I social hanno cambiato pure il pettegolezzo - Lucy sulla cultura
articolo

Ester Viola

I social hanno cambiato pure il pettegolezzo

Da strumento di intrattenimento e diffusione di notizie curiose, il gossip è diventato un modo per essere al corrente di ciò che non mostrano i social, minuzie comprese: un fenomeno ormai privo di leggerezza, che genera ossessioni, verifiche continue e urgenza di dire la propria.

In principio il pettegolezzo era il porto sicuro della conversazione. Spettegolare è un’arte da comari, e la comare s’adegua all’ambiente, quello è il suo talento: salotto alto, salotto medio, portineria. Sì, tra ministri della morale sappiamo come ci si comporta, bisogna stare ai tavoli dove si parla delle idee, di come va il mondo e non delle persone. Solo che a cena, dopo mezz’ora che hai parlato di mondo e di idee, come ti diverti? Serve il pettegolezzo. 

Certo, non è etico, non è piacevole, e se quelli chiacchierati fossimo noi? Succede sempre, è come con i soprannomi, abbiamo tutti un soprannome che ci hanno affibbiato ma è meglio non sapere qual è. Ecco, se toccasse a noi, come ci sentiremmo? Ma è inutile mettersi dalla parte dei buoni e benintenzionati. Il pettegolezzo è ovunque, un venticello, pochissimi ne fanno a meno e non conosco nessuno che tira indietro le orecchie e dice: no grazie, non voglio sentire.

Un’arte che piace a tutti ma riesce a pochi: non è semplice, essere pettegoli di qualità. I pettegolezzi li devi saper raccontare e, soprattutto, li devi conoscere. Devi essere una fonte attendibile e depositaria di bocconi saporiti, le storie devono aver sostanza. Chi ha buoni pettegolezzi governa il mondo, e viene invitato alle cene più divertenti. E sono divertenti, quelle cene, proprio perché c’è lui, il terribile pettegolo, invitato dal mecenate padrone di casa. 

Il pettegolezzo nasce servizio pubblico con varie declinazioni in base al mercato di riferimento e alla qualità dello smercio. Nelle comunità piccole serviva a sorvegliare, nelle corti doveva misurare il potere e nei salotti a sistemare le gerarchie.

Era il social network prima dell’online: ogni parola ben assestata generava appartenenze o esclusioni.  Ogni epoca ha avuto il suo modo: la lettera, il biglietto, il salotto, il telefono, la chat. Non è cambiata la funzione: costruire una verità laterale che corre meglio della verità primaria.

Se si volesse fare una fenomenologia del genus pettegolezzo, potremmo dividerlo in partes tres. La prima specie è il pettegolezzo civile, quello che tiene insieme la comunità, stabilendo ciò che è accettabile e ciò che non lo è. Numero due: il pettegolezzo ornamentale, la conversazione di contorno, che serve a rendere il mondo più velenoso ma più sopportabile. E tre: il pettegolezzo patologico, l’attuale, che non nasce più dal desiderio di capire o intrattenersi con punte locali di malvagità, ma dal bisogno di controllare, possedere, e se ci va, annientare.
È diventato una forma di sorveglianza: da passatempo a gesto di appropriazione. E nessuno si diverte più.

Ma qualcosa è cambiato, con i pettegolezzi. Me ne sono accorta negli ultimi tempi, anzi proprio la settimana scorsa, in occasione della nascita della figlia primogenita del cantante Tony Effe e della influencer imprenditrice Giulia De Lellis, della quale si conosceva il nome perché rivelato dalla mamma e già tatuato in faccia al padre: Priscilla. I due genitori esistono moltissimo su Instagram, che al momento è l’unica televisione che conta, quindi se ne è parlato tanto. Soprattutto del parto, intorno a cui sono ruotati i pettegolezzi dominanti, i più ostinati. 

Cosa era successo? Non c’entra tanto l’interesse morboso per il nascituro, vedere la creatura appena venuta alla luce  (per lo stesso meccanismo che spingeva orde di persone a piantonare l’ospedale dove partoriva Kate Middleton. Là c’era il blasone royal, ma in fondo poco importa il titolo, perché ora la gente sceglie i famosi che preferisce). Il pettegolezzo che destava curiosità era di un’altra razza: la bambina è nata davvero quando è stata annunciata, o era già nata? Gli account-investigatori (Rosica) diffondevano voci certe: Priscilla è già qui! Questo accadeva mentre Giulia De Lellis pubblicava storie su instagram confezionate nei giorni precedenti per depistare, sosteneva il Rosica, insieme ad altri utenti social, tutti a caccia di indizi rivelatori (il padre si è fatto una foto ma è postdatata! La playstation con cui giocava mentre aveva la bambina sul petto portava un orario diverso, confermato che era già nata! Allora è vero!).

