La Chiesa è a un passo dallo scisma? - Lucy
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Roberto Paura

La Chiesa è a un passo dallo scisma?

27 Febbraio 2024

Tra lotte di potere, processi ai cardinali, accuse di eresia, complotti geopolitici, la Chiesa di Roma somiglia sempre di più a una serie televisiva. L’ultima polemica è esplosa dopo la pubblicazione di un documento papale che sembra aprire alla benedizione delle coppie omosessuali. La tensione nell’ambiente ecclesiastico è molto alta: quale visione del cristianesimo prevarrà nei prossimi anni?

C’è fermento nella Chiesa cattolica. Negli ultimi mesi, una serie inattesa di accelerazioni nell’agenda di riforme di papa Francesco ha smentito le aspettative di un pontificato ormai alle battute finali, e reso talmente drammatico il confronto tra conservatori e riformisti che la parola “scisma” è tornata a farsi sentire nelle stanze curiali. Al centro dello scontro c’è un documento, preparato dal Dicastero per la Dottrina della Fede e firmato dal papa, intitolato Fiducia supplicans, che – a inizio anno – ha conquistato le prime pagine dei giornali per la sua apertura alle benedizioni verso coppie “irregolari”, incluse quelle omosessuali. Ma Fiducia supplicans non è che la punta dell’iceberg. Processi ai cardinali, accuse di eresia, complotti geopolitici, guerre a colpi di documenti curiali e la prossima tappa finale del Sinodo universale – che potrebbe aprire alle donne diacono – rischiano di mandare in pezzi la fragile barca di Pietro.

Lo scontro intorno all’apertura pastorale di Francesco alle coppie omosessuali vede il fronte tradizionalista contrapporre la lettera del Catechismo della Chiesa cattolica, che ancora ribadisce che le persone omosessuali sono soggette a una “inclinazione oggettivamente disordinata”, in palese contrasto con il sesto comandamento, e citando il testo della Genesi e delle lettere paoline definisce le relazioni omosessuali “gravi depravazioni”. Scrive invece Francesco nella Fiducia supplicans pubblicata lo scorso 18 dicembre: “La fiducia supplicante del Popolo fedele di Dio riceve il dono della benedizione che sgorga dal cuore di Cristo attraverso la sua Chiesa”. Per la dottrina cattolica, l’omosessualità resta un peccato; ma la “fiducia supplicante” del penitente, che sgorga da una fede sincera, genera in risposta “il dono della benedizione”, che proviene “dal cuore di Cristo” e si trasmette al penitente “attraverso la sua Chiesa”. Un richiamo al passo evangelico della penitente che lava i piedi di Gesù, che davanti alle reazioni scandalizzate dei presenti, consapevoli dei gravi peccati della donna, replica: “La tua fede ti ha salvata, va’ in pace”. 

Perché allora questo documento non è passato senza contraccolpi, ma ha anzi reso più concrete le minacce sempre più ventilate negli ambienti conservatori di uno scisma? Fiducia supplicans può essere considerato un punto di svolta nel pontificato di Francesco, preceduto e seguito da altre mosse inattese. Tra queste, l’invito del papa a diverse teologhe femministe e persino a una vescova anglicana, Jo Wells, a tenere relazioni davanti al ristrettissimo C9, il gruppo dei nove cardinali che assiste Francesco nel governo della Chiesa. Scelta che sembra preludere a svolte radicali nella prossima sessione del sinodo universale, in programma a ottobre, che metterà al centro l’ipotesi di far accedere le donne al diaconato, il grado più alto del ministero sacro prima di quello presbiteriale. Teologi e teologhe sono da tempo concordi sul fatto che nell’antichità le diaconesse esistessero e nulla osti alla loro ordinazione; ma la questione, come per Fiducia supplicans, non è sul piano teologico, quanto su quello culturale. Ne è esempio plateale la presa di posizione dell’episcopato africano, che con una lettera pubblica ha annunciato che non recepirà la Fiducia supplicans e non somministrerà, pertanto, alcuna benedizione alle coppie omosessuali, pur ribadendo la “comunione con Pietro” e dunque la fedeltà al papa: affermazione senza precedenti, ma attesa in Vaticano, per la tradizionale ostilità del clero africano nei confronti dell’omosessualità. Analoghe prese di posizione sono ampiamente attese nel caso di una svolta a favore delle donne diacono.

