Leonardo Bianchi
Un anno fa, Giulia Cecchettin veniva uccisa da Filippo Turetta. Nei mesi a seguire, stravaganti teorie del complotto sulla non esistenza di Turetta e la trasformazione dell'omicida in un meme hanno cercato di negare l'esistenza di un problema strutturale di violenza maschile in Italia.
Filippo Turetta è apparso per la prima volta in un’aula di tribunale il 25 ottobre del 2024, a quasi un anno dal femminicidio di Giulia Cecchettin. Nel corso del lungo interrogatorio di cinque ore ha ammesso l’omicidio, confermando l’aggravante della premeditazione che gli contestava la procura.
Il ventitreenne ha raccontato di aver inviato oltre 225mila messaggi su Whatsapp a Cecchettin in meno di due anni, dal gennaio del 2022 all’11 novembre del 2023, il giorno della morte della ragazza. Questo torrente di comunicazioni serviva a controllare, ricattare emotivamente e mettere sotto pressione psicologica la ex fidanzata. Cecchettin a un certo punto aveva risposto: “Ti comporti come uno psicopatico. Ogni tanto mi fai paura”. Il delitto era stato preparato meticolosamente. Cecchettin doveva essere uccisa perché aveva osato terminare una relazione che per lei era diventata tossica. “Volevo tornare insieme a lei, e lei non mi voleva”, ha detto Turetta.
Quattro giorni prima dell’ultimo incontro, l’assassino aveva creato una nota di appunti sul telefono per fare ordine sugli oggetti utili e le azioni da compiere per rapire la ragazza e far perdere le proprie tracce. Voleva portarla in un posto “dove sarebbe stato possibile stare più tempo insieme”, per poi “aggredirla e anche togliere la vita, a lei e poi a me”. Un piano che non si è mai concretizzato perché Cecchettin ha reagito immediatamente all’aggressione, terminata così nella zona industriale di Fossò (in provincia di Venezia) con oltre settanta coltellate.
L’apparizione di Turetta in tribunale è stata ampiamente raccontata dai media. Ma quel materiale audiovisivo è stato dissezionato, su X e su Telegram, per difendere una teoria del complotto del tutto controintuitiva: quella secondo cui Turetta non esisterebbe per davvero. Diversi post hanno cercato di dimostrare – attraverso comparazioni tra varie foto di Turetta – che quello in aula non era lui, ma un sosia. “Lo ripeterò fino alla morte”, ha commentato un utente su X, “Turetta non esiste o comunque non è lui quello al processo”. Un altro ha ribadito che “al processo c’è un attore, questo ha cambiato 30 volte la faccia”.
Cesare Sacchetti, uno dei più noti influencer complottisti italiani, ha scritto sul suo canale Telegram, seguito più di 63mila persone, che “il Turetta comparso oggi [in aula, nda] ha gli occhi chiari mentre quello ritratto con la maglietta a calcio ha gli occhi scuri. Tra l’altro, è lapalissiano che sono due persone diverse. Davvero pensano di uscirne così?”. Il complottismo si autoalimenta d’altra parte proprio grazie alle confutazioni. “Se sembra un complotto”, scrive lo psicologo sociale Rob Brotherton nel saggio Menti sospettose, “significa che era un complotto. Se non sembra un complotto, era sicuramente un complotto. Le prove contro la teoria del complotto diventano prove del complotto”.
Nonostante la sua spudorata falsità, la teoria della non esistenza di Turetta ha seguito il caso d’omicidio come un’ombra, cercando di imporsi come grottesco contraltare alle manifestazioni femministe e alla presa di coscienza sulla violenza di genere. È successo da subito, già all’arresto di Turetta in Germania, avvenuto il 19 novembre del 2023 al termine di una fuga durata oltre una settimana, quando su alcuni account social si iniziò a far strada l’ipotesi che la ricostruzione ufficiale dei fatti fosse piena di buchi. In particolare, le speculazioni vertevano sull’apparente assenza di vistose tracce di sangue nell’auto di Turetta (poi trovate in abbondanza dai Ris); sul “misterioso” ritardo nell’autopsia di Cecchettin (che non era affatto tale, visto che si è svolta nei tempi tecnici previsti); sulla mancanza di foto pubbliche di Turetta dopo l’arrivo in Italia (foto che invece esistevano); e, per finire, sulla circostanza che il lago di Barcis – dov’è stato ritrovato il cadavere della ventiduenne – sarebbe un “luogo di culto per riti esoterici” (cose che non è).
