Luigi Mastrodonato
Mentre la Sicilia vive la più grande crisi idrica della sua storia, il governo dimezza i fondi per la manutenzione del territorio e si concentra sul Ponte sullo Stretto.
Lo scorso 30 novembre in provincia di Enna, in Sicilia, centinaia di persone hanno occupato la diga Ancipa per bloccare l’erogazione dell’acqua verso la vicina provincia di Caltanissetta. I media locali l’hanno ridefinita la “guerra dell’acqua” ed è l’ultima fotografia della crisi idrica che da mesi sta mettendo in ginocchio la regione, effetto dei cambiamenti climatici ma anche della pessima gestione delle risorse idriche e della scarsa manutenzione del territorio.
Sempre lo scorso 30 novembre il governo riuniva d’urgenza il Comitato per la programmazione economica. In quell’occasione è stato deciso di aumentare di 3,1 miliardi di euro i fondi destinati al progetto del Ponte sullo Stretto di Messina, facendo passare le coperture da 11,6 a 14,7 miliardi. I finanziamenti supplementari non si sono materializzati dal nulla. La coperta è sempre quella e se si tira da una parte bisogna scoprire da un’altra. Per dare una spinta economica al progetto tanto caro al ministro delle Infrastrutture e leader della Lega, Matteo Salvini, si è quindi deciso di attingere al Fondo per lo sviluppo e coesione del Mezzogiorno, quello che serve per finanziare progetti relativi, tra le altre cose, alla manutenzione del territorio. Un fondo da sei miliardi, che dunque è stato dimezzato.
Il governo ha ribadito una volta per tutte che la priorità, per il Sud Italia, è il Ponte sullo Stretto e che è lì che vanno concentrati gli sforzi e gli investimenti, sacrificando altro. La crisi idrica, la guerra dell’acqua tra i cittadini, restano un fastidioso rumore di fondo.
Rubinetti a secco
La Sicilia sta vivendo la più grave crisi idrica della sua storia. Ogni mese da ormai oltre un anno si registrano valori delle temperature ben al di sopra della media, mentre quelli delle precipitazioni sono al di sotto. Nella regione insulare fa molto caldo e non piove. Non come gli anni scorsi, quando la siccità estiva era la normalità e ci pensavano poi le piogge invernali e primaverili a riempire gli invasi e dare respiro alla rete idrica regionale. Stavolta non è piovuto nemmeno nella stagione delle piogge e il risultato è che su 29 dighe nove sono vuote, dieci hanno meno di un milione di metri cubi utilizzabili e sette meno di 5 milioni.
“Quando eravamo piccoli a scuola ci dicevano che Enna era la provincia dei laghi. Non ci saremmo mai aspettati di trovarci in questa situazione”, racconta Franz Scavuzzo, presidente del circolo Erei di Legambiente Enna. Dai rubinetti delle case del capoluogo siciliano non esce niente per cinque giorni. Il sesto arriva l’acqua per una decina di ore, anche meno. Poi si riparte con altri cinque giorni di rubinetti chiusi, un altro di acqua e via così secondo uno schema che prosegue da mesi.
“In città è tutta una corsa all’idraulico, i condomini stanno cercando di ampliare la propria capacità di riserva idrica attraverso serbatoi e autoclavi così da avere quanta più acqua possibile per i giorni in cui l’erogazione è ferma”, continua Scavuzzo. Le case che non sono organizzate in questo modo devono fare tutto, dalle lavatrici alle pulizie fino alle altre incombenze domestiche, quell’unico giorno in cui c’è l’acqua. In città sono state predisposte tre autobotti da cui la popolazione va a rifornirsi con i bidoni, che poi vengono tenuti in casa a mo’ di sorgente idrica. Gli esercizi commerciali, dai bar ai ristoranti passando per i parrucchieri, hanno modificato abitudini e orari di lavoro a seconda dei ritmi di erogazione dell’acqua. Per gran parte della cittadinanza l’unica soluzione è comprare i bottiglioni al supermercato. Questo fa lievitare i costi domestici, in una città che ha le tariffe dell’acqua più care d’Italia secondo l’Istituto ricerche consumo ambiente e formazione. Per non parlare delle carceri, dove l’acqua è diventata una voce da spuntare, l’ennesima, dalla lista ormai infinita dei diritti negati ai detenuti. La crisi idrica è un enorme problema anche per l’economia, visto che sta mettendo in ginocchio la produzione industriale e agricola. C’è chi ha iniziato a deviare illegalmente i piccoli corsi d’acqua così da tenere in piedi la sua attività e si è sviluppato anche un mercato di acqua di contrabbando.
“Lo scorso 30 novembre in provincia di Enna, in Sicilia, centinaia di persone hanno occupato la diga Ancipa per bloccare l’erogazione dell’acqua verso la vicina provincia di Caltanissetta”.
“Già a febbraio scorso avevamo sottolineato che c’era poca acqua e che bisognava razionarla, ma si è fatto finta di nulla sperando nella Divina Provvidenza, cioè nella pioggia. La pioggia non è arrivata e oggi è troppo tardi per rimediare”, chiosa Scavuzzo. “A Enna la crisi idrica sta diventando un problema esistenziale”.