“Negli ultimi mesi, una serie inattesa di accelerazioni nell’agenda di riforme di papa Francesco ha smentito le aspettative di un pontificato ormai alle battute finali”.

Ma gli occhi della curia romana sono piuttosto puntati oltreoceano, verso gli Stati Uniti, dove alberga la più virulenta opposizione episcopale al pontificato di Francesco. Le intemperanze sempre più infuocate dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò, l’ex nunzio apostolico a Washington diventato arcinemico di Francesco – ormai esplicitamente bollato come eretico e “servo di Satana” – hanno trovato sponda nel movimento scismatico di Richard Williamson, l’ex vescovo lefebvriano che la sua stessa comunità (uscita dalla Chiesa all’indomani del Concilio Vaticano II e poi riammessa non senza polemiche sotto Benedetto XVI) aveva espulso in seguito alle clamorose affermazioni negazioniste sull’Olocausto (“Nessun ebreo è mai stato ucciso nelle camere a gas: sono bugie, bugie, bugie”). Da allora Williamson ha iniziato a consacrare vescovi (ovviamente non riconosciuti dalla Chiesa) esponenti ultraconservatori scismatici, e pochi giorni fa ha fatto lo stesso con Viganò. 

Ma mentre Viganò resta perlopiù un elemento di folklore nella galassia ultraconservatrice anti-bergogliana, non vale lo stesso per altri esponenti come il cardinale Raymond Burke, uno dei leader dell’ala conservatrice della Chiesa e tra i maggiori critici del pontificato di Bergoglio in questi anni. Burke, statunitense, è uno dei quattro cardinali che avevano firmato i dubia, ossia le domande poste pubblicamente al papa sulla liceità teologica dei contenuti di Amoris laetitia (2016), il documento conclusivo del Sinodo sulla Famiglia, rispetto alla quale i quattro si domandavano se la dottrina cattolica sulla morale potesse ancora considerarsi valida. Fu la prima aperta contrapposizione tra la Chiesa di Francesco e il fronte conservatore, che Burke ha rilanciato nel luglio 2023 inviando pubblicamente al papa altri cinque dubia sulle posizioni espresse in materia di fede, firmati insieme ad altri quattro cardinali notoriamente contrari alla linea di Bergoglio: Walter Brandmüller, Juan Sandoval Íñiguez, Robert Sarah, Joseph Zen Ze-kiu. 

Quei dubia erano stati la risposta alla controversa nomina da parte del papa di un suo stretto collaboratore negli anni argentini, Víctor Manuel Fernández, come nuovo prefetto per la Dottrina della fede (il posto che fu di Ratzinger prima che diventasse papa). Sacerdote a Cordoba nel periodo in cui lo era anche Bergoglio prima di diventare vescovo ausiliare a Buenos Aires, Fernández aveva lavorato insieme al cardinale Bergoglio ad Aparecida nel gruppo ristretto per la redazione del documento finale del sinodo delle chiese latino-americane, dove fu proposto il tema centrale della “Chiesa in uscita”, architrave del pontificato bergogliano, ossia una Chiesa attivamente impegnata nel mondo, soprattutto verso quelle che Francesco definirà le sue “periferie esistenziali”. Temi ripresi nella Evangelii gaudium, il manifesto del pontificato di Francesco, di cui Fernández sarebbe stato ghost writer. Di certo si sa che è stato uno dei principali autori proprio della criticata Amoris laetitia, con la sua apertura (pur derubricata a una nota a pié di pagina) alla comunione concessa ai divorziati risposati. Agli occhi dei suoi critici non sono passate inosservate né alcune affermazioni considerate lassiste sull’aborto, né i titoli di alcuni suoi librettini  – Ansia. Vincila per apprezzare la vita; Superficialità. Cancella le verità di facciata; Ossessioni. Liberati dalle idee fisse; Inquietudine. Sciogli nervosismo e tensione – che non reggono certo il confronto con i ponderosi tomi di antropologia teologica del suo predecessore, Ladaria Ferrer. 

