Monica Mazzitelli
La pittrice svedese, che anticipò Kandinskij nell'allontanarsi dal figurativo, è morta prima di essere riconosciuta come una pioniera dell'arte moderna. Oggi, il Guggenheim di Bilbao le dedica un’importante retrospettiva, celebrandone il genio e l’approccio radicale alla creatività.
Dobbiamo considerare l’opera pittorica della svedese Hilma af Klint (1862-1944) come uno dei più fortuiti e miracolosi doni ricevuti nella storia dell’arte del Novecento. Per decine di anni (ottanta, nel caso dei primi lavori), la sua prolifica produzione artistica di circa 1.500 opere su carta e su tela, con le relative 25.000 meticolose pagine manoscritte dei suoi quaderni di appunti teosofici, esoterici e filosofici, è rimasta archiviata, ignorata e purtroppo negletta. Dalla morte di Hilma fino agli anni Settanta, poi, era stata immagazzinata in una soffitta esposta a temperature dai -15 ai +45 gradi: sarebbero bastati un cortocircuito o delle infiltrazioni dal tetto per perdere tutto. È solo dal 1972, quando il nipote e erede unico Erik af Klint si è deciso a fondare la Stiftelsen Hilma af Klints Verk [Fondazione per l’opera di Hilma af Klint], che è cominciata la classificazione e la conservazione dell’opera omnia, e possiamo tirare un retroattivo sospiro di sollievo.
L’importanza dell’arte di Hilma af Klint non è solo nell’evidenza più clamorosa – il primato di aver realizzato nel 1906 il primo quadro ascrivibile all’astrattismo, cinque anni prima di Vasilij Kandinskij – ma anche nel suo utilizzo di una palette di tinte pastello che avrebbe trovato la consacrazione nell’arte contemporanea solo a partire dalla pop art.
Nell’immagine di Åsa Lundén per il Moderna Museet: “Le Dieci Più Grandi” n. 2, 3, 5, 5, 6, 7 e 8.
Per Hilma tutto questo non avrebbe avuto alcuna importanza, comunque. Si considerava una profetessa e esercitava l’arte come mezzo di comunicazione di concetti che le arrivavano attraverso canalizzazioni medianiche; la sua vocazione era quella di illuminare l’umanità sulle nuove dottrine legate all’Antroposofia, fondata dal carismatico leader Rudolf Steiner, che Hilma considerò per tutta la vita come Il Maestro. Il suo più grande desiderio mai realizzato era che la serie delle dieci mastodontiche pitture (328cm x 240cm) denominate De Tio Största (1907) [Le Dieci Più Grandi] venisse scelta da Steiner per adornare il tempio antroposofico che stava costruendo a Dornach, in Svizzera. Il paradosso è che Steiner non apprezzò mai la sua pittura, anzi. Quando visitò il suo atelier nel 1908 cercò di dissuaderla dal continuare, affermando che ci sarebbero voluti almeno cinquant’anni prima che il pubblico potesse comprendere e apprezzare il suo lavoro. Un verdetto così lacerante che af Klint abbandonò la pittura fino al 1912, maturando al contempo la decisione di non esporre mai più le sue opere astratte se non a un pubblico di iniziati.
Una sentenza a metà tra una maledizione e una profezia, quella di Steiner: è solo da qualche anno che Hilma, infatti, ha trovato finalmente un posto nelle sedi più selettive dell’arte moderna, raggiungendo la consacrazione. Tra il 2018 e il 2019, una mostra a lei dedicata fece registrare il più alto numero di visitatori – 600.000 – nella storia del museo ospitante, il Solomon R. Guggenheim di New York.
Ora, af Klint è di nuovo al Guggenheim (stavolta nella sede di Bilbao) che le dedicherà fino al 2 febbraio 2025 una ricchissima retrospettiva, comprensiva anche di Le Dieci Più Grandi (1907), le sue opere più famose dipinte per rappresentare l’evoluzione dell’esistenza umana, divise nelle quattro fasi della vita: L’Etá dell’Infanzia [Barnaålder, n. 1 e 2], L’età della giovinezza [Ynglingaåldern, n. 3 e 4], L’Età matura [Mannaåldern, n. 5, 6, 7 e 8], e La vecchiaia [Ålderdomen, n. 9 e 10].
