Cristiano Carriero
In collaborazione con
21 Ottobre 2024
Quattro storyteller raccontano il loro rapporto con l’originalità alla vigilia dello "Storytelling Festival", un evento organizzato da La Content con il contributo di Lucy. Tra gli ospiti Naoise Dolan e Ilaria Gaspari.
Quando pubblico un post, penso sempre a chi mi legge. Immagino che mi conosca e che abbia letto altre cose che ho scritto in passato. Do per scontato, erroneamente, che possa ricostruire da solo un fil rouge, una storia, con i pochi elementi che ha disposizione. Dei frammenti. Ci capita spesso di fare questo errore, e non solo quando facciamo personal storytelling: ci rivolgiamo ad un pubblico esiguo che ci conosce già, lasciando a quest’ultimo l’onere della tessitura di una storia.
Fare storytelling non significa solo comunicare attraverso dei racconti e reputo molto poetico e linguisticamente efficace, ma non sempre valido, affermare che togliendo dalla realtà i fatti “tutto ciò che resta è storytelling”. Sono sicuro che la realtà che viviamo sia il frutto di due elementi che si influenzano a vicenda: i fatti, appunto, e le storie. Raccontare significa capire da dove iniziare, quale ritmo tenere, quali aneddoti inserire – Paolo Sorrentino, nel suo romanzo Hanno tutti ragione, distingue l’aneddoto dall’aneddotica esasperata – bilanciare attentamente la sorpresa con la rassicurazione, chiudere con un finale senza davvero concludere. Perché, in fondo, nessuna storia finisce davvero. Tutto può ricominciare, mutare, evolvere. È una delle regole auree dello storytelling.
Ce lo insegna La storia infinita di Ende: l’unico nemico è il nulla; la fine della fantasia, dell’immaginazione, della capacità di sospendere la nostra credulità. Lo storytelling è uno degli elementi fondanti del mondo in cui viviamo: del marketing, della comunicazione, della politica.
Non c’è settore dell’economia e della società che oggi non ne abbia bisogno, ancor di più nell’era dei social media. Non è, o non è soltanto, una questione di cosa dire, ma di come dirlo, come esprimerlo, come creare l’incanto senza cadere nel rischio dell’iperbole, come dare gusto e colore. Come esprimere, e questa è forse la sfida più difficile di tutte, l’originalità. “Credo molto nell’originalità” mi dice Mizio Ratti, Direttore creativo, durante una telefonata-, “una volta era un bene assoluto: la qualità con la quale veniva misurata la bravura di un creativo. Se pensiamo ad alcuni film pubblicitari del passato c’erano delle storie e dei protagonisti, nello spettatore c’era la voglia di scoperta. Oggi la maggior parte dei film sono destrutturati: non c’è un racconto lineare, il gap viene risolto da una voce fuori campo. La verità è che per produrre idee originali ci vuole coraggio”.
Il coraggio è uno dei grandi assenti di questa epoca. Se le storie che vengono diffuse contengono una buona dose di coraggio, si tratta quasi sempre di mistificazione. Perché la maggior parte dei committenti, non solo del mondo pubblicitario o della comunicazione, vogliono una ricetta da applicare, uno schema da applicare, un modello di successo che ha già funzionato altrove. Questo spiega il successo dei remix, del mesh up, di quella parola così rassicurante che è “reunion”.
“Per avere un prodotto buono – continua Mizio Ratti – devi lavorarci molto. Sai quanto dura un Direttore o una Direttrice marketing, in media, in una azienda?”. Sparo una cifra a caso, ma non vado troppo lontano dalla risposta esatta. Che è “poco”. “Due anni. Sai cosa puoi fare di davvero originale in due anni? Sai qual è la priorità di un committente di questo tipo? Ottenere dei numeri non attaccabili. Viviamo un periodo di grande razionalità”. La sfida più grande è certamente quella di rimettere la creatività al centro del villaggio, di non far diventare lo storytelling una ricetta che si basi su dosi già predefinite, perché nel momento stesso in cui questo accade, l’originalità è perduta.
“Fare storytelling non significa solo comunicare attraverso dei racconti e reputo molto poetico e linguisticamente efficace, ma non sempre valido, affermare che togliendo dalla realtà i fatti ‘tutto ciò che resta è storytelling'”.
