Il sogno comincia adesso. Un incontro con Mauro Repetto - Lucy
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Matteo Grilli

Il sogno comincia adesso. Un incontro con Mauro Repetto

30 Novembre 2023

La sfiga, la fuga, la provincia, una modella fantasma: un incontro senza nostalgia con Mauro Repetto, co-fondatore degli 883 e figura mitologica del pop italiano.

Non sono solo i miei sogni. La mia convinzione è che tutti questi sogni siano anche i vostri. E la sola distinzione tra me e voi è che io li posso esprimere chiaramente.

Werner Herzog , Burden of dreams (1982)

Mauro Repetto, fondatore degli 883 insieme a Max Pezzali, arriva nella redazione di Lucy scacciando ogni traccia di malinconia: una stretta di mano e un sorriso stupendo.

L’idea di intervistarlo mi aveva galvanizzato nei giorni precedenti, ma non abbastanza da allontanare una strana sofferenza che mi portavo addosso da mesi. Vederlo mi ha fatto sentire, davvero, “bene”.

Non me lo sarei mai aspettato. Repetto sembrava governato da quell’entusiasmo fanciullesco che sta diventando anche oggetto di svariati meme per evidenziare l’esigenza del presente di ritrovare, anche solo per un secondo, un sentimento di meraviglia che ci riporti al desiderio, verso le lande fantasmatiche del sogno.

Sono sicuro che se contassi quante volte appare il termine “sogno” nella biografia di Mauro Repetto, Non ho ucciso l’uomo ragno (uscita di recente per Mondadori), sicuramente sarebbe un numero compreso tra 20 e 50. Non lo so davvero, sto sparando a caso, ma leggendola si sente chiaramente che il motore spirituale dell’artista sono gli Oniri, i piccoli sogni che nella mitologia greca sono figli diretti di Nyx, divinità primordiale diretta discendente di Caos.

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Quella di Mauro Repetto è una testa piena di sogni ma se li porta appresso, anche addosso: fisico scolpito, lievemente abbronzato, look sportivo con quella coolness quasi artefatta che lo fa assomigliare a un surfista californiano. Incastonato in un mondo da favola come l’universo delle Barbie di Greta Gerwig, non sfigurerebbe come uno dei primi modelli di Ken.

Parto già con una curiosità immonda per la sua storia, infatti non mi trattengo a dirgli che lo seguo da tempo, quasi da “fan” nonostante degli 883 non sono mai stato uno di quei fanatici bruciatissimi che conoscono a memoria i testi o impazziscono appena passa un pezzo loro alla radio. Anzi, io sono fan proprio di quei tre album (Hanno ucciso l’Uomo Ragno, Nord Sud Ovest Est, La donna Il Sogno e Il Grande Incubo) che vedono lui come co-autore, anche se del terzo solo di parte dei brani (a mio parere, i migliori). “Grazie, grazie davvero”, mi risponde Repetto con enfasi e un tenero imbarazzo, la voce profonda e ben impostata, un accento strano che commistiona una musicalità francese e (credo) il pavese delle sue origini.

Dopo, nonostante la mia fissa adolescenziale per Grazie mille e SOPRATTUTTO per il remix de La regina del celebrità degli Eiffel 65, ho sempre avvertito l’insinuarsi di una specie di attitudine consolatoria che sostituiva lo “skazzo” di pezzi come “Non me la menare”, “S’inkazza” (la “k” messa lì perché fa figo) o “Con un deca”; negli anni ho capito che da La dura legge del gol in poi era rimasto solo Max Pezzali, un talento enorme, ma la parte “punk” sembrava essere sparita da qualche parte.

“Quella di Mauro Repetto è una testa piena di sogni ma se li porta appresso, anche addosso: fisico scolpito, lievemente abbronzato, look sportivo con quella coolness quasi artefatta che lo fa assomigliare a un surfista californiano”.

E qua le cose iniziano a incasinarsi, perché quella parte era proprio Mauro Repetto che non era un punk, anzi, era il fenotipo del paninaro perfetto: disimpegnato, alla moda, diciamo quasi “superficiale” nei suoi desideri. “In realtà ero un normalone, mi piaceva vestirmi bene, mentre Max era proprio l’opposto”. Mi racconta di come Pezzali fosse in realtà la controcultura, l’appassionato “fanzinaro” che si comprava i vinili d’importazione, il “dark punk” come lo definisce – e lo dice sempre, ogni volta, con un affetto e un’ammirazione incredibili verso l’ex socio.