Ma nonostante i riconoscimenti postumi accordati a af Klint siano sempre più eclatanti, la sua produzione artistica viene ancora presentata come “fantasiosa” e “innovativa”, senza fare riferimento al processo di esecuzione in modalità “pittura automatica” (analoga a quella della scrittura automatica) che af Klint descrive già nel 1906, ovvero una canalizzazione medianica in cui il medium ricevente si limita a eseguire istruzioni impartite per via trascendentale. All’inizio Hilma esercitò questa pratica insieme a altre quattro donne, costituite nel gruppo segreto De Fem [Le Cinque], e anche le altre contribuirono in parte all’esecuzione de Le Dieci Più Grandi; successivamente, sciolto il gruppo, Hilma continuò a dipingere in modalità di pittura automatica diretta, facendo lei stessa da medium.
“Dobbiamo considerare l’opera pittorica della svedese Hilma af Klint (1862-1944) come uno dei più fortuiti e miracolosi doni ricevuti nella storia dell’arte del Novecento”.
Questa della trascendenza è sicuramente una tematica difficile da presentare al pubblico del mondo dell’arte e della cultura, forse il più secolarizzato della nostra società. Infatti, molti studiosi e storici hanno cercato di giustificare il salto pittorico di af Klint persino con ragioni psichiatriche. Fino al 1906, Hilma era stata una pittrice dallo stile elegante ma senza grande personalità. Era apprezzata come ritrattista ma guadagnava soprattutto dai lavori di disegno di soggetti dal mondo animale e vegetale, che eseguiva con meticolosità düreriana. È difficile comprendere come lei abbia fatto un improvviso balzo estetico nel futuro, producendo in poche settimane tutta la serie de Le Dieci Più Grandi, senza realizzare alcun bozzetto ma stendendo “con mano ferma e sicura i colori” direttamente sugli immensi rotoli di carta “senza dover correggere mai neanche una pennellata”, come scrive nel suo zibaldone di appunti.
Chi ha reso giustizia a af Klint nella sua interezza è stato il Moderna Museet di Stoccolma, intitolando la grande retrospettiva del 2012 Hilma af Klint, pionjär, förskare, medium [Hilma af Klint, pioniera, ricercatrice, medium], e ospitando nel catalogo non solo testi di critica ma anche articoli e interviste a esperti di teologia, esoterismo, fisica teorica e spiritualismo. “So per certo di essere un atomo nell’universo con accesso a infinite possibilità di sviluppo” scriveva Hilma nei suoi quaderni. Amava la fisica, la geometria e la matematica, e nei dipinti ha rappresentato le scoperte scientifiche dell’epoca.
Leggere i suoi quaderni è un’impresa complessa che lascia scontenti i curiosi di aneddoti privati: Hilma ha fatto ombra sugli aspetti personali, arrivando non solo a bruciare carteggi, foto e diari, ma persino chiedendo alla sua cerchia amicale di restituirle tutto ciò che la riguardava, per incenerirlo. Un’esigenza maniacale di oscurare la sua persona che, oltre al dichiarato esercizio di umiltà, nasconde soprattutto il timore che certi comportamenti più spontanei e liberi del suo passato emergessero, a cominciare dalla sua quasi certa omosessualità, vissuta inizialmente attraverso la lunga relazione con Anna Cassel – anche lei talentuosa pittrice e membra del gruppo De Fem – che per anni è stata sua mecenate oltre che compagna.
Sul tema della sessualità, af Klint è in conflitto con sé stessa. Nel suo zibaldone dice che bisognerebbe scrivere un “quinto Vangelo” interamente dedicato all’armonia degli opposti, espresso come una dinamica tra maschile e femminile; una dialettica che ha la sua risoluzione spirituale nelle figure degli angeli, che non hanno sesso. È infatti costante nelle sue opere la narrativa del conflitto-tensione tra la forza maschile e quella femminile, che sono di facile individuazione lungo tutto il suo lavoro dato che sono esplicitate sempre con la stessa simbologia. L’energia maschile, espressa simbolicamente dalla forma fallica del triangolo, è indicata sia dal colore giallo (associato al terzo chakra) sia dal nero, e esprime la forza del pensiero; l’energia femminile si riflette invece nella forma ovarica del cerchio, nei colori azzurro (associato al quinto chakra) e bianco, e rappresenta la forza di emozioni e sentimenti. L’antinomia binaria di questi due mondi (che ricorda animus e anima di C. G. Jung) genera il conflitto che fa da motore dinamico dell’evoluzione, il cui fine ultimo è il raggiungimento dell’armonia cosmica che Hilma indica con il rosa, colore dell’amore spirituale spesso rappresentato anche con la forma del quadrato. Anche la chiocciola è un topos ricorrente nei suoi lavori, non solo per la fascinazione della progressione di Fibonacci, o per il fatto che la spirale condensi in sé tanto la forza centrifuga verso l’infinito quanto quella centripeta della ricerca della profondità, ma perché la chiocciola è un animale ermafrodita che, pur contenendo entrambi gli organi riproduttivi, ha bisogno di un altro esemplare per riprodursi. C’è forse in questa metafora animale un senso di celata pace nel conflitto interiore dell’artista con la sua omosessualità, tenuta con forza nascosta (e forse anche poco vissuta nella pratica) e protetta dal suo anelito ascetico.
