Nota per i suoi lavori erotici e surreali, l’illustratrice Marion Fayolle svela nel suo esordio letterario quanto la sua vena favolistica sia di natura autobiografica.
La somiglianza
I bambini, i neonati, li chiamano “creature”. Perché di fatto è quello che sono, piccoli esseri creati dal nulla. Un po’ dalla madre, un po’ dal padre, un po’ dai nonni, un po’ dai bisnonni, un po’ da coloro che sono morti ormai da tempo. Che da quel nulla hanno creato un piccolo tutto. Tutto ciò che gli hanno trasmesso, nascosto o inventato. Tutto. Fasci di storie, di silenzi, di emozioni, di geni, di cellule. Collage di labbra, di orecchie, di sguardi, di ciglia, di lineamenti e di odori. Contrasti, segreti, riconciliazioni.
Non è sempre facile essere un piccolo tutto, avere in sé così tante storie, così tante persone, riuscire a farle tacere per poter inventare un nuovo piccolo pezzo di sé.
Le madri
La madre della ragazzina mangia seduta di fronte alla nonnina. Un incontro ravvicinato coi propri difetti, con tutto ciò che non vuole diventare. Ti ho detto che non sono affari tuoi, ti intrometti sempre. Sua figlia dice lo stesso a lei. La madre ce l’ha con la nonnina, non sopporta di somigliarle, vorrebbe essere diversa. Lì a capotavola, davanti al piatto di minestra, non c’è più sua madre, ma le sue tare, tutto ciò contro cui combatte. La nonnina la serve di nuovo, lei non ne voleva più, ma tanto fa sempre così. Stop. La nonnina non la ascolta, le riempie la scodella, la fa strabordare. Ti ho detto che ne ho abbastanza. E in effetti ne ha abbastanza delle somiglianze con la nonnina, ha già avuto la sua porzione, ora basta, quello che avanza può pure darlo al cane che aspetta speranzoso davanti alla porta. La madre potrebbe buttare all’aria scodella e tavolo, andarsene; e invece no, rimane lì a rodersi il fegato davanti ai propri difetti, a guardarsi, a vedere cosa non va, a pretendere uno sforzo. Come se cambiare sua madre potesse cambiare anche lei, come se funzionasse così. La madre della ragazzina sospira, si esaspera, alza gli occhi al cielo, non la sopporta. Ma poi torna sempre, si prende cura della sua brutta immagine, le dà il braccio, le infila il cappotto, la accompagna dalla parrucchiera. Hai visto come mi dona questo nuovo taglio? È quasi come il tuo. Ecco che la nonnina la imita, che si fa i capelli come lei, che ricalca i tratti giovanili della figlia e si aggrappa al suo braccio come a un ricordo di se stessa. Povera controfigura, quanto zoppica, quant’è fragile, e quant’è sorda. Quando la madre della ragazzina si innervosisce e rivolge alla nonnina parole di cui pentirsi, riesce a sentirsi soltanto lei. E, quando la voce le torna indietro costringendola a riascoltarsi, si dispiace di sentirsi parlare così.
Si ricorda di quando la nonnina accudiva la propria madre, le faceva da mangiare, la aiutava ad appuntare le forcine nella crocchia, probabilmente non la sopportava ma non lo diceva. O forse l’ha rimosso.
Di donne generose e amorevoli come la nonnina non ne conosce altre. A quanto pare lei le somiglia. Quant’è commovente la nonnina di spalle, mentre si affaccenda intorno ai fornelli, fingendo di non avere capito che la figlia vorrebbe andarsene.
