Associazione Closer e Manuele Fior
Tra confessioni, provocazioni e domande al contempo ingenue e maliziose, lo scambio tra le ragazze detenute della Giudecca e l'autore Manuele Fior.
Cosa succede se sono delle donne detenute a “interrogare” qualcuno, più precisamente uno scrittore? È da questa domanda che nasce “Interrogatorio Alla Scrittura”, il ciclo di incontri organizzato nel carcere femminile della Giudecca di Venezia dall’associazione culturale Closer, che dal 2016 crea occasioni di dialogo tra l’interno e l’esterno della casa di reclusione.
G. e D., due delle donne ristrette, hanno incontrato Manuele Fior per fargli qualche domanda sulla sua ultima graphic novel, “Hypericon”. Parte della redazione di Lucy, assieme ad altri lettori e lettrici curiose, hanno assistito all’incontro, che è stato delicato e beffardo assieme, grazie soprattutto al tono allegramente canzonatorio delle ragazze, tono che ritroverete anche nelle righe successive. Difatti il loro scambio è continuato in questo carteggio, che pubblichiamo su Lucy grazie alla collaborazione delle volontarie dell’associazione.
1. Le ragazze
Ciao Manuele,
Ci fa un po’ ridere scrivere questa lettera perché ti abbiamo già conosciuto e ti abbiamo fatto tante domande, ma ci hanno detto che potrebbe essere interessante raccontare del nostro incontro. È strano perché di solito siamo noi che pensiamo di perderci quello che succede fuori e invece sembra che in questo caso siano le persone di fuori ad essersi perse qualcosa.
Vogliamo intanto raccontarti di quando le ragazze di Closer ci hanno portato i tuoi libri; finalmente non ci hanno portato un mattone, ma qualcosa che potevamo capire subito e che poteva interessare anche a quelle che di solito non fanno parte del nostro gruppo perché non sanno leggere, non ne hanno voglia, leggono libri in altre lingue o solo la bibbia.
A. per esempio non aveva mai partecipato ai nostri gruppi di lettura, ma quella volta si è seduta con noi e ha iniziato a sfogliare. Forse perché interessata alle pagine di sesso o magari per la storia di un mondo parallelo, è stata lei a convincere le guardie a concederci di tenere il libro dentro. La regola era: potevi tenerlo per leggerlo durante il giorno, ma poi dovevi riconsegnarlo in guardiola alla chiusura dei blindi, di notte. Forse anche le guardie lo hanno aperto e magari si sono incuriosite anche loro, per le pagine di sesso o per la storia ambientata in un mondo parallelo. Così ci siamo passate il libro – o, come dicono quelle di Closer, il fumetto –, da una stanza all’altra. Lo ha sfogliato anche chi non aveva intenzione di leggerlo o non poteva farlo e molte di noi hanno così visto Venezia per la prima volta!
Bisogna dire – sinceramente – che della storia non è che si capisca molto, fortuna che sai disegnare bene! Tra l’altro non ti abbiamo chiesto, per non metterti in imbarazzo, se per inventarti un racconto così assurdo ti prendi qualcosa (a noi puoi dirlo).
Torniamo serie, dicevamo che ci eravamo prese bene e così le ragazze di Closer vedendoci ci hanno detto che avevi scritto un altro fumetto (appena uscito), che lo stavi presentando in tutta Italia e in Francia e ci hanno chiesto se volevamo fare una presentazione anche qui. Vuoi mettere una presentazione in una libreria a Parigi con una in Giudecca? Closer offre la bellissima opportunità di entrare in galera e farti interrogare da un gruppo di detenute, come rifiutare?
Noi ci domandiamo sempre perché accettate, parliamo al plurale perché non sei stato il primo e sappiamo già che non sarai nemmeno l’ultimo. Vi interessa il nostro punto di vista o volete solo entrare per vedere com’è dentro o chi ci sta dentro?
Per noi, è importante, non solo perché con questa attività leggiamo i libri, anzi. Ma ci mette alla prova con chi potrebbe avere dei pregiudizi nei nostri confronti e ci dà la sensazione – o illusione – di essere come gli altri.
Forse non lo sapevi, le persone che sono venute al tuo incontro hanno scelto di esserci già un mese prima della data del nostro incontro. Cioè decidono proprio di venire qui, prendendosi l’impegno, non possono incontrare qualcuno a una serata ed essere invitate a partecipare all’incontro il giorno dopo. Per entrare ci vogliono i permessi.