Quest’ultima suggestione si collega alla “pista satanica”, un altro filone di questa teoria del complotto che ha preso di mira Elena Cecchettin, la sorella di Giulia, accusata di essere una satanista per l’abbigliamento sfoggiato in alcune interviste televisive (una felpa del noto brand Thrasher con il logo Skategoat, per esempio) e per alcune foto pubblicate sul suo profilo Instagram. Accuse assurde che sono state però rilanciate persino da alcuni politici di destra: il consigliere regionale del Veneto Stefano Valdegamberi, ha descritto la ragazza come una “frequentatrice di centri sociali e delle Bestie di satana” (gruppo che attivo dalla fine degli anni Novanta, quando Elena Cecchettin era appena nata), arrivando ad augurarsi che la magistratura potesse prendere “in considerazione questi elementi non insignificanti”. Un consigliere regionale leghista dell’Emilia-Romagna, Matteo Montevecchi, si è chiesto perché “sul suo profilo Instagram [di Elena Cecchettin] sono presenti sue foto con croci rovesciate sul volto, collane sataniche, statue di Lucifero e quant’altro […] la rappresentazione del male, quello vero”, non sapendo Montevecchi distinguere tra il satanismo e lo stile goth della ragazza (nelle cui foto non apparivano comunque collane sataniche né statue di Lucifero). Tra gli utenti social c’è stato chi si è spinto oltre: in quanto adoratrice di Satana, Elena Cecchettin sarebbe stata dedita alla “magia nera” e avrebbe dunque “posseduto mediante un rituale” Filippo Turetta, utilizzandolo “come burattino” per uccidere la sorella.
Ma se per qualcuno Turetta era manipolato da una “strega demoniaca”, dall’altro – per l’appunto – non esisteva affatto. Il primo ad aver sistematizzato questa teoria è stato il già citato Cesare Sacchetti. In un lungo articolo, pubblicato sul suo sito alla fine di novembre del 2023, spiegava che l’obiettivo finale della “montatura” mediatica era la creazione di una falsa “emergenza femminicidi” volta a “instillare il germe della demascolinizzazione sin dalla prima adolescenza” nelle “future generazioni”, le quali “saranno un domani esattamente il popolo castrato e inerme che il liberal-progressismo desidera”.
A questa prima ondata complottista ne è seguita un’altra verso la fine di gennaio 2024, quando i “mattonisti” – un gruppo di troll misogini e di estrema destra attivi soprattutto su X – hanno fatto entrare nei trending topic della piattaforma l’hashtag #TurettaNonEsiste. Sostenevano che le foto vere di Turetta in tenuta da pallavolista erano dei falsi generati da software di intelligenza artificiale. O che l’assassino non poteva esistere perché dal sito dell’Agenzia delle Entrate non risultava un codice fiscale valido (in realtà era semplicemente indicato il luogo di nascita sbagliato). Oppure imbastivano operazioni di trolling per continuare ad alimentare l’hashtag, ad esempio sostituendo il volto di Turetta con quello del cantante Serj Tankian dei System of a Down.
Ogni volta che il caso è tornato nel ciclo delle notizie, sui social sono comparse argomentazioni analoghe. Alla fine di giugno del 2024, la trasmissione televisiva Pomeriggio Cinque News aveva diffuso alcune foto di Giulia Cecchettin scattate da Turetta in un centro commerciale qualche ora prima dell’omicidio. La bassa qualità delle immagini – dovuta al fatto che si trovavano in documenti stampati in bianco e nero e successivamente ridigitalizzati – era stata interpretata come una prova della loro manipolazione. Su X i “mattonisti” avevano ricondiviso ironicamente le foto per evidenziarne la falsificazione; su Telegram, il canale complottista In Telegram Veritas (seguito da 34mila follower) aveva scritto che “Il Main Stream ci mostra ancora foto di qualità imbarazzante dell’ultimo giorno di Giulia con l’immaginario Turetta. […] Non riescono ad uscire dal guado e cercano di convincere l’opinione pubblica, senza però avere carte da giocare in mano”.