In effetti, il buon Max conserva gelosamente i suoi vinili punk hardcore, è un fan di Crass, GHB e dei Discharge, il suo primo concerto sono stati i Not Moving, clamorosa band post punk italiana; Mauro Repetto adora Donna Summer, i Kiss, Whitney Houston, Bon Jovi, Bruce Springsteen. Segue i padri dell’hip hop come i Run DMC e gli Afrika Bambaataa, si fa catturare dai campionatori che ti permettono di creare musica, assemblando suoni, anche se non sai suonare davvero uno strumento.  “Vedere pubblicati insieme dalla stessa casa discografica i Kiss e Donna Summer mi ha folgorato, era assurdo, Casablanca Records li classificava come disco rock e ho pensato subito che era il genere giusto per me.” 

In un certo senso, l’amicizia tra Mauro e Max è un rapporto osmotico in cui vengono acuiti gli opposti: Repetto sviluppa uno spirito “punk”, mentre Pezzali inizia a interessarsi a musica meno conservativa, più trasversale. Come racconta nel libro, è proprio Mauro che nota in Max una tensione quasi “folle” verso il sogno, la necessità di piegare una realtà scarna e pallosissima. Compagni di scuola a Pavia durante una delle solite, interminabili, assemblee d’istituto, il giovane Pezzali lo guarda e dice: “ma ti immagini se adesso apparisse uno stambecco e iniziasse a saltellare in giro?”.

Ora, se fossi stato io, avrei pensato: ma questo sta fuorissimo, è pazzo. Sicuramente ci avrei fatto amicizia, ma non avrei mai avuto la lungimiranza geniale di Repetto nel vedere in lui il compagno di quella missione artistica che sarebbero poi diventati gli 883, ovvero la storia della musica italiana. “In Max vedevo un sogno simile al mio, non saprei dirti come, ma lo intuivo. Una cosa magica che rompeva la monotonia della provincia, una persona con cui avrei potuto condividere tutto.”

Parlandoci mi accorgo che solo lui poteva capirlo da una battuta bislacca, perché Mauro Repetto al contrario del 99% della popolazione mondiale (io incluso) ai sogni ci crede davvero. Quando nota in Max Pezzali un possibile talento cantautorale, lo vede già proiettato nel futuro. Fiuta l’importanza vitale del melting pot culturale tra il “dark punk” e il paninaro, e di come potevano rimpallarsi (come un duo hip hop) idee, parole, momenti di amicizia purissima nella provincia, luogo mitologico.

“Esistevano solo Pavia e New York nella nostra vita, forse Hollywood, ma Pavia era il nostro microcosmo” mi racconta Repetto. E tutta la prima produzione degli 883 è geniale proprio perché restituisce carne e verbo a quello straziante, alienante, pallosissimo universo che è la provincia lombarda. Un luogo che è uno stato mentale “non solo italiano”, mi confessa, “ma che esiste anche in America, tipo nel New Jersey, solo che prima non lo sapevamo e pensavamo di essere solo noi”. 

“In un certo senso, l’amicizia tra Mauro e Max è un rapporto osmotico in cui vengono acuiti gli opposti: Repetto sviluppa uno spirito “punk”, mentre Pezzali inizia a interessarsi a musica meno conservativa, più trasversale”

Quando qualcuno accusa gli 883 di essere provinciali, beh, sì. Ed è stata questa la loro forza: erano il sogno americano di un ragazzo di Centobuchi (AP), quella sfiga millenaria che senti appena vai a una serata ad Alba Adriatica (TE), insomma erano forse gli unici a rappresentare una rottura vera con il cantautorato “altissimo” per puntare verso il cuore e le viscere di chi si comprava l’Uomo Ragno edito Marvel Italia, non beccava una tipa dal 1903, però cazzo non smetterò di sognare e di provarci, se ho i miei amici accanto mentre tutto attorno invecchia e crolla. 