“Tra l’altro non ti abbiamo chiesto, per non metterti in imbarazzo, se per inventarti un racconto così assurdo ti prendi qualcosa (a noi puoi dirlo)”.
Secondo te le persone si sono iscritte per sentire la tua presentazione di Hypericon o per vivere un’esperienza diversa da una classica presentazione in libreria?
Allora, anche di Hypericon non si capiva tanto e te lo abbiamo chiaramente detto. Gli egizi, le scoperte archeologiche, le scopate a Berlino, l’erba e questi fiori… tutto questo insieme ci ha creato un po’ di confusione e ci siamo fatte dei film tutti nostri. Prima di tutto dalla copertina, ma davvero pensi che sia scontato che si capisca che la gamba in copertina sia della tipa con la faccia nel retro?
Ci abbiamo pensato, vorremmo che ci spiegassi meglio questa questione del tempo e della concezione che ne avevano gli egizi. A noi sembra davvero un incubo avere il passato sempre davanti agli occhi perché il posto in cui siamo ce lo ricorda sempre. L’unica speranza è pensare che un giorno questo passato – e presente, che speriamo sia presto passato – ci lasci per permetterci di vivere un futuro diverso. Forse per chi non ha niente da nascondere è più semplice vivere nel passato e addirittura rimpiangerlo, come tu che dici che era bello dormire sui bancali di legno nelle case di Berlino.
Comunque averti incontrato è stato bellissimo e ogni volta tornare in stanza ci fa scendere una lacrima. Vedere la gente che ci ringrazia per quello che ha sentito e curiosa delle nostre domande ci fa sentire importanti, ci emoziona e ci lascia un po’ basite! Tu eri bello imbarazzato, si vedeva, eri già stato in un carcere, ma non in uno femminile, era dovuto a questo il tuo disagio? Non è forse più imbarazzante disegnare corpi di donne nude? L’unica cosa che avresti potuto sbagliare con noi è farci capire che le nostre domande erano inopportune e sminuire i nostri punti di vista solo perché siamo detenute.
Noi abbiamo chiesto al pubblico cosa ci facevano lì, come si domanda Teresa, è stato interessante ascoltare le risposte tue e quelle delle persone presenti. Abbiamo apprezzato che nessuno ci abbia chiesto perché noi fossimo lì, in carcere si intende, perché questa domanda ce la facciamo noi ogni giorno.
2. Manuele Fior
Care amiche,
vi ringrazio della vostra lettera, schietta come il nostro incontro in carcere.
Questa è una delle cose che ho capito da subito entrando per la prima volta nella casa circondariale della Giudecca: in prigione non c’è spazio per i fronzoli, si va dritto al punto.
Ne ho avuto conferma in una successiva serie di incontri che ho fatto nella prigione maschile. I detenuti parlano sempre di cose vere, nel senso più puro del termine.
Frasi come “alla fine mi sono fatto mettere in carcere perché sapevo che altrimenti tra sostanze e criminalità mi sarei ammazzato da solo” non hanno bisogno di niente di più che essere pronunciate, per illustrare la complessità di una situazione disperata, a cui paradossalmente il carcere dovrebbe trovare una soluzione.
Sono felice che i miei fumetti non siano stati percepiti come dei “mattoni”, d’altronde per chi come me non è mai stato una cima a scuola, i fumetti erano l’alternativa divertente ai testi scolastici, ed è bello che siano considerati anche da voi come delle occasioni di evasione da qualcosa di pesante e noioso.
Il mio editore ci ripeteva sempre: dovete disegnare le vostre storie per tutti, per il professore, il fruttivendolo, il postino, lo studente… Non avevo mai pensato fino ad ora di scrivere per una detenuta o un detenuto, e le frequenti scene di sesso che avete menzionato nella vostra lettera sono forse fuori luogo, in un contesto in cui l’astinenza sessuale forzata contribuisce ad aumentare le sofferenze dei detenuti. Anche per questa ragione, al carcere maschile abbiamo preferito portare dei fumetti più “castigati”, anche se nei miei libri un po’ di sesso c’è sempre.