È successo più o meno lo stesso a settembre del 2024, quando Quarto Grado ha trasmesso il primo interrogatorio di Turetta con i pubblici ministeri dopo l’arresto. Pubblicando un collage di quattro immagini, tra cui uno tratto dal programma di Mediaset, Sacchetti ha scritto sul suo canale: “Quarto Grado ci sta mettendo alla prova. Dobbiamo essere noi a individuare chi è il vero Turetta. È come nel gioco del ‘parente misterioso’. Spremetevi le meningi allora e scoprite la vera identità del Turetta misterioso!”.
“Il ventitreenne ha raccontato di aver inviato oltre 225mila messaggi su Whatsapp a Cecchettin in meno di due anni, dal gennaio del 2022 all’11 novembre del 2023, il giorno della morte della ragazza”.
In parallelo al filone satanista e a quello della non esistenza, negli ultimi mesi si è sviluppato anche il filone “memetico”: Turetta si è cioè trasformato in un meme “ironico”, specialmente su TikTok. In diversi video, realizzati con software di intelligenza artificiale generativa, si vede infatti l’avatar dell’omicida ballare sulle note di canzoni originali o alterate digitalmente. In una di queste il ritornello recita “Filippo Turetta è innocente / questo è il coro che grida la gente”. Un’altra, sempre modificata con IA, recita: “uomo di sani principi come Filippo Turetta / se picchi una donna è per benevolenza”. Sulla stessa piattaforma sono comparsi post con le foto di Turetta e alcune scritte in sovraimpressione: in una di queste si legge: “Ho 1 kill [uccisione], ho una Fiat Punto nera, sono scappato in Baviera, la mia ragazza si chiamava Giulia. Chi sono?”.
Spesso e volentieri, nelle didascalie di questi video – alcuni dei quali visti centinaia di migliaia di volte, prima di essere rimossi per violazione delle linee guida della piattaforma – compare l’espressione “Turetta non esiste” o l’hashtag #filippoturettanonesiste. Sfruttando la spinta algoritmica di TikTok, la teoria del complotto è stata così sdoganata presso un pubblico più giovane che non frequenta X o altri social.
Nei commenti qualcuno difende questi contenuti come metanarrativi, come umorismo nero che non deve essere preso troppo sul serio. Ma è la tipica giustificazione del just joking (‘stavo solo scherzando’), ampiamente collaudata dall’alt-right statunitense e da altri movimenti di estrema destra. Secondo la ricercatrice Erin Stoner, la “memizzazione” della violenza misogina “facilita un processo di desensibilizzazione, poiché presenta un contenuto estremo come se fosse qualcosa di ironico o da prendere a cuor leggero, rendendolo così più fruibile”. In più, continua Stoner, “l’aspetto ironico della cultura memetica è volutamente impiegato per mascherare posizioni ideologiche dietro il pretesto della ‘provocazione’, senza doversi assumere la responsabilità”. È il meccanismo del cosiddetto “diniego plausibile”: si promuovono discorsi d’odio in modo “ironico”, lasciando aperta la possibilità di negare di averlo fatto di fronte alle critiche provenienti dall’esterno.
Le teorie del complotto e i meme su Turetta condividono i medesimi obiettivi: inquinare il dibattito pubblico, infangare la memoria della vittima, arrecare ulteriore dolore alla famiglia, promuovere retoriche misogine e negare alla radice l’esistenza della violenza patriarcale e della cultura dello stupro in Italia. Sono inoltre la spia di un problema ben più diffuso: il pervicace rifiuto degli uomini (italiani e non solo) di interrogarsi sulla natura della propria mascolinità e sull’educazione che hanno ricevuto.
Come ha sottolineato Giulia Blasi in una recente puntata della sua newsletter Servizio a domicilio, Filippo Turetta è proprio “uno di questi uomini, uno di questi ragazzi mal educati dagli altri uomini, da quelli più grandi di lui, da un mondo intero che non gli ha fornito altri modelli di maschilità che non fossero quello basato sulla dominanza”. Quello che ha fatto questo “ragazzo normale”, prosegue, “è talmente inaffrontabile da parte degli altri ragazzi normali” che è davvero più “comodo che Filippo Turetta non esista, perché la sua esistenza mette in crisi un modello maschile consolidato”.
La scomparsa del femminicida, dopotutto, implica la scomparsa della vittima. E la scomparsa della vittima, a sua volta, comporta la scomparsa del femminicidio come problema strutturale della società italiana.
Leonardo Bianchi
Leonardo Bianchi è giornalista. È stato news editor di «Vice» . Il suo ultimo libro è Complotti! (minimum fax, 2021).
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