Durante l’intervista ne approfitto per un momento di curiosità assoluta da nerdone: se nè lui nè Max suonavano, come funzionavano le “demo” degli 883? Erano tipo l’ossatura dei pezzi come le demo di Martin Gore dei Depeche Mode? Come riuscivano a comporre?

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Il suo entusiasmo bambino mi risponde per lui, raccontandomi di come fosse magico creare dei piccoli “frankenstein” con il campionatore rubando batterie, chitarre e altri strumenti dai gruppi che ascoltavano per rapparci sopra. “Prendevamo qualcosa da tutto! Se sentivo un bel riff di Slash lo usavo come base, o anche una batteria figa in un pezzo disco, era un approccio totalmente libero nei confronti alla musica. Una volta avuta la base, io e Max iniziavamo a giocare a ‘ping pong’ con le parole.”

Queste demo venivano poi consegnate a Claudio Cecchetto, produttore discografico e talent scout talentuosissimo, che le faceva riarrangiare dal polistrumentista Marco Guarnerio – ed ecco la magia di certi pezzi, “Come mai”, “Sei un mito”, “Rotta x casa di Dio”.

Sì, ho usato il termine “rappare”, perché Mauro Repetto rappava e Max Pezzali rispondeva alle sue rime con la sua poetica, mentre lentamente cresceva in lui una melodia nella voce che non sapeva di possedere. Quella specie di spoken word che poi, nel tempo, è divenuta una melodia arena rock riconoscibilissima, il frutto spontaneo di lunghe e appassionate sessioni tra due amici.

Mauro Repetto ci tiene a insistere su questo: il motore degli 883 è stato l’amicizia tra lui e Max, punto. E quando questa cosa, questo successo incredibile, stava iniziando a logorare il loro rapporto, rendendo tutto il sogno un grossissimo incubo, ha preso ed è scappato. “Un giorno ho detto a Max ‘vado a Miami, non so se torno’, lui non riusciva a crederci.” Con una frase ha strangolato la gallina dai dischi d’oro. E con questa frase, per me si è consegnato alla storia. 

Glielo dico e lui si dimostra grato, perché per me il coraggio di fare una curva a U contromano, in un momento simile, è equiparabile a donare carburante a tutto il resto dell’esistenza. Se vivi senza coraggio e senza sogni, non vivi. “Quando stavamo registrando ‘Gli Anni’ e ho sentito la strofa di Max ‘steeeessa storia, steeeesso posto steeesso baaar’ (la canta imitandolo quasi alla perfezione n.d.a.) io ho subito pensato: no! voglio un’altro posto, un’altro bar, un’altra storia!”

Per me Repetto è come Werner Herzog e la sua “conquista dell’inutile” con un film-suicida come Fitzcarraldo, Lou Reed geniale e dadaista che si unisce ai Metallica per congedarsi dall’esistenza con Lulu – per lui, però, “la conquista dell’inutile” è un film che non riuscirà mai a girare in America, mentre il suo Lulu è l’epocale Zucchero Filato Nero.

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Suo unico album solista, partito come un kolossal e poi diventato un concept album sulla solitudine e un desiderio insaziabile per Brandy, la modella-fantasma che incarna il sogno escapista di Mauro: mai incontrata, sempre ambita, e una volta vista lui era già passato ad altro. “L’ho registrato con i musicisti più fighi, era un progetto colossale! Ancora oggi suona benissimo, anche se ho dovuto scendere a compromessi perché oramai il sogno americano stava finendo.”

Pubblicato nel 1995, mi racconta di una produzione stellare, mega sperimentale –  l’anno prima uscì Mellow Gold di Beck e lui consegna al mercato italiano una sorta di equivalente più folk, quasi hard rock in certi passaggi (da fan di Slash dei Guns ‘n’ Roses), un frullato di chitarre, beat hip hop e lo-fi assolutamente inedito per il nostro paese. Come tutte le opere citate sopra, è un grosso fiasco ma diventa un oggetto di culto.

“Per me il coraggio di fare una curva a U contromano, in un momento simile, è equiparabile a donare carburante a tutto il resto dell’esistenza. Se vivi senza coraggio e senza sogni, non vivi”.

Mauro sembra orgoglioso di parlarne, ma dietro c’è troppo dolore – come mi racconta, il sogno americano stava scemando tra momenti abissali che sembrano usciti da un film di Brian De Palma (produttori discografici in odore di malavita, ragazze in fuga e altro)  e molti soldi spesi per tenere “in vita il sogno al costo della sua, di vita”. 