La guerra per l’acqua
L’erogazione dell’acqua in diversi comuni della provincia di Enna dipende dal lago Ancipa, al confine con la provincia messinese. Il bacino ha una capienza di 30 milioni di metri cubi ma a fine novembre disponeva di soli 290mila metri cubi di acqua a causa della siccità.
Tra i paesi che dipendono dall’Ancipa ci sono Troina, Cerami, Gagliano Castelferrato, Nicosia e Sperlinga, che messi insieme fanno 26mila abitanti circa. Il 30 novembre i sindaci di questi paesi, assieme a centinaia di altre persone tra cui il deputato regionale Fabio Venezia, del Partito Democratico, hanno occupato l’impianto di potabilizzazione della diga Ancipa con l’obiettivo di bloccare l’erogazione di acqua alla provincia vicina, quella nissena. Il bacino riforniva infatti i comuni settentrionali dell’ennese ma anche le città di Caltanissetta e San Cataldo. Poi, il 15 novembre, è stata fermata l’erogazione a queste ultime, a causa della riduzione della capacità dell’invaso, ormai quasi completamente a secco, e anche per l’attivazione di nuovi pozzi nel territorio nisseno. Il 29 novembre la cabina di regia sull’emergenza idrica siciliana ha però deciso di alimentare nuovamente la condotta di acqua verso Caltanissetta e San Cataldo ed è a questo punto che è scattata la protesta dei comuni dell’ennese.
“Da qui non esce una goccia d’acqua verso i paesi del nisseno. Abbiamo l’obbligo di salvaguardare i nostri territori che da qui a qualche giorno rischiano di rimanere senza acqua”, ha tuonato il deputato Venezia durante l’occupazione della diga. L’esasperazione per una crisi idrica che va avanti da mesi si è trasformata in una guerra per l’acqua tra la cittadinanza. “Un conflitto tra poveri”, sottolinea Scavuzzo, con “poveri” inteso nel senso di impoveriti di risorse e prospettive da istituzioni politiche che hanno gestito e continuano a gestire male il territorio. Alla fine l’occupazione della diga si è conclusa con circa 200 denunce da parte di Siciliacque, la società che gestisce l’invaso. E con la pioggia, che ha fatto salire momentaneamente il livello del lago Ancipa portando a una tregua. Provvisoria.
Crisi climatica e malagestione
L’emergenza idrica in Sicilia è causata dall’uomo. In primis perché i mesi di siccità da cui si è originata sono l’espressione più limpida dei cambiamenti climatici di natura antropica in corso: secondo uno studio del World Weather Attribution, il riscaldamento globale ha reso emergenze come quella siciliana il 50 per cento più probabili. In secondo luogo perché le istituzioni politiche in tutti questi anni non hanno mai saputo dotarsi di un salvagente di fronte all’inevitabile, con investimenti carenti o sbagliati nel sistema idrico nazionale.
Come sottolinea l’Istat, in Sicilia nel 2022 la perdita idrica nella fase di immissione in rete dell’acqua per usi autorizzati è stata del 51,6 per cento, cioè 339,7 milioni di metri cubi. Nella regione il problema dell’acqua è legato alla siccità, ma anche al modo con cui ci si è organizzati per farle fronte. A pesare sono gli acquedotti fatiscenti, che non vengono sottoposti a manutenzione, gli scarsi investimenti in nuove infrastrutture e l’abbandono di quegli impianti che avrebbero dovuto rivoluzionare la gestione idrica dei territori. È il caso dei dissalatori di Gela, Porto Empedocle e Trapani, costruiti anni fa per aspirare acqua marina, filtrarla e trasformarla in acqua dolce da immettere nella rete idrica. Poi chiusi per i costi di gestione troppo alti.
Negli ultimi 17 anni sono stati spesi due miliardi e mezzo di euro a livello regionale nel campo delle reti idriche, ma la dispersione ancora altissima dell’acqua e gli impianti chiusi o malfunzionanti sono la fotografia della malagestione del sistema. Ora si sta cercando di mettere una pezza a una crisi che va ormai avanti da oltre un anno. La Regione ha stanziato 20 milioni di euro per interventi urgenti di manutenzione, mentre la cabina di regia nazionale ha approvato la proposta regionale di riattivare i tre dissalatori di Porto Empedocle, Gela e Trapani “entro giugno”. Misure tardive, parziali o che vanno in contrasto con altre, come la sottrazione di tre miliardi di euro dal Fondo per lo sviluppo e la coesione in favore del Ponte sullo Stretto.
“Dall’inizio degli anni Duemila lanciamo l’allarme sugli effetti dei cambiamenti climatici in Sicilia e restiamo inascoltati”, denuncia Scavuzzo. “Oggi la crisi climatica ci è arrivata in faccia senza che siano state prese le misure per affrontarla”. La Sicilia sta pagando la scarsa manutenzione del territorio di ieri. Domani sarà ancora peggio, visto che i fondi a disposizione vengono tagliati e veicolati altrove. E l’emergenza climatica non farà altro che aggravarsi.
Luigi Mastrodonato
Luigi Mastrodonato è un giornalista freelance. Collabora con testate come Internazionale, Domani, LifeGate e si occupa di temi sociali e marginalità, con un focus particolare su carceri e abusi di potere. È autore e voce del podcast “TREDICI”, uscito nel 2023 per «Il Post».
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