Ho raggiunto al telefono un’altra ospite dello storytelling festival: Naoise Dolan, autrice irlandese di romanzi generazionali come Tempi eccitanti e La coppia felice. “Se lo stesso modo di originalità si applica a molte persone”, dice Dolan “allora ovviamente non è veramente originale. Posso dire qualcosa sui metodi di originalità, non sull’espressione finale di originalità a cui arriviamo. Non si dovrebbe cercare attivamente di essere originali; è spesso nel tentativo di essere originali che perpetriamo i cliché più banali. Invece dovremmo cercare di essere rigorosi e onesti e consultare fonti diverse. Per gli scrittori questo significa leggere di periodi diversi, leggere in traduzione, leggere scrittori di comunità diverse dalla propria. Come giovane scrittrice irlandese, io leggo giovani scrittori irlandesi molto meno spesso di autori con cui ho apparentemente molto meno in comune. Questo perché credo che la mia creatività abbia origine nella complicata comunione tra fonti secondarie e le mie esperienze personali. Quando leggo Thomas Mann, ad esempio, per dargli un senso all’interno del mio quadro di riferimenti finisco per fare connessioni che nessun altro farebbe. Questo processo alimenta la mia originalità molto di più che leggere autori che hanno avuto più o meno la mia stessa vita”.
Lo storytelling come contaminazione, come connessione e comunione. Nell’epoca in cui l’intelligenza artificiale ha amplificato la frammentarietà delle nostre storie, il modo migliore per riappropriarsene è preservare la profondità narrativa. Ancora Dolan, sull’argomento: “Un bravo autore e una brava autrice non vuole essere letto solo perché non c’è niente di meglio da fare. Vuole essere letto perché il suo lavoro è così irresistibile che nessun’altra tentazione può competere. Allo stesso tempo, naturalmente possiamo riconoscere che la prosa artistica richiede un certo tipo di concentrazione che è difficile trovare, oggi. Eppure, anche quando siamo completamente dipendenti da Internet o dalle notifiche, siamo in grado di disconnetterci per finire un libro che ci ha ossessionati. Aspiro a scrivere libri che avranno questo effetto e di avere fiducia che se sarò abbastanza brava, i miei lettori si prenderanno una pausa dai loro smartphone. E io mi fido dei lettori”.
Quante storie riusciamo ad ascoltare dall’inizio alla fine? Quante volte ci prendiamo il tempo di coglierne tutte le sfumature, di andare oltre la frammentazione, di fidarci e affidarci ad una storia? E perché questa ossessione dovrebbe riguardare solo chi scrive romanzi? Andrea Girolami ha creato una newsletter che si chiama Scrolling Infinito, che annovera quasi 10.000 iscritti. Ho chiesto anche a lui cosa ne pensa della profondità narrativa, e di come preservarla dalla frammentarietà dell’era di TikTok e degli Shorts su YouTube: “Non vedo le due cose in opposizione: la profondità non è nemica della superficialità, l’obiettivo di chi comunica è usare entrambe le armi alla bisogna. Se pensiamo ai prodotti culturali di più grande successo al cinema (Barbie, Oppenheimer, C’è ancora domani) sono racconti autoriali con una sensibilità pop. Stessa cosa nelle serie tv (Stranger Things, Game Of Thrones etc) o nella musica (Taylor Swift). I contenuti brevi o virali non vanno a sottrarre spazio o attenzione a quelli più profondi, sono piuttosto un viatico e una porta d’accesso per questi. Tanto più siamo bravi a riformulare il messaggio per diverse piattaforme e formati e tanto più la narrazione più complessa (che è spesso anche quella più remunerativa) arriverà a più persone rimanendo intatta”. Andrea di originalità se ne intende: “è fare quello che potrebbe fare chiunque altro ma meglio. Pensiamo ad alcune delle più grandi innovazioni tecnologiche degli ultimi anni: il newsfeed di Facebook ha semplicemente raccolto gli aggiornamenti di tutti i nostri amici in un unico posto. L’algoritmo di TikTok ha semplicemente scelto di dare priorità al tempo speso su un contenuto invece che sul numero dei like. Spotify ha semplicemente messo d’accordo le case discografiche su qualcosa che molti altri avevano provato a fare in passato. Essere originali oggi è semplicemente riuscire a dire quello che gli altri continuano ad avere sulla punta della lingua”.
