Leggere Rachel Bespaloff per fermare il tempo - Lucy
articolo

Cristina Guarnieri

Leggere Rachel Bespaloff per fermare il tempo

03 Luglio 2024

Figlia di ebrei ucraini, musicista di formazione e priva di titoli accademici, Rachel Bespaloff non pareva certo destinata alla filosofia. Ma quando giunge a Parigi nel 1919, scuote il mondo intellettuale con la forza e l'originalità delle sue idee. Dopo la partenza negli Stati Uniti per sfuggire al nazismo e la morte prematura, la sua voce si è persa nelle pieghe degli anni; oggi è stata riscoperta, ed è più vibrante che mai.

Nel ritratto dei suoi contemporanei, Rachel Bespaloff appare come una donna tutta udito: “Ascoltava con tutta la sua persona: con le mani, con le labbra, con lo sguardo” racconta lo storico Daniel Halévy. D’altronde, era tra le allieve più brillanti di Lev Šestov, l’inquieto filosofo russo che concepiva la filosofia come pratica dell’ascolto: 

“Le cose più importanti, le più necessarie, non possono essere viste: si possono solo sentire. I misteri dell’essere sono silenziosamente sussurrati solo a colui che sa, al momento giusto, ascoltare con tutto sé stesso”.

Il corpo esile, slanciato, e il portamento elegante tradiscono la sua formazione di ballerina. Rachel si diploma in euritmica alla scuola di Jaques Dalcroze e in virtuosismo al Conservatorio, dove eccelle come pianista e direttrice d’orchestra. In Svizzera studia anche filosofia, letteratura e lingue. Colpivano in lei la finezza dello spirito e l’intelligenza viva, una grazia singolare che incantava chiunque la incontrasse. “Nessuna foto è mai riuscita a renderla, poiché lei aveva i tratti essenzialmente mobili, a immagine del movimento incessante e inafferrabile della vita” scriveva di lei un amico d’infanzia. Gabriel Marcel notava nel suo sguardo “una radiosità d’altrove sempre più dolorosa”. Malinconia e luce vi convergevano. Questa dualità si ritrova nel suo modo di pensare, tra abisso e incanto, tra angoscia e ricerca di un istante di felicità.

Figlia di due ebrei ucraini molto colti – il padre medico dello zar e fervente sionista, la madre laureata in filosofia –, era nata in Bulgaria nel 1895. Pochi anni dopo, la famiglia si trasferisce a Ginevra. Lì coltiva il suo talento per la musica e la danza. Nel 1919, alla fine della Prima guerra mondiale, va in Francia. È un colpo di fulmine: a Parigi si sente per la prima volta a casa. 

Vivrà nella capitale durante gli anni Venti, al crocevia di incontri che saranno per lei decisivi. Un cenacolo di intellettuali, che diventeranno i suoi amici più stretti. All’Opéra Garnier insegna musica ed euritmica per tre anni. Nel 1922 smette di lavorare e sposa Shraga Nissim Bespaloff, uomo d’affari ucraino socio del padre. A 27 anni già un passato intenso: la danza, il pianoforte, la direzione d’orchestra, l’insegnamento della letteratura francese in un college per ragazze, gli studi universitari, la migrazione fra lingue diverse. Presto arriverà anche “Miette”, la figlia tanto amata.

La vita in famiglia, malgrado le difficoltà, non le impedisce di studiare e di scrivere. Ha una cultura vastissima. Durante la notte riempie fogli di calligrafia fittissima e commenta Nietzsche, Kierkegaard, Julien Green e André Malraux, Gabriel Marcel e Benjamin Fondane. A salvare quelle carte è il marito, che le porta di sotterfugio ad Halévy aprendole così le porte del mondo. E il mondo è pronto ad accoglierla. Jacques Maritain, Charles du Bos, Jean Wahl, rapiti dalla raffinatezza speculativa di questa slava sconosciuta, pubblicano i suoi saggi sulle migliori riviste dell’epoca. Così, questa ritmica votata alla musica fa il suo ingresso ufficiale nella scena filosofica francese. Anni dopo, Halévy dirà che Rachel aveva attraversato la vita di alcuni filosofi parigini come una “linea di fuoco”. Una donna in un mondo fatto prevalentemente di uomini. E per di più: una donna priva di titoli.

Il 1930 è un anno difficile. Il padre muore. Rachel è costretta a trasferirsi con il marito, la figlia, la madre e la nonna malate nel Sud della Francia. Un primo esilio, malinconia infinita. La vita di provincia non fa per lei. Si rifugia nella musica. Solo quando suona la grande fuga in Si minore del Clavicembalo temperato di Bach l’esistenza le pare tollerabile. Cerca riparo anche nella natura. L’acqua del mare, la luce (è la luce di Cézanne, incomparabile, unica, della Costa Azzurra), gli alberi, l’incipiente primavera sono le risorse a cui si aggrappa per non deperire. Al disastro imminente oppone la forza di un’avversativa. 