La personalità di Hilma è complessa e sfaccettata, e nell’appassionante biografia romanzata scritta da Anna Laestadius Larsson dal titolo Hilma – en roman om gåtan Hilma af Klint (2017) [Hilma – un romanzo sull’enigma Hilma af Klint] ne emerge tutta la forza primigenia e testarda. È altrettanto interessante il film Hilma (2022) di Lasse Hallström, il quale durante la lavorazione ha consultato più volte un medium per confrontarsi con lo spirito dell’artista, in modo deliziosamente coerente al personaggio. Ma il lavoro cinematografico più approfondito su af Klint è un documentario della regista tedesca Halina Dyrschka: Oltre il visibile – Hilma af Klint (Jenseits des Sichtbaren – Hilma af Klint, 2019), ricco di sorprendenti spunti di riflessione. Tra gli altri, alcuni accostamenti di opere afklintiane a opere di altri artisti contemporanei o successivi, attraverso i quali Dyrschka rende evidente il pionierismo di Hilma:
Le severe clausole con cui Hilma ha fatto testamento a suo nipote Erik af Klint erano che lui non potesse vendere nessuna delle opere, e che tutti i lavori e gli scritti di ispirazione dottrinale restassero come un corpus unico. Hilma si augurava che venissero finalmente accolte in un contesto antroposofico, e non voleva che si speculasse sulla sua arte dopo la sua morte; aveva rinunciato al guadagno in vita perché considerava il suo lavoro una missione dottrinale.
Il prezzo da pagare è stata una vita di grandi ristrettezze economiche, ma di completa libertà espressiva. Una scelta drastica non aver voluto diffondere il suo lavoro o tornare a dipingere quadri in stile classico per i suoi tanti estimatori del primo periodo. È uno degli aspetti che ha reso lungo e tortuoso il suo cammino fino alla notorietà di oggi, ma che ci fa amare la sua integrità morale. La discussione sulla sua opera si inserisce in un più ampio discorso sull’arte femminile che negli ultimi anni ha subito una profonda inversione di rotta, grazie anche all’encomiabile lavoro delle Guerrilla Girls, il gruppo di anonime artiste femministe impegnato nella lotta contro il sessismo e il razzismo nel mondo dell’arte. Inizialmente, infatti, molti critici hanno tentato di sminuire l’opera di Hilma cercando di svalutarne l’abilità pittorica e il talento artistico anche sostenendo che, dato che le sue opere erano rimaste ignote per decenni, la sua produzione non meritava una riscrittura dei manuali di storia dell’arte. Ma anche se Hilma non ha mai avuto interesse a sgomitare per aggiudicarsi il primato dell’astrattismo, ciò non toglie che questo primato sia suo, e che i manuali vadano aggiornati, come sostiene la studiosa Julia Voss.
“Nell’epoca che sta arrivando alla sua conclusione, il potere è stato in mano agli uomini. In quella che sta per arrivare, saranno le donne a condurre”.
(Hilma af Klint)
Bibliografia selezionata:
Saggi:
Hilma af Klint: konstnär, forskare, medium, AAVV;
Hilma af Klint – »Die Menschheit in Erstaunen versetzen«: Biographie, Julia Voss;
Hilma af Klint – Att se är att inse, AAVV;
Hilma af Klint: Ockult målarinna och abstrakt pionjär, Åke Fant;
Hilma af Klint – Konsten att se det osynliga, Gary Lachman et alia;
Hilma af Klint, Daniel Birnbaum et alia;
Anna Cassel: The Saga of the Rose, Kurt Almqvist, Daniel Birnbaum.
Romanzi:
Hilma – en roman om gåtan Hilma af Klint, Anna Laestadius Larsson.
Al Museo Guggenheim di Bilbao è sta inaugurata una mostra dedicata a Hilma af Klint, curata da Lucía Aguirre e Tracey R. Bashkoff, e visitabile fino al 2 febbraio del prossimo anno.
Monica Mazzitelli
Monica Mazzitelli è una regista e scrittrice italiana che vive a Göteborg (Svezia). Il suo libro più recente è Michelina Di Cesare – Briganta (Lorusso Editore, 2019; 2023).
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