La maschera politica e la politica delle maschere - Lucy
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Iconografie XXI

La maschera politica e la politica delle maschere

Un'indagine, attraverso dieci immagini, dei camuffamenti politici attuali, nel tentativo di svelarne la reale natura.

Ora che la quiete della “fine della storia” è solo un ricordo, dappertutto si affollano grandi questioni politiche e sociali che attendono risposte, senza che nessuno sia in grado di darle. Ciò che esiste non funziona più ma, come disse Margaret Thatcher, non c’è alternativa. E dunque si va avanti come sempre, ma indossando maschere per non farlo vedere. 

Il XXI secolo, fin qui, è il secolo dei mascheramenti, delle lotte che sfruttano simboli per far dimenticare che quei simboli non rimandano ad alcun contenuto, dell’agitazione costante che riempie le piazze ma non trova mai sfogo in cambiamenti politici effettivi. Dai manifestanti che si travestono da Pokémon ai governanti che si travestono da leader del passato, dalle gare a chi imita meglio il look di un assassino alle ideologie pret-a-porter, ecco una raccolta di immagini che prova a raccontare il caos del presente, spesso mascherato da simboli del passato, nell’attesa che il mistero custodito al di sotto di essi si sveli per ciò che realmente è. 

Londra, Regno Unito, febbraio 2023.

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L’invasione russa dell’Ucraina ha determinato, tra le tante cose, la parabola del presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj, la cui estetica è ormai nota a tutti. Dal discorso tenuto il  24 febbraio 2022 – il primo nei panni di capo del governo di un paese in guerra – il presidente ha adottato come “divisa” una semplice maglietta (o felpa) verde militare, destinata a diventare in breve tempo il simbolo dell’impegno bellico ucraino. Lo stesso look non viene impiegato solo nei messaggi alla nazione, ma anche e soprattutto nelle visite diplomatiche agli alleati occidentali. Zelens’kyj vuole mostrarsi non solo solidale con il proprio popolo, ma “uno di loro”. Se gli ucraini oggi sono dei cittadini-soldato – secondo una retorica favorita dal risalto dato alle forze di difesa territoriale dalla propaganda filo-ucraina – il loro presidente lo è tanto quanto loro. In foto l’incontro con l’allora premier britannico Rishi Sunak, durante il quale  la differenza di stili tra un capo di stato in tempo di pace e uno capo impegnato in una guerra è emersa in tutta la sua forza.

San Pietroburgo, Russia, giugno 2023.

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Nel giugno 2023 il presidente russo Vladimir Putin ha partecipato all’inaugurazione della nuova sede centrale di Gazprom, l’azienda energetica statale russa, un grattacielo nel quartiere sanpietroburghese di Lakhta, affacciato sul Golfo di Finlandia. Alla fine  della manifestazione, mentre un’orchestra suonava l’inno nazionale, su tre aste alte 180 metri sono state issate la bandiera zarista, quella sovietica e quella russa. Si marcava così un triplice anniversario: i 330 anni del tricolore russo, il “tricolore di Pietro il Grande”; i 165 anni del tricolore dei Romanov introdotto da Alessandro II; i 100 anni della bandiera rossa sovietica. Questo accostamento è in un certo senso il punto di arrivo di una serie di processi paralleli in atto in Russia da oltre un decennio, dove la propaganda putiniana ha sviluppato la capacità di sussumere i punti di vista e le narrazioni del passato più diverse, in una sorta di pesca a strascico: per la sinistra ci sono le bandiere sovietiche, per i nazionalisti le bandiere zariste e per il liberismo autoritario c’è il tricolore del putinismo.

Laçın, Azerbaijan, dicembre 2022.