Siamo immersi in una cultura post moderna, viviamo di riferimenti, di allusioni, ma ogni generazione ha avuto l’illusione di essere l’ultimo luogo in cui accade qualcosa. Dopo aver ascoltato un creativo pubblicitario, una scrittrice di romanzi generazionali e un giornalista autore di una newsletter di successo, non potevo resistere alla tentazione di chiamare una filosofa: Ilaria Gaspari, un’altra ospite di Storytelling Festival. “Io non vedo una grande discontinuità tra quella che per me è la scrittura narrativa e quella saggistica: è tutto parte dello stesso processo ed è un processo di creazione. C’è un grandissimo bisogno di espressione che molte volte si sovrappone all’aspetto artistico. Le persone vogliono scrivere perché vogliono esprimere sé stesse. Provare a studiare e capire la tessitura delle voci che sono venute prima di noi e inserirci con una voce che sia originale perché solo nostra dentro questo coro non significa voler primeggiare ma vedere quello che c’è di più prettamente umano in questo bisogno di raccontare e raccontare. E nel farlo, in questo momento in cui l’intelligenza artificiale (che ha enormi potenzialità e ricadute positive e persino democratiche) da un lato spaventa, dobbiamo valorizzare sempre di più l’aspetto umano del lavoro. Non dobbiamo trasformarci noi in robot, anche se è più facile”.
Siamo abituati a ragionare in un’ottica di assoluta efficienza, mentre il tempo della creatività è un tempo rubato all’efficienza. Ilaria Gaspari mi ha riportato alla cultura greca, alla Scholé. “È l’idea di lavorare su stessi, ampliarsi, amplificarsi nel momento in cui non si sta mirando ad un utile immediato. Questa cosa è importante da riscoprire anche in virtù del nostro rapporto con l’intelligenza artificiale, se mettiamo in conto che la nostra originalità ha anche a che fare con l’errore, non è una scienza esatta, né una risposta ad un prompt”. È molto difficile vincere una gara contro strumenti più efficaci e più performanti di noi, dovremmo iniziare a considerare l’originalità qualcosa di molto diverso da una gara. E lo storytelling un mindset da ricercare attraverso discipline e fonti di ispirazione diverse. “La stessa pretesa di piacere ad un pubblico il più sterminato possibile è una pretesa performativa”.
Abbiamo voluto un evento interamente dedicato alle storie e ai modi di raccontarle. Siamo pronti ad ascoltare le storie di WeRoad, MySecretCase, Serenis, Euro Company, Elica, Lucy: non testimonianze aziendali, ma vere e proprie storie di trasformazione. Persone che parlano a persone, professionisti e professioniste che hanno cambiato il mondo della comunicazione. Quest’anno non punteremo solo sull’ispirazione; ci saranno tanti workshop, momenti di scambio e condivisione come quelli con Federico Sbandi, Francesca Marchegiano (nostra ospite fin dal primo anno, ci piace che il cambiamento sia associato alla continuità e lei lo rappresenta perfettamente), oltre a spazi di networking che faciliteranno la conoscenza dei 500 partecipanti. Sarà un’occasione per presentare i percorsi di scrittura che La Content organizzerà con Lucy : sul palco, a parlare di geopolitica, salirà Simone Pieranni.
Quella di quest’anno – il Festival è arrivato alla quinta stagione, la terza con un focus sullo storytelling – sarà un’edizione dedicata all’attivismo, ai dati come leva importantissima di narrazione, al potere persuasivo del design, altro fondamento dello storytelling. Parleremo del dogma della creatività, di romanzi generazionali, dell’era della monocultur, di IA, etica e creatività. Si alterneranno divulgatori come Francesca Lagioia, Riccardo Scandellari, Fulvio Julita, Giulia Blasi, Mizio Ratti, Ilaria Gaspari, Federica D’Armento, la fumettista Takoua Ben Mohamed, l’esperta di dati Donata Columbro, il fondatore di We Road Fabio Bin con autori e autrici come Gianluca Gotto e Naoise Dolan. Abbracceremo la fiction e l’impresa perché, in fondo, comunicare è davvero la più antica, difficile Impresa del mondo. Appuntamento al 25 e 26 ottobre all’Anchecinema, a Bari.
Cristiano Carriero
Cristiano Carriero è Chief Storyteller dell’agenzia di comunicazione “La Agency” e Director della scuola di narrazione “La Academy”, le due divisioni della società “La Content” di cui è co-founder.
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