Nicola Lagioia
Le polemiche sull’esclusione di Saviano dalla Fiera del libro di Francoforte sono solo l’ultimo capitolo di una gestione ridicola e tragica della cultura da parte di questo governo. Un misto di arroganza, disprezzo e cialtronismo che dà un’immagine pessima del paese in tutto il mondo.
Qualche mese fa, la ministra della cultura tedesca Claudia Roth mi ha invitato a cena a Roma con una delegazione del suo paese, alla Casa di Goethe. La ministra era in visita in Italia per commemorare le Fosse Ardeatine. Con una gentilezza che credevo scomparsa (in Italia i ministri querelano gli scrittori) mi ha chiesto che cosa ne pensavo della spedizione italiana a Francoforte. Le era giunta voce di qualche problemino. Credo sia stata la Buchmesse ad aver lanciato i primi allarmi tra gli apparati tedeschi.
Da una parte, all’estero, si è ormai diffusa la voce dell’odiosa ridicolaggine di un governo, quello italiano, impegnato a fare guerra ai propri intellettuali, trascinandoli in tribunale, chiedendo alla propria fan base (troll e giornalisti) di attaccarli pubblicamente un giorno sì e l’altro pure, citandoli nei comizi o nelle interviste come nemici del popolo. Dall’altra, a pochi mesi dall’inizio della Buchmesse, c’era la sensazione che il governo italiano stesse organizzando la spedizione a Francoforte con un pressapochismo, una sciatteria e soprattutto una ignoranza di cosa sia, a cosa serva e come funzioni la più importante fiera editoriale del mondo mai visti in chi ha l’onore e l’onere di essere il “paese ospite” di quella fiera.
Quanto al rapporto controverso tra governo italiano e scrittori, ho risposto alla ministra tre cose.
Che alcuni scrittori italiani, pur pubblicati in tutto il mondo (il caso di Roberto Saviano) non sarebbero stati invitati per vendetta governativa. Il che sarebbe stato ridicolo perché la Buchmesse non è un festival letterario ma una fiera prevalentemente B2B (per chi non sa di editoria o lavora attualmente in uno staff governativo italiano: business to business, ovvero rivolto agli addetti ai lavori).
Che altri scrittori italiani, ugualmente tradotti all’estero, quindi particolarmente appetibili per la Buchmesse (il caso di Antonio Scurati, di Paolo Giordano) avrebbero declinato l’invito, o sarebbero venuti a Francoforte con i loro editori tedeschi per una comprensibile questione di orgoglio. Perché rispondere all’invito di chi in Italia cerca di distruggere la tua reputazione?
Che il novanta per cento degli scrittori invitati sarebbero stati, comunque, quelli che all’estero il governo italiano avrebbe presentato come i propri gioielli ma che in patria addita invece quotidianamente come comunisti, sinistroidi, parassiti, faziosi (per fazioso l’attuale governo italiano intende filo-costituzionale), e questo non perché ci sia una cospirazione ordita da George Soros per decidere chi sono gli scrittori italiani noti all’estero, ma perché (sbagliando o prendendoci a seconda dei momenti) quel complesso e ingovernabile intreccio di mercato, riconoscimenti e fortuna critica che in tutto il mondo sancisce per le arti un giudizio di valore ha stabilito per ora così.
Se andate a vedere il programma dell’Italia a Francoforte noterete che quasi tutte le scrittrici e tutti gli scrittori italiani sono di sinistra. Ovviamente dire “di sinistra”, “di centro”, “di destra” per qualunque scrittore è un insulto: ragiono per un attimo usando l’abaco degli attuali governanti. Chi ci avrebbero dovuto mettere? Quindi il governo italiano disprezza e attacca tutta una serie di scrittori, di registi, di artisti del proprio stesso paese, ma quando ci sono queste occasioni internazionali ricorre a loro disperatamente perché altrimenti non saprebbe cosa fare.
“Il novanta per cento degli scrittori invitati sarebbero stati, comunque, quelli che all’estero il governo italiano avrebbe presentato come i propri gioielli ma che in patria addita invece quotidianamente come comunisti, sinistroidi, parassiti, faziosi”.