Il senso di questa operazione diventa più chiaro se confrontata con quella che vide Benedetto XVI nominare nel 2012 al dicastero che egli stesso occupò sotto Wojtyla il fedelissimo Gerhard Müller, il cui maggior titolo era stato fino ad allora quello di essere curatore dell’opera omnia dello stesso Ratzinger: Müller era tedesco come Ratzinger, così Fernández è argentino come Bergoglio. Quando Benedetto XVI nominò Müller, era già prossima la decisione di dimettersi l’anno successivo. L’obiettivo era quello di garantirsi che, chiunque fosse stato il suo successore, la linea teologica sarebbe rimasta ancora a lungo quella ratzingeriana: Bergoglio dovette infatti accettare Müller fino al 2017 (il mandato del Prefetto è quinquennale), per poi sbarazzarsene senza complimenti, rompendo con la prassi tradizionale di garantirne almeno un secondo mandato. Müller divenne così uno dei suoi più tenaci avversari. È allora probabile che Francesco si prepari alla stessa operazione, blindando la sua linea teologica in vista della successione, per osteggiare quel fronte conservatore che spera di fare la pelle ai bergogliani al prossimo conclave. 

Quale sia la linea teologica di Fernández, si era cominciato a capirlo già prima della Fiducia supplicans. Mentre i precedenti dubia alla Amoris laetitiae erano rimasti senza risposta, Fernández ha immediatamente risposto punto per punto alle domande dei cardinali sulla corretta interpretazione della dottrina, in ciò ponendosi in esplicita continuità con il magistero di Francesco, con aperture nei confronti della liceità del battesimo di figli di coppie omogenitoriali o della conservazione delle ceneri dei defunti in casa. Al punto chiaramente provocatorio di Burke e dei suoi colleghi che chiedevano se il magistero di Francesco stesse ormai andando in direzione contraria ai dogmi di fede, Fernández ha replicato che “sia i testi delle Scritture che le testimonianze della Tradizione necessitano di un’interpretazione che permetta di distinguere la loro sostanza perenne dai condizionamenti culturali”. Si può ben immaginare quanto una simile interpretazione sia dispiaciuta ai difensori della lotta di Ratzinger contro il “relativismo”.

La Chiesa è a un passo dallo scisma? -

A ciò si aggiunge la clamorosa decisione del papa di privare il cardinale Burke, ormai apertamente bollato come “oppositore”, di ogni privilegio cardinalizio, dalla sontuosa residenza romana, nella quale abitava in comodato d’uso gratuito, al generoso stipendio. Una rottura così netta ha destato sconcerto, considerati i modi generalmente più indiretti e “gesuitici” con cui Bergoglio ha cercato in questi anni di contrastare i suoi nemici, in molti casi senza mai assumere iniziative, per mostrarsi al di sopra del “chiacchiericcio” (termine da lui spesso usato); ma la vicenda fa il paio con quella che ha coinvolto il braccio destro di Ratzinger, monsignor Gänswein, considerato il principale responsabile della manipolazione mediatica del papa emerito da parte dei circoli conservatori ed esiliato senza incarichi in Germania alcuni mesi dopo la morte del suo protettore.