“Il sogno cambia, ma non finisce mai” mi dice, e avverto la verità delle sue parole. Gli dico che è anche una questione di gigantesco coraggio: lo stesso che l’ha fatto iniziare danzare mentre Max Pezzali cantava perché non riusciva più a capire il suo ruolo all’interno del duo. 

When you dance, dance like there’s no one watching you e Repetto lo faceva. Nonostante ora lui lo riconosca come un fatto “imbarazzante” per me è sempre stato un atto straordinario. Al posto suo sarei deflagrato sul palco per l’imbarazzo. Sono questi movimenti che creano i sogni, e cambiano il corso degli eventi.

Danzando nel mondo del sogno, Repetto approda a Disneyland Paris e lì diventa il Mito: “lavora vestito come Pippo, è lui che fa Pluto, no guarda che è vestito da Topolino” da anni, soprattutto su internet, Mauro diventa una leggenda totale dell’assurdo con persone che cercano di scovarlo perché hanno saputo (dalla soffiata di un cugino, da un post su un forum) che Mauro Repetto non è scomparso e ora è un personaggio di gommapiuma della Disney. 

In realtà, è rimasto sempre fedele al suo sogno americano e impersonava il simbolo per eccellenza di quel paese: il guardiano vestito da cowboy (chissà, mi chiedo, se il pezzo di Pezzali “I cowboy non mollano” è in realtà dedicato a lui). Prima apriva e chiudeva le attrazioni, poi ha fatto carriera diventando manager.

Mentre mi raccontava questa parte della sua vita un’immagine mi è esplosa nella mente ma, durante l’intervista, non avevo tempo per dirglielo. Lo faccio ora: volevo dirti, Mauro, di come il tuo sogno mi ricordasse un pezzo del comico Bill Hicks nel suo spettacolo Revelations, mentre parlava del suo, di sogno:

“Mi è stato detto che da grande avrei potuto essere tutto ciò che volevo: un pompiere, un poliziotto, un medico – persino il presidente, a quanto pare. E per la prima volta nella storia dell’umanità, qualcosa di nuovo che si chiamava astronauta. Ma come tanti ragazzi cresciuti con una dieta costante di western, ho sempre desiderato essere un cowboy: quella voce solitaria nella natura selvaggia, che combatte la corruzione e il male ovunque lo trovi e difende la libertà, la verità e la giustizia. E nel profondo del mio cuore conservo ancora i resti di quel sogno ovunque vada, nella mia corsa infinita verso il sole che tramonta.”

“Per me Repetto è come Werner Herzog e la sua ‘conquista dell’inutile’ con un film-suicida come Fitzcarraldo, Lou Reed geniale e dadaista che si unisce ai Metallica per congedarsi dall’esistenza con ‘Lulu'”.

E di questo sogno di avventura e libertà è costellata tutta la straordinaria vita di Mauro Repetto. Mentre lo ascoltavo parlare, pensavo al concetto di “sfiga”, una etichetta che troppo spesso è stata appiccicata alla sua figura: lui che era stato bollato come “Il biondino della band”, il ballerino sullo sfondo. Eppure proprio lui:

1. Ha fondato una delle band più famose in Italia e scritto delle canzoni immortali.

2. Ha vissuto il sogno americano senza freni.

3. È crollato e risorto dalle macerie.

Come diceva una delle prime canzoni degli 883, 6/1 sfigato: i veri sfigati sono altri, sono i tryharder, non le persone vere. Per me, rubando un termine dalla scena hardcore, Mauro Repetto è un “real”, un esempio di tenacia, meraviglia, speranza.

Prima di andarsene mi ha guardato dicendomi: “Matteo, ricordati: il sogno comincia adesso”.

Quella frase è ora appesa su un post-it negli uffici di Lucy. Ogni tanto la guardo e mi sento come quando ero un adolescente in provincia sognando un mondo fuori più bello, più grande e più mio.

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Tutte le foto sono di Giada Arena.

Matteo Grilli

Matteo Grilli è social media manager di Lucy e scrittore. Il suo ultimo romanzo è Muori Romantica (effequ, 2023).

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