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Nel dicembre 2022, il corridoio di Laçın, una strada di montagna che rappresentava l’unico collegamento tra l’Armenia e la regione del Nagorno Karabakh è stata teatro di una bizzarra protesta: un gruppo di attivisti ambientalisti azeri ha bloccato il passaggio interrompendo di fatto ogni collegamento tra la regione contesa e il resto del mondo scatenando una crisi sanitaria, alimentare e umanitaria. Formalmente, l’operazione era presentata come una protesta contro lo sfruttamento minerario illegale della regione da parte del governo armeno. Nessuno però ci ha creduto: gli “attivisti ambientalisti” erano in realtà organizzati, finanziati e istruiti dal governo azero, che aveva pianificato tutto. Secondo il giornalista Simon Maghakyan, la decisione del presidente azero Aliyev di utilizzare l’ambientalismo come elemento centrale della sua propaganda anti-armena potrebbe fare scuola: così facendo il presidente “invia un messaggio per cui non c’è una causa troppo sacra da sfruttare e nessuna bugia troppo assurda da pronunciare se permette al leader di rimanere al potere”.

New York, Stati Uniti d’America, ottobre 2023.

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Come nota Daniele Giglioli in Critica della vittime (nottetempo, 2014), “vera protagonista del passato è la soggettività sofferente” – e quindi, nel XX secolo, l’ebreo. Appropriarsi dell’identità e dell’esperienza ebraica durante l’Olocausto è un mezzo retorico sempre seducente. Si spiega così il cosplay dell’ambasciatore israeliano all’ONU Gilad Erdan che, dopo il 7 Ottobre, si è presentato a una riunione del Consiglio di Sicurezza indossando una Judenstern con sopra scritto “mai più” – un gesto definito da Dani Dayan, presidente di Yad Vashem, l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah, “una mancanza di rispetto per le vittime dell’Olocausto e per lo Stato di Israele stesso”.

Pechino, Cina, luglio 2021.

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Soprattutto in seguito al XX congresso del Partito, che ha riconfermato Xi Jinping come segretario per un terzo mandato, la figura del presidente cinese viene spesso accostata, dai media occidentali, a quella di Mao Zedong. Se questo parallelismo in Occidente serve a mettere in luce gli aspetti più autoritari e ideologici di Xi, in Cina è una strategia comunicativa adottata dalla propaganda del Partito comunista cinese che punta ad avvicinare il potere e la statura politica delle due figure. La trasformazione di Xi in Mao è un esempio di cosplay politico, e l’immagine più eloquente è quella di Xi Jinping vestito con la giacca maoista durante le celebrazioni tenutesi a Pechino il 1 luglio 2021 per il centenario del Partito.

Belo Horizonte, Brasile, dicembre 2024.

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Il 4 dicembre 2024 Brian Thompson, CEO dell’azienda di assicurazioni sanitarie UnitedHealthcare, è stato ucciso a colpi di pistola fuori da un hotel a New York. Dopo qualche settimana di latitanza, il killer è stato arrestato in un McDonald’s in Altoona, Pennsylvania, e identificato come Luigi Mangione: ingegnere informatico di buona famiglia che, a quanto pare, si sarebbe radicalizzato sulla questione delle assicurazioni sanitarie dopo un periodo di sofferenze causate da un mal di schiena. Grazie all’odio nei confronti di tutto ciò che la vittima rappresentava (è facile odiare  i CEO delle aziende che fanno profitti sulle malattie delle persone), all’aura di  mistero che ha inizialmente avvolto la vicenda e complice infine il  fascino del killer, presto si è sviluppato un culto della personalità intorno a Mangione. La paura dell’emulazione da parte dei suoi ammiratori però sono state disattese: ad essere replicato non è stato il gesto di Mangione, ma Mangione stesso. In Brasile e a New York sono andate in scena competizioni per sosia, mentre in Cina il look “alla Mangione” è diventato virale.

Buenos Aires, Argentina, marzo 2019.

