rabbioso, ma sempre pulito, che arriva forte, chiarissimo, dal primo momento in cui lo si ascolta”.

Gli altri brani assumono invece una nuova veste musicale, a volte ne riesco addolciti, oppure più divertenti, a volte invece si fanno più rabbiosi ancora. Sono intonati da voci diversissime e ascoltarli in questi arrangiamenti fa emerge con ancora più dirompenza l’attualità dei testi dei Disturbati dalla CUiete.

Ho scelto la prima fila, con pianoforte e violino, prende una direzione quasi da stralunato cantautorato, che assume nuovo vigore con lo spoken word in italiano e arabo di Wissal Houbabi; mentre Vent’anni (ancora) contro, rivisitata dagli Eels Shous, suona invece come una festa collettiva in cui è facile ritrovarsi a intonare insieme “dentro la città urla sempre ‘viva l’Italia antifascista!’”.

Il punto è proprio questo, forse: le parole di Alberto Dubito sono in grado di raccontare con accuratezza quel mondo che da un lato vuole credere, sognare, pensare di poter costruire qualcosa di nuovo, o di migliore; e che dall’altro è soffocato da inquinamento, precarietà esistenziale e lavorativa, le minacce di un fascismo ritornante.

Se in tanti oggi ritornano ai suoi testi, se in tanti, soprattutto, riscoprono ogni giorno la musica dei Disturbati dalla CUiete, è perché siamo ancora dentro a tutto questo come mai prima. “Ma questo è il rischio di chi spera, nel mondo come unica patria e nessuna frontiera”. 

Marco De Vidi

Marco De Vidi, giornalista e autore. Collabora con diverse testate. L’ultimo libro a cui ha preso parte è Se solo queste guerre non scoppiassero a piangere (Agenzia X, 2023).

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