*
Fuori i ragazzini si danno appuntamento, partono alla volta dei boschi, si insinuano tra gli alberi, cercano un angolo per le loro capanne. Qui è perfetto. Sei sicuro? C’è già un lucernario creato dai rami. Hanno recuperato alcuni bancali, fungeranno da muri. Le manine si danno da fare, chi sorregge, chi pianta chiodi, chi annoda. E per il tetto potremmo intrecciare la ginestra, conosco un posto dove ce n’è un sacco. La ragazzina disegna su un taccuino. È un vulcano di idee, la nonnina lo dice sempre. Potremmo costruire una stanzetta per il cane e una per i gatti. La carriola cigola, sono quelli dell’altro gruppo che trasportano rubinetti senz’acqua, pentole senza fondo, barattoli senza conserva. Tutte cose che in passato venivano buttate sopra i cumuli di pietre, dietro la fattoria, per nutrire i ghiaioni, come se la montagna potesse banchettare con quei rifiuti. Le manine pescano in quel torrente roccioso, frugano tra i grumi della terra, riportano alla luce la ferraglia, scoprono ricordi mezzi nascosti nelle faglie. Fanno rigurgitare il suolo, fanno sputare le pietre. Una scarpa rimasta orfana della gemella, sedili di trattori, molte padelle, casseruole, oggetti sopravvissuti al passato. I genitori gli hanno proibito di andare lì. Quello è il posto in cui lo zio scarica le carogne che poi si gonfiano e aspettano, anche loro, di essere divorate dalla montagna. O piuttosto dalle volpi, o dai rapaci, non si sa bene di preciso. È pericoloso, bambini, rischiate che vi mordano, si nasconde di tutto nelle tane, ci vive di tutto nelle grotte, è pieno di vipere, vi slogherete una caviglia. Ma è troppo forte la tentazione di andare a interrogare le pietre, di bracconare nel passato, e riempirci intere carriole.
I bambini apparecchiano, e nelle pentole arrugginite cucinano zuppe di muschio, sassolini e pezzi di foresta. Che buon profumino. È ora di andare a chiamare gli invitati. La zia, lo zio, la nonnina, il nonnino si siedono su dei ceppi, il cane prova la sua stanza, sembra contento. I famigliari, invece, non lo sono affatto quando scoprono da dove provengono tutti quei recipienti, quei rubinetti. Si arrabbiano molto, gli fanno promettere di non azzardarsi mai più.
Poi gli invitati bevono la zuppa vuotandola per terra, mmmh, è squisita! Si comportano come in una qualsiasi domenica, bisticciano, cantano, bevono il caffè. Ora però devono rientrare per dare da mangiare alle bestie. I bambini li salutano da dietro i muri di bancali, come se abitassero lì, come se quella sera restassero a dormire nel bosco, come se fossero diventati abbastanza grandi da staccarsi da loro. E in effetti grandi lo sono per davvero nella loro piccola casetta, costretti ad accovacciarsi per non sfondare il tetto.
Dai, si sta facendo buio, tutti a casa. Non vorrete mica farvi sbranare dai cinghiali.
*
I genitori temono che un giorno i figli possano non tornare, che nessuno di loro rilevi la fattoria, che se ne vadano tutti, che scendano a vivere a valle, che litighino, che divorzino, che la famiglia si sgretoli come si sgretola la roccia. Il paesaggio si rompe, si lacera, i blocchi di basalto smettono di tenersi per mano, si abbandonano lungo i pendii, rotolano giù da soli. Che tristezza queste montagne che guardano verso la fattoria piangendo sassi.
La madre della ragazzina è vigile, tiene sotto controllo le faglie, evita le scosse. Dice che se la montagna si sgretola è perché non ha messo a freno la lingua, che se la crosta si smembra è perché non ha chiuso la bocca. E così, quando i toni si scaldano e le cose cominciano a venire a galla, lei impone il silenzio. La ragazzina cerca di tenersi tutto dentro, di fare quello che le chiedono, ma poi senza volerlo la verità salta fuori, erompe; la sua, di montagna, si sfalda proprio nel tentativo di tacere. Lei e la madre hanno un rapporto complicato, i loro sforzi si contrappongono. Una congela, l’altra scongela. È così che si sgretolano le famiglie.
*
Rimanete qui attorno, giocate vicino alla fattoria, dove possiamo vedervi. I ragazzini si infilano tra le carcasse delle macchine, sotto gli abeti, a due passi dalla porta d’ingresso. Il più grande monta dal lato del guidatore, i piccoli siedono dietro. Fingono di partire per le vacanze. Non hanno mai visto il mare. In estate, tra la fienagione e le bestie, non si può proprio andare sulla costa, neanche per qualche giorno. A far cosa, poi? I ragazzini ricevono cartoline dai compagni. Gioco con le onde e il sole splende. Pronti, partenza, via, direzione spiaggia. La nonnina li guarda da lontano, di tanto in tanto li controlla. Non avete freddo? Passano il pomeriggio nel furgoncino, e non importa se non ha le ruote, se dentro è infestato da epilobi e felci, se i sedili sono ricoperti di muschio. Non importa. Non importa se non si muove. I ragazzini si danno il cambio alla guida e nonostante i genitori si sbraccino per avvertirli che è pronto in tavola, loro non li sentono più, ormai sono troppo lontani.