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Il General Ancap è una sorta di supereroe libertario, nonché l’alter ego del presidente argentino Javier Milei. Ancap è un termine colloquiale usato nei paesi anglofoni come abbreviazione di “anarco-capitalismo”, teoria politica che promuove il completo superamento del concetto di Stato nazionale e di conseguenza di ogni suo coinvolgimento nella vita dei singoli cittadini, intesi soprattutto come proprietari. La bandiera anarco-capitalista è nera (rimando all’anarchia) e gialla (come l’oro, simbolo del profitto capitalistico), e questi sono anche i colori del costume di General Ancap. Il personaggio ha esordito su un palcoscenico nel 2019 durante un convegno di cosplayer a Buenos Aires, in cui Milei ha cantato una canzone sulla crisi economica argentina. Come tutti i supereroi che si rispettino, General Ancap ha una sua parabola avventurosa , raccontata dallo stesso Milei: la sua terra d’origine è la Libera Repubblica di Liberland, una micro-nazione fondata nel 2015 dal politico libertario ceco Vít Jedlička in un’area golenale lungo il Danubio, al centro di dispute territoriali tra Croazia e Serbia. “Vengo da Liberland,” ha detto Milei, nei panni di General Ancap, “un paese dove non si pagano le tasse, un paese che tutela le libertà individuali, dove si crede nell’individuo, un paese dove non c’è posto per i collettivisti figli di puttana che ci vogliono rovinare la vita. La mia missione è prendere a calci nel culo keynesiani e collettivisti bastardi”.

Shanksville, Pennsylvania, Stati Uniti d’America, settembre 2024.

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Dopo lo shock del 2016 prima e del 6 gennaio 2021 poi, la vittoria elettorale di Joe Biden ed il ritorno dei democratici alla Casa Bianca è sembrata finalmente un ritorno alla “normalità”: il malvagio Trump era stato sconfitto, e finalmente gli Stati Uniti potevano riprendere il loro corso. Un’analisi degli anni del bidenismo mostra però come effettivamente le amministrazioni Trump e Biden si siano differenziate principalmente più in materia di diritti civili e nella scelta dello stile comunicativo che nella sostanza dei loro approcci all’economia o alla politica estera. L’economista canadese Pierre Lemieux ha rispolverato un’espressione con la quale nel 1968 si indicava il socialismo riformista del politico cecoslovacco Alexander Dubček e ha parlato di “trumpismo dal volto umano” per riferirsi al disegno politico della sinistra, quasi indistinguibile da quello di destra, che viene però presentato con toni e modi molto diversi. 

Taiwan, ottobre 2019.

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Nel gennaio 2020, quando è stata eletta al Parlamento taiwanese tra le file del Partito Progressista Democratico, la 27enne Lai Pin-yu risultava la deputata più giovane dell’assemblea. Ma aveva già attirato l’attenzione su di sé durante la campagna elettorale per un motivo diverso da quello anagrafico: la sua passione per il cosplay, completamente integrata con il suo impegno politico. La prima volta che è arrivata alle  cronache nazionali è stato nel 2013, quando per attirare l’attenzione sul controverso piano di demolizione del quartiere Huaguang a Taipei ha protestato vestita da Rey Ayanami, personaggio di Neon Genesis Evangelion. Il cosplay è stato ampiamente usato da Lai anche durante la campagna elettorale del 2020: per promuovere la propria candidatura si è vestita da Asuka Langley Soryu (un altro personaggio di Neon Genesis Evangelion) e Sailor Mars (personaggio di Sailor Moon). Anche una volta eletta ha continuato a fare cosplay: nel 2022 si è travestita da Yor, un personaggio del manga Spy x Family, coinvolgendo per l’occasione anche altri due suoi colleghi politici.

Santiago del Cile, Cile, giugno 2021.

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“Tía Pikachu”, in italiano “zia Pikachu”, è il soprannome che, durante le proteste antigovernative e contro le disuguaglianze economiche scoppiate in Cile nel 2019, è stato dato all’autista di scuolabus Giovanna Jazmín Grandón Caro, per via dell’ingombrante costume da Pikachu indossato durante una manifestazione a Santiago del Cile. La fama di Grandón Caro deriva da un video girato da un manifestante e diventato virale: Tía Pikachu saltella nel suo costume incitata dagli altri manifestanti al grido di “balla, Pikachu!”, inciampa su un marciapiede e cade goffamente sull’asfalto, ma viene subito soccorsa e rimessa in piedi. Dopo la fine delle proteste dovute allo scoppio della pandemia di COVID-19, Grandón Caro è stata eletta all’Assemblea costituente e ha partecipato alla stesura della proposta (poi respinta) di una nuova costituzione per il Cile che sostituisse quella in vigore, risalente ai tempi della dittatura di Pinochet. Eletta nelle fila della Lista del Pueblo, è poi diventata una deputata indipendente e nel 2022 ha anche ricoperto la carica di vicepresidente.

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