Per quanto riguarda l’organizzazione (parlare di sciatteria significa ignorare l’abisso di comicità dentro cui questo governo può trascinarci) ho spiegato alla ministra come avevo capito che stesse funzionando la macchina organizzativa, e mi è sembrato, durante la mia complicata spiegazione, di aver colto più di un lampo di sorpresa nel suo sguardo.
A noi scrittori invitati a Francoforte è arrivato un invito ciclostilato del Ministero della Cultura in cui si diceva che eravamo invitati alla Buchmesse. Stop. Nessuno che ci abbia spiegato il contesto, il criterio, lo spirito, i dettagli organizzativi del nostro coinvolgimento. Una comunicazione chiara quanto l’invito a un rave clandestino.
A quel punto (da quello che ho capito) il governo italiano ha dato mandato all’AIE di redigere gli inviti.
L’AIE ha chiesto a propria volta agli editori italiani di proporre i nomi degli scrittori e delle scrittrici da invitare.
Ricevuti questi nomi, l’AIE li ha ritrasmessi al governo il quale ha organizzato gli incontri negli spazi disegnati da Stefano Boeri. Se non questo, qualcosa di simile.
Ma come sono stati organizzati, infine, questi incontri? Visto il contesto internazionale, gli scrittori italiani incontreranno scrittori o editori tedeschi, francesi, spagnoli, giapponesi, cinesi, canadesi, indiani, australiani? Incontreranno gli editori stranieri? Gli agenti e i traduttori stranieri? No! Gli scrittori italiani (in un impeto di autarchia e sovranismo letterario) dialogheranno tra di loro! Per cui, ad esempio: Rosella Postorino dialoga con Chiara Valerio, Marco Missiroli con Valeria Parrella, io con Paolo Cognetti, Claudia Durastanti con Helena Janeczek (a cui, dopo averla incontrata in un’occasione pubblica, un funzionario governativo che stava lavorando alla spedizione italiana a Francoforte ha chiesto se fosse una scrittrice straniera) e così via.
Insomma, dovremmo andare a Francoforte per un incontro che avremmo potuto organizzare facilmente al Pigneto. (Più che un pubblico internazionale, temo che a seguire gli incontri sarà solo qualche italiano immigrato a Francoforte e un po’ di funzionari).
A tutto questo si aggiunga che l’Italia (per come è organizzata questa gita fuori porta) non sfrutterà l’enorme occasione industriale e culturale che essere “paese ospite” a Francoforte comporta, cosa che accade se ti doti per tempo di un consistente e agile fondo per le traduzioni (da noi ridotto a inferno burocratico), se allacci alleanze internazionali sul piano editoriale e istituzionale, se cogli l’occasione per lanciare iniziative governative a sostegno della lettura, cioè delle librerie, delle biblioteche, della scuola, delle case editrici. Su questo il governo è fermo dalla sua nascita.
Infine è scoppiato il caso Saviano. Considerate le premesse, era difficile che un pasticcio del genere il governo riuscisse a evitarlo. Non proverò nemmeno a districare la matassa di accuse reciproche e stracci che stanno volando in queste ore (con il commissario Mauro Mazza che rivendica – con motivazioni poco degne del suo ruolo – l’esclusione di Saviano; l’AIE che imputa l’assenza di Saviano alla mancanza di una proposta editoriale; proposta editoriale che invece arriva l’istante dopo), perché a questo punto il disastro e la pessima figura internazionale sono conclamati, tra scrittori che comprensibilmente si tirano indietro e scrittori che altrettanto comprensibilmente ritengono che andare a dimostrare che l’Italia è qualcosa di meglio dei pessimi governanti che si ritrova sia più utile.
Io, di mio, offrirei volentieri il mio spazio a Francoforte a Roberto Saviano come uno speaker’s corner. Il problema è che il pasticcio è talmente visibile, e lo scollamento così assurdo tra invitanti e invitati, che gli scrittori si sentono ormai liberi di andare a Francoforte per sputare nel piatto governativo, o disertare Francoforte anche all’ultimo secondo, accampando la scusa sublime con cui ha disdetto Paolo Giordano: “c’ho judo”.
Nicola Lagioia
Nicola Lagioia è scrittore, sceneggiatore, conduttore radiofonico e direttore editoriale di Lucy. Il suo ultimo libro è La città dei vivi (Einaudi, 2020).
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