Alla loro età, anche la zia e la madre della ragazzina si inventavano dei viaggi. E ci credevano pure più di loro: la carrozzeria era meno arrugginita, la natura non aveva ancora invaso l’abitacolo. Dentro quel furgoncino c’è tutta la loro adolescenza. Ci portavano i filarini, li baciavano sul sedile posteriore, fumavano le prime sigarette immaginandosi di sfrecciare su un’autostrada. Ma né loro né il furgone hanno mai visto il Mediterraneo. E sì che non è poi così lontano. Quando andranno in pensione, magari prenoteranno una gita organizzata.
Chissà se tra qualche anno il furgoncino ci sarà ancora. Chissà se i figli dei figli riusciranno a guidarlo fino alle grandi spiagge della Camargue. Guardate come si confonde col paesaggio, presto non si distinguerà neanche più il davanti dal didietro, non si capirà più se sta partendo o tornando. Il bosco si spinge al suo interno spingendo via i ricordi, le erbacce si abbarbicano ai sedili e prendono il posto dei bei ragazzi. Le radici uniscono le forze per impedire, sia al furgoncino sia ai ragazzini al suo interno, di partire.
*
In cucina la madre della ragazzina parla di quello che deve fare, fa liste, le ripete a voce alta, l’ultima parola riprende la prima, e via così a ruota, all’infinito, fino al tormento. Va dalla nonnina, confrontano le liste, si guardano, si confortano. Rassettare, lavare, stirare, cucinare, sempre cucinare, tre volte al giorno, novantatré volte al mese. Hanno le stesse liste, le stesse incursioni. Cosa pensate, che i mestieri si facciano da sé? Per non parlare della ragazzina, che avrebbe l’età per aiutarle e non le aiuta. E sì che gliel’hanno mostrato come si pulisce un bagno, come si prepara una cena. Potresti almeno apparecchiare la tavola, possibile che bisogna dirti tutto? Come farai da sposata? Già lo compatiscono, il poveretto che se la piglierà. La ragazzina non vede quando è sporco, non ha la testa per queste cose. Anche la sua fa liste, ma di parole inutili, di sogni, di idee che annota su quadernetti. Non sarà mai in grado di governare una casa, altro motivo di preoccupazione. Perché, sul retro della lista delle cose da fare, c’è quella delle preoccupazioni. Una lista ancora più lunga, che si attorciglia, che si trasforma in un lazo, in un tentacolo, e nell’intento di abbracciare i figli in realtà li strangola. Come un boa uscito dal loro grembo per incatenarli lì. Alla sera la ragazzina apre le finestre, fa sbadigliare la casa, fa scappare i serpenti.
Dietro la fattoria ce ne sono tantissime, di vipere e bisce, hanno trovato le spoglie. Il nonnino ha insegnato loro a sbattere forte i piedi per allontanarle. Quando giocano nell’erba alta, fanno vibrare il terreno, battono, saltano. Vi morderanno, rimanete dove l’erba è bassa. Ma loro non hanno nessunissima paura. Ne hanno viste un sacco, addormentate al sole, sulle rocce, le hanno osservate da vicino. Non sapevano che potessero restare ferme immobili senza muoversi. Le preoccupazioni delle madri strisciano, crescono, non vanno mai in letargo, li seguono fino a scuola, li trattengono per un braccio.
Quando il nonnino incontra una vipera, la uccide, senza pensarci su.
Guardate, bambini, possiamo darla alle galline. Allora la ragazzina lancia la lunga coda nel pollaio, guarda i becchi dividersela, contendersela, inghiottire d’un colpo tutte le angosce.
Photo by Francesca Mantovani © Editions Gallimard.
L’immagine in copertina appartiene © Marion Fayolle. Ringraziamo l’autrice e NN Editore per la gentile concessione.
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