Decisioni tanto aspre che sembrano nascondere fatti ancora più gravi, complotti di vasta portata come quelli rivelati qualche anno fa nel libro Lo scisma americano. Come l’America vuole cambiare papa di Nicolas Senèze (2019), corrispondente del quotidiano cattolico-progressista francese La Croix. In quel libro si ricostruiva la vicenda dell’affaire Viganò, e del dossier con il quale l’ex nunzio apostolico tentò di dimostrare che Francesco fosse al corrente degli abusi sessuali compiuti dall’ex cardinale Theodore McCarrick e che li avesse coperti negli anni. Un caso mediatico a cui il Vaticano fu costretto a rispondere, replicando punto su punto alle accuse di Viganò, nei cui confronti tuttavia ancora non è stato preso alcun provvedimento, nonostante le posizioni scismatiche assunte nel frattempo.

Francesco sembra infatti voler combattere la battaglia su un terreno diverso da quello della dialettica conservatori-progressisti sempre rifiutata (non è un caso che pochi giorni dopo la Fiducia supplicans abbia ribadito la sua opposizione alla presunta “teoria gender”, costante obiettivo polemico delle frange tradizionaliste).

Per capirne la strategia, bisogna guardare a un’altra vicenda clamorosa di questi ultimi mesi: la condanna a 5 anni e sei mesi di reclusione del cardinale Angelo Becciu, ex “uomo forte” della Segreteria di Stato, considerato dal tribunale vaticano colpevole di aver dilapidato oltre 200 milioni di euro in un affare immobiliare sballato che ha creato un grosso buco nei bilanci vaticani e che, secondo i giudici, non è stato solo frutto d’imperizia, ma di dolo provocato da un piccolo ma tenace gruppetto di affaristi, faccendieri e mestatori che aveva solleticato le sfrenate ambizioni di Becciu. Si è trattato della prima condanna nella storia di un cardinale di Santa Romana Chiesa; certo davanti ci sono ancora altri due gradi di giudizio, e oltre ancora la probabile grazia del pontefice (quale che sarà). Ma a essere stato messo in discussione è il principio per cui un “principe della Chiesa” sia intoccabile dalla legge, per il semplice fatto di essere stato consacrato vescovo e cardinale. 

È per questo motivo che i circoli anti-bergogliani negli ultimi due anni si sono mobilitati in modo frenetico per difendere Becciu (che pure difficilmente può essere annoverato nelle file dei conservatori). Puntavano a mettere in discussione l’intero impianto accusatorio ma soprattutto i diversi interventi dello stesso pontefice, che per rendere possibile il processo ha dovuto rinnovare in modo spesso radicale il diritto canonico: fatto, questo, che in una teocrazia di fatto com’è lo Stato del Vaticano è apparso a molti come l’indebita ingerenza di un autocrate che è anche giudice e che avrebbe imbastito un processo meramente “politico”, allo scopo di dare un segnale interno alla Curia. 

Tra i più feroci oppositori di Bergoglio si è distinto poi il blog Silere non possum, redatto da un giovane canonista, Marco Felipe Perfetti, un campione del tradizionalismo ecclesiastico. Poco prima della storica sentenza, sul suo blog aveva riportato le voci di alcuni vescovi riuniti nel recente Sinodo universale a Roma, che si auguravano per il futuro un papa né gesuita (per gli eccessi progressisti ascritti alla Compagnia di Gesù negli ultimi decenni) né latinoamericano (per l’eccessiva insistenza su un’agenda terzomondista e pauperista), auspicando, al contrario, qualcuno che ne capisca di diritto canonico. E in effetti Francesco di questioni di diritto proprio non vuol sentirne parlare, perché non le ritiene di sua competenza.

Non è compito del pontefice della Chiesa occuparsi di burocrazia, di giurisprudenza, o persino di cerimoniale ecclesiastico, tema sul quale Silere non possum lancia di continuo strali lamentando la profonda ignoranza dei bergogliani nei confronti di protocolli, precedenze,  abbigliamento curiale. Non a caso nella lista nera del blog compare, subito dopo il papa, il cardinale Mauro Gambetti, francescano oggi responsabile della Basilica di San Pietro, accusato di star mandando in malora la millenaria chiesa perché meno interessato a tenere pulito il baldacchino del Bernini e più a rispondere all’invito del papa di rendere la basilica accogliente a  fedeli e  bisognosi. Nulla nel profilo di Gambetti può piacere ai tradizionalisti: il fatto di essere entrato in seminario dopo il diploma, la laurea in ingegneria e il servizio militare, la passione per lo sport, l’aver avuto una fidanzata prima di farsi prete, tantomeno la giovane età con cui è stato nominato cardinale. Tutti punti in comune con il pontefice argentino.