Mi chiedete perché abbia accettato l’invito di Closer di incontrarci e discutere attorno un mio libro. Vi sorprenderà, ma era la stessa cosa che mi chiedevo mentre all’entrata della casa circondariale consegnavo il telefono, il portafogli, qualsiasi cosa venisse giudicata inadatta a entrare nel carcere. Che cosa vengo a fare, che cosa riuscirò a dire, che non suoni ipocrita o artificioso, a delle persone che vivono in una condizione così diversa dalla mia? Mi vengo a mettere in mostra proprio qui?
La risposta che mi sono dato è che venivo a conoscere una realtà di cui non sapevo niente, se non quello che avessi potuto leggere nei giornali.
Mi è capitato di portare il disegno anche negli ospedali pediatrici e anche in quel difficile contesto mi sono detto che era importante vedere le cose coi miei occhi, prendere coscienza delle vite che non sono la mia.
E così incontrandovi e stringendovi la mano ho pensato che non sembravate delle detenute, ma delle persone che avrei potuto incrociare – non lo so – sedute vicino a me sul treno, o al bar a bere un aperitivo. In questo senso, più dell’illusione vostra di essere “come gli altri”, ho provato la netta sensazione che in quella prigione ci sarei potuto stare io, se avessi fatto uno sbaglio nella vita o se mi fossi trovato in un contesto sfortunato.
Una di voi mi detto di venire dalla periferia di Udine, una zona che conosco abbastanza bene perché un tempo ci riaccompagnavo a casa una fidanzata. Ad un tratto mi è sembrato di non avere più di fronte una carcerata ma una ex vicina di casa.
C’è un’altra ragione per cui ho accettato il vostro invito, ma questa l’ho capita meglio dopo l’incontro, e le parole della vostra lettera mi sembra lo confermino. Abbiamo passato un bel momento assieme.
Potrebbe sembrare poco, ma ho imparato che il tempo di un detenuto si misura diversamente da chi si muove a piede libero e anche un pomeriggio sereno, un paio d’ore di svago, una qualsiasi occasione di gioia anche minima non si danno per scontate e vanno conservate come cose preziose. Sono sempre un pomeriggio, due ore, o un momento non impiegate a rimuginare sulla propria condizione, a soffrire per la mancanza delle persone amate o a far crescere la collera.
Senza considerare il tempo in cui avete lavorato, discusso, vi siete confrontate sul mio fumetto tra di voi, avete intuito che poteva essere pane per i vostri denti, e anche se non si capisce tutto l’emozione passa lo stesso. Ma di questo dovete ringraziare le ragazze dell’associazione Closer che hanno inventato e portano avanti questo progetto da volontarie e cioè impiegando il proprio tempo ed energia senza prenderci una lira. Anche queste sono cose preziose, non scontate, di cui bisogna fare tesoro.
Infine rispondo alle tante curiosità sui miei libri e il mio modo di lavorare.
No, non prendo droghe per inventarmi le storie, forse suonerà un po’ presuntuoso, ma un artista in un certo senso ne ha meno bisogno di altri: il mondo per come lo vedo io è abbastanza assurdo, a volte meraviglioso e a volte terrificante, mi basta rappresentarlo senza aggiungere di più.
Non mi imbarazza disegnare i corpi di donne nude, ma neanche di uomini, anzi, mi sembra necessario per capire a fondo i personaggi, se esistessero solo in cappotto e con gli stivali non saprei molto di loro.
Mi dispiace che abbiate scambiato le gambe sulla copertina di Hypericon per quelle di un uomo, questo per un disegnatore è proprio un autogol. Non posso far altro che cercare di migliorare! Se le mie storie vi sono sembrate astruse o troppo complicate, provate a rileggerle. Spesso, come una canzone, serve qualche ascolto in più per riconoscere la melodia, imparare le parole, cantarla tra sé e sé nei momenti difficili.
Vi ringrazio di avermi invitato a parlare con voi, vi abbraccio e vi auguro buona fortuna.
Manuele
Si ringraziano l’associazione Closer e Manuele Fior per aver reso possibile questo dialogo.
Associazione Closer
Closer è un’associazione culturale nata a Venezia nel 2016 per promuovere attività culturali in contesti difficili, con un focus sull’ambito carcerario.
Manuele Fior
Manuele Fior è autore e illustratore italiano. Il suo ultimo libro è “Hypericon” (Coconino Press, 2022).
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