Lorenzo Gramatica
05 Settembre 2023
L'ultimo film di Woody Allen, presentato fuori concorso a Venezia, è bruttino. Ma è comunque meglio delle persone che odiano il regista.
Per stroncare i film di Michelangelo Antonioni, Alberto Arbasino ne criticava i gravi errori d’ambiente e di costumi, sottolineando così la scarsa plausibilità di alcune scene, indice di una grossolana conoscenza della realtà.
Ne La Notte, dice Arbasino, “non è credibile che un editore di Milano faccia un cocktail in piena estate quando si muore dal caldo”. La festa è in onore del nuovo romanzo del protagonista. E le cose di cui chiacchierano i letterati a quel cocktail? Per Arbasino sono insensate – lo dice, ovviamente, meglio di così.
Nell’ultimo film di Woody Allen, Coup de Chance, presentato fuori concorso a Venezia tra le solite avvilenti polemiche e battibecchi vari, le opere d’arte appese alle pareti della casa parigina del miliardario Jean e della moglie Fanny sono, a essere generosi, delle brutte foto scaricate gratuitamente da una banca immagini mediocre, poi stampate e incorniciate.
Imperdonabile, anche perché c’è l’aggravante narrativa, visto che Fanny – che di cognome fa Moreau ma che dalla Jeanne che Allen vuole omaggiare non ha il fascino – lavora in una prestigiosa casa d’aste; una che ogni giorno piazza un Basquiat qui e un Picasso là non può avere così poco senso estetico.
Jean, oltre ad avere gusti discutibili in fatto di arredamento, è un tipo misterioso: nessuno sembra conoscere l’origine della sua fortuna. Non è che c’è qualcosa di losco sotto? Così pare, se n’è letto anche sui giornali, dicono alcuni. Solo pettegolezzi da alta società? Fanny non se ne cura più di tanto. Almeno finché non incontra un vecchio compagno di liceo, Alain, scrittore spiantato e seduttore insistente – uno che ha l’aria di usare sempre le stesse quattro o cinque frasi per rimorchiare – che le dice di averla sempre amata.
Un classico: il boy meets girl che mette in discussione una vita che tende alla monotonia se non proprio alla noia.
E allora: lei l’ama o non l’ama? Cederà? E se poi il marito la scopre? Meglio di no: Jean, che non crede nella fortuna e nei colpi di fulmine ma nella sua determinazione, sa essere spietato. Fino a dove può spingersi per ottenere ciò che vuole?
A questo punto il thriller brillante entra nel vivo.
Coup de Chance è una variazione leggera su un tema che è caro ad Allen: il ruolo del caso e della fortuna nella vita.
Coup de Chance è Match Point senza l’ispirazione oppure la tragedia che si fa farsa; tanto il secondo prendeva sul serio i personaggi e si prendeva sul serio nel racconto – eppure non sarò il solo ad aver pensato “Che kitsch la scena della pallina da tennis!” –, tanto qui non si riesce a credere per un istante a quello che si vede e si sente.
Il film è di per sé pure godibile a tratti, ma nella carriera di uno come Allen è un filmetto, con attori poco carismatici e non molto convincenti – di Allen, David Thomson scrive che la direzione degli attori non è mai stata il suo forte e la prima grande interpretazione in un suo film è quella di Mariel Hemingway in Manhattan. Si prova accesa antipatia per tutti i personaggi, democraticamente, e si spera quasi che a tutti le cose vadano male. Del finale non si dice ma qui è stato accolto, a differenza del vicino di posto esultante, con freddezza.
Ci si chiede poi se Woody Allen sia ancora in grado di vivere nel suo tempo: se un uomo è facoltoso ma oscuro è “Come Gatsby”, se un marito è geloso la moglie lo rassicura dicendogli “Ti tradirei solo con Mick Jagger o Alain Delon” e gli scrittori ambientano i loro romanzi nei locali jazz degli anni Venti – e tra l’altro, pure gli esordienti guadagnano abbastanza da potersi permettere una vita tra Londra e Parigi.
Forse Allen però non ha mai abitato davvero il presente ed è cosa anche banale da dire, così come sarebbe stupido aspettarsi da un autore molto vecchio (e per indole già propenso alla nostalgia) di essere d’improvviso quello che non è mai stato. Come se si potesse chiedere a un uomo di ottant’anni di guardare con curiosità al futuro, invece che con rimpianto al passato!
Ma cosa rimpiange Allen? Il mondo a cui è così affezionato non è mai esistito davvero; è riuscito però a crearlo. Lì convivono Bergman, Fellini, i cinema sempre pieni, gli intellettuali che giocano a tennis, etc. etc.
Credo però che ad Allen manchi soprattutto New York, città che, come la scena culturale che ospita, l’ha ostracizzato. Un dramma per uno che in New York non ha avuto solo una casa, ma un personaggio amatissimo e raccontato così bene. E infatti Parigi non giova molto alla sua creatività stavolta.
Non si capiscono gli odiatori di Woody Allen, quelli più severi, che non vorrebbero più che gli producessero e distribuissero i film. Ma come, possibile che non capiscano? Woody Allen ormai realizza film così stanchi e bruttini da offuscare quasi il ricordo di un passato a tratti glorioso e comunque artisticamente sempre molto rispettabile. Woody Allen è stato uno dei più grandi – per fama, successo, simpatia che ha saputo riscuotere nel pubblico – registi americani degli ultimi cinquant’anni e ora è tristemente ridotto a gossip pruriginoso. Del suo cinema non interessa più a nessuno.
Che ottusi, i suoi detrattori: non sanno riconoscere la realizzazione dei propri più turpi desideri di vendetta nemmeno quando li vedono proiettati su uno schermo.
Solo per questo io spero che Allen continui comunque a fare film.
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