“Francesco avrebbe pronta una riforma choc del conclave chiamato a eleggere, quando sarà, il suo successore, nel quale entrerebbero anche laici non consacrati e quindi ‘persino’ donne”. 

Ciò che i tradizionalisti non perdonano a Francesco e alla sua cerchia di fedelissimi è la programmatica demolizione della superiorità e ieraticità del clero. Ne sono esempi la nomina di laici nei dicasteri romani, l’inserimento di radicali di sinistra come l’attivista no-global e pro-migranti Luca Casarini tra gli invitati a un Sinodo che dovrebbe essere riservato ai vescovi, la chiusura di monasteri ormai senza vocazione, le provocazioni rivolte ai seminaristi, a cui spesso il papa domanda se la via del sacerdozio sia davvero quella più confacente: un insulto, per quanti vedono nel crollo ultradecennale delle vocazioni il segnale oggettivo di una crisi irreversibile della Chiesa e che, leggendo le cifre ogni anno sempre più impietose degli assottigliati ranghi del clero europeo, sembrano preoccupati di dover rispondere alla celebre provocazione di Stalin su quante divisioni abbia il papa. È in questo quadro che va interpretata la recente “bomba” esplosa a mezzo stampa, secondo cui Francesco avrebbe pronta una riforma choc del conclave chiamato a eleggere, quando sarà, il suo successore, nel quale entrerebbero anche laici non consacrati e quindi “persino” donne. 

La porpora cardinalizia rappresenta, per qualsiasi presbitero con velleità di carriera, la suprema ambizione, ben più della mantella bianca di pontefice. Diventare cardinali significa giungere all’apice di una gerarchia dove chi si trova più in alto decide ogni singolo aspetto della vita di chi si trova più in basso.

Un potere biopolitico totale, caratteristico di una istituzione dove il controllo dei corpi è sempre stato la principale preoccupazione. Immaginare che nel prossimo futuro tutto questo possa essere condiviso con dei laici, ai quali verrebbe conferito analogo potere di nominare il prossimo vescovo di Roma, appare l’estremo insulto – benché la storia insegni che laici nominati direttamente cardinali non siano mancati e che solo di recente il clericalismo abbia introdotto la prassi (mai normata) per cui per essere cardinali sia necessario, anzitutto, essere vescovi. 

La notizia è quasi certamente falsa; ma è il segnale di uno scontro diventato, nell’ultimo anno, più violento. Un anno fa si spegneva Benedetto XVI, intorno al cui fragile corpo i circoli tradizionalisti da tempo si erano riuniti: se non arrivando a indicarlo come il “vero papa”, certamente designandolo come rappresentante del legittimismo clericale. Gli eventi degli ultimi mesi sembrano dare ragione a quanti ritenevano che Francesco si fosse mosso con moderazione fintanto che Benedetto XVI era in vita, per rispetto nei suoi confronti ma anche per evitare che il vecchio pontefice si trasformasse nell’antipapa di qualche violento scisma.

La lotta contro il clericalismo di Francesco sta entrando insomma nella sua fase terminale, che potrebbe trovare clamorose conferme nella seconda sessione del Sinodo universale in programma nell’ottobre 2024, quella decisiva. Dai giri di tavolo della prossima sessione poco di radicale è emerso, ma alcuni punti – come quello sul diaconato femminile  – suggeriscono l’intenzione di andare presto alla conta. Dall’altro lato c’è la Germania che freme e che discuteapertamente di donne sacerdote e accettazione dell’omosessualità. 