La maggior parte degli utenti, persone comuni, gridava allo scandalo. Rispetto per la privacy! Povera mamma e povera figlia! Giulia denunziali! 

Là mi sono accorta del cortocircuito, l’ennesimo, che come sta accadendo troppo spesso non è più sociologico ma psichiatrico. Il perimetro dell’indiscrezione, in quella circostanza, era solo: avrà già partorito o no? Cioè, un non-pettegolezzo. Perché il pettegolezzo vero è tutt’altro, cioè un’eccentrica sorpresa. È una faccenda di segreti, una storia nascosta, una rivelazione scioccante, una deviazione da quel che già si sapeva e che all’improvviso è cambiato…  Invece, in quel caso: Giulia De Lellis ha partorito ieri e non oggi. E l’informazione era percepita così preziosa, così meritevole di confronto di massa, così rilevante da meritare una tutela rinforzata: si inveiva contro Rosica minacciando querele per procura. Querela per quale motivo? Anticipazione millantata della data del taglio cesareo?

I social hanno cambiato pure il pettegolezzo -

Il pettegolezzo è diventato come tutto, qui intorno, una nevrosi orrenda e inutile. Un tempo retaggio degli abili, oggi una merce da bancarella del mercato.

Nel passato il pettegolezzo aveva funzioni precise nell’habitat delle comunità: doveva mettere in movimento informazioni su quel che era accaduto ed era necessario sapere, su quel che si sospettava, su quel che andava corretto o evitato o era fondamentale da rivelare. Era uno strumento sporco e ambiguo con qualche utilità: favoriva il controllo dei comportamenti, lasciava intendere chi poteva essere un problema per la convivenza. Le voci s’accorpavano in un codice non scritto di disciplina sociale e intrinseca. Poi è diventato intrattenimento, gossip, una filiera della stampa già dagli anni ‘80, un ramo di azienda che fruttava benissimo.

Oggi il pettegolezzo si è piegato (come tutto lo scibile) ed è algoritmico. La natura orale e conviviale si è stravolta, c’è un circuito chiuso e automatico, e non importa più che informazioni contiene, il contenuto è solo carburante per la reazione.

È sparito il racconto e conta solo l’aggiornamento. A che serve? Accontenta il vizio più orribile di questi anni, l’urgenza di commentare, di fare branco. È il pettegolezzo senza corpo e senza ironia, quello della sorveglianza. È diventato una paranoia come le altre.

È sicuramente stata la svolta digitale, così il gossip ha acquisito una potenza e una invasività che non si erano mai viste. E l’hanno capito anche i bersagli, che infatti organizzano (provocano) i flussi di pettegolezzo da sfruttare poi per le vendite. Non bisogna difendersi dal pettegolezzo, ma metterlo a bilancio. 

La differenza fra quello che è stato visto, quello che è stato detto a qualcuno, quello che è stato origliato o rielaborato dal “sentito dire” si assottiglia costantemente, si mescolano fatti e invenzioni finché l’unica cosa certa è che si sta parlando. E quando si parla, qualcuno, sicuramente, ci sta guadagnando qualcosa.

Dalla parte del pettegolo, invece, ha smesso di essere solo curiosità: è pressione, controllo. Chi partecipa a quel racconto diventa anche attore, voce di controllo, guardiano non richiesto di reputazioni.

L’incertezza – e questo lo hanno capito, i nuovi famosi – alimenta il racconto, e il racconto genera attenzione: il gossip diventa attesa, spettacolo, moltiplicatore a varie potenze di  interesse, quasi indipendente dal fatto stesso. Consente poi alla massa online di realizzare il primo desiderio: unirsi nella setta, il noi-contro-qualcuno.

“Il pettegolezzo è diventato come tutto, qui intorno, una nevrosi orrenda e inutile. Un tempo retaggio degli abili, oggi una merce da bancarella del mercato”.

È chiaro quindi che Giulia De Lellis, Tony e Priscilla non c’entrano, in tutta questa vicenda. Una data di nascita all’anagrafe o su instagram non è pettegolezzo, non è niente. Stan lì a fare il pretesto ai circoli polarizzati con le loro ossessioni predatorie. Quand’è che lo scontro – per qualsiasi cosa – ha iniziato a interessarci più delle cose per cui ci scontravamo?

Estremismo per qualsiasi scemità, corriamo in quella direzione come se fosse un gran posto per andarci a vivere.

Ester Viola

Ester Viola è avvocata, giornalista di costume, scrittrice. Il suo ultimo libro si intitola Voltare pagina. Dieci libri per sopravvivere all’amore (Einaudi, 2023).

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