Ma c’è da dubitare di uno “scisma tedesco”. La storia della Chiesa insegna che i grandi scismi (non quelli minori e presto dimenticati come quello dei vetero-cattolici dopo il Concilio Vaticano I e dei lefebvriani dopo il Vaticano II) sono sempre stati legati a questioni di potere. In Europa, Chiesa e potere non vanno più così d’accordo da tempo, con sommo dispiacere della curia romana e di nostalgici come il cardinale Ruini, alla guida della CEI negli anni della breve (e con il senno di poi imbarazzante) luna di miele con il berlusconismo; ben diverso il clima in Africa, dove sacerdoti e vescovi godono ancora di rispetto e potere; ma anche negli Stati Uniti: qui certo il cattolicesimo è minoritario e oggi rappresentato da un presidente decisamente progressista in termini di fede come Joe Biden; ma la più grande potenza mondiale non può accontentarsi di andare a traino delle decisioni di un papa latinoamericano che anche da primate dell’Argentina non ha mai nascosto posizioni anti-globaliste e anti-imperialiste e da pontefice ha commentato con tono perentorio di considerare “un onore” essere criticato dagli Stati Uniti. Tra tutti i punti d’attrito, spicca l’accordo tra Vaticano e Cina: ferocemente contestato dall’amministrazione Trump, con esplicite minacce da parte dell’allora segretario di stato Mike Pompeo al punto che Francesco decise di non riceverlo nemmeno durante una sua visita in Italia, sgarbo considerevole al protocollo diplomatico. 

La Chiesa è a un passo dallo scisma? -

Per gli USA, l’indipendentismo vaticano nei confronti del governo di Pechino è una minaccia intollerabile, e la risposta è stata l’isolamento della diplomazia papale durante la guerra in Ucraina, quando a vuoto sono andati gli sforzi – contrastati esplicitamente dal presidente Zelensky su suggerimento di Washington – del cardinale Zuppi di aprire un canale diplomatico tra Mosca e Kiev triangolato dal Vaticano. Il clero americano non fatica ad allinearsi ai desiderata del Dipartimento di Stato, perché il suo obiettivo è conquistare spazi di manovra in un Paese dove la fortissima commistione tra politica e religione è stata finora appannaggio dell’evangelismo protestante. La lotta di Francesco contro il clericalismo procede in direzione contraria a questo progetto, perché destituisce di autorità e potere quelle gerarchie ecclesiastiche che stanno disperatamente lottando per conservare la loro influenza.

L’affaire Fiducia supplicans va letta dunque all’interno di questo schema. Per i vescovi americani conservatori, che hanno provato a impedire a Biden l’accesso alla comunione per le sue posizioni a favore dell’aborto, il controllo della morale sessuale non è affatto un tema secondario come Francesco cerca in tutti i modi di sostenere, ma l’ultima forma di quel potere biopolitico che ha permesso alla Chiesa di conquistare (e controllare) le menti e i cuori dei propri fedeli in tutto il mondo. Conservarlo diventa dunque questione di sopravvivenza, come ben esprimeva nel 2017 un testo di insinuante influenza nei circoli cristiani di destra, L’opzione Benedetto di Rod Dreher, ultraconservatore americano emigrato poi alla corte di Viktor Orban.

L’idea espressa in quel libro, di una sorta di “Aventino” dei cristiani tradizionalisti (cattolici, protestanti, ortodossi) contrari alla deriva liberal e all’indebolimento della morale sessuale cristiana, ha convinto molti negli Stati Uniti di vivere negli ultimi tempi, sotto una “dittatura del relativismo” che Dreher paragonava alla condizione dei cristiani sotto i regimi comunisti o islamisti. È in questo clima d’apocalisse che si guarda al prossimo conclave, dove i cardinali americani rappresenteranno la delegazione numericamente più forte dopo quella italiana. È in quell’occasione che si deciderà quale visione del cristianesimo prevarrà nel XXI secolo. 

Roberto Paura

Roberto Paura è giornalista scientifico e culturale. Dirige la rivista «Futuri» ed è vicedirettore di «Quaderni d’Altri Tempi».

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