Eppure, vi è qualcosa, qui, che non posso descrivere ma cui pure tengo. Una purezza, una secchezza della materia, una sorta di perfezione liscia nella grana del cielo e del mare – come se tutte le scorie, tutte le rugosità dell’esistenza fossero, per miracolo, soppresse – una lunga, infinita risonanza della luce che al contempo ti rapisce e ti restituisce a te stesso. Mio marito, lui, ritornerà a Parigi […]. Per il momento, è meglio fare come suo padre, che pianta alberi da frutto nella bella terra di Francia. Un albero, questo esiste”.

Perduta Parigi, cosa la tiene? Lo sciabordio del mare, il miracolo dei mandorli, l’abbondanza delle corolle, l’imperturbabilità di giunchiglie, narcisi, giacinti azzurri. Nella fioritura della primavera cerca una speranza. 

“Ci sono momenti in cui gli anemoni e “il sole brilla” mi sembrano più importanti delle nostre sventure e di questa poco rispettabile argilla umana. Soltanto dei minuti”.

A una sensibile poetica dell’istante affiderà, nel suo pensiero, la possibilità della redenzione. Al tempo come durata, dove si scatenano le forze della storia, Rachel contrappone l’istante, la “tregua sacra” che sospende il meccanismo della violenza, l’evento dell’incontro in cui gli esseri umani ritrovano la possibilità di costruire la pace.

Più il nazismo avanza, più Rachel oppone al dinamismo delle armi il dinamismo della primavera. Quando i venti di guerra spireranno più forti, la campagna che porta frutto diventerà per lei metafora di giustizia. Nel 1938, infatti, comincia a scrivere il suo memorabile commento all’Iliade, dove paragona la giustizia a un “frutto della terra fecondata”. La giustizia – scrive – nasce su un certo suolo, in un tempo e in uno spazio precisi; si sviluppa poi sotto altri climi; ma, universalizzandosi, non diventerà mai “una costruzione della ragione astratta, applicabile uniformemente in tutti i luoghi e in tutti i tempi. Trapiantata, dovrà ripetere la sua crescita e la sua maturazione”. Ciascuno di noi è responsabile del suo rinnovamento, proprio come ogni contadino è responsabile della propria terra. 

“A una sensibile poetica dell’istante affiderà, nel suo pensiero, la possibilità della redenzione. Al tempo come durata, dove si scatenano le forze della storia, Rachel contrappone ‘l’istante'”.

A tenerla viva sono anche le lettere che giungono da Parigi, i legami con gli amici della capitale. “Forse bisogna essere privati quasi di tutto ciò che si ama per conoscere il valore di una parola amichevole”. La parola dell’amicizia, il tempo dell’incontro, costituiranno per lei, soprattutto negli anni dell’esilio americano, un tema ricorrente. 

1938. Annus terribilis. L’Europa assiste impotente all’annessione dell’Austria. Cede i Sudeti a Hitler: 

“Trovo indecente lo spettacolo di queste folle che applaudono gli uomini che portano loro la pace di Hitler, le condizioni dell’armistizio di Hitler. […] È scandaloso che la sventurata Cecoslovacchia debba assistere al giubilo del mondo mentre la stanno smembrando…”. 

Rachel trema nella Notte dei Cristalli. La vita sembra trasformarsi in un’allucinazione. La difesa del popolo ebraico, l’esigenza di giustizia, la rivendicazione sionista di una terra per il suo popolo la impegneranno in una virulenta controversia con Halévy. Lo storico francese invitava gli ebrei di Francia alla moderazione e raccomandava il silenzio. Sosteneva che gli ebrei avrebbero dovuto essere grati alla Francia che li aveva accolti e, per questo, tacere. Rachel risponde con toni implacabili. “Nessun ebreo, oggigiorno, può ignorare che in qualsiasi luogo, a qualsiasi ora, può capitargli il peggio”. Scaglia un j’accuse contro l’inerzia dei cristiani, contro la vigliaccheria di chi non leva la propria voce in difesa degli ebrei, e smaschera la retorica di chi celebra il culto della diaspora: 

“Riconosco in questo la vostra tattica secolare: ci strappate dalla terra e ci accusate di essere degli sradicati, ci condannate a condizioni di esistenza degradanti e ci rimproverate le carenze che esse generano. Al tempo stesso vi lamentate del nostro esclusivismo, della nostra capacità di adattamento – ma sono le sole armi che ci lasciate nella lotta”. 

Dissociandosi dall’ostentazione dei popoli-martiri, rivendica con decisione il diritto ebraico a una terra. Ma che tipo di nazione Israele deve incarnare? Alle identità muscolari e al culto della forza Rachel risponde con la voce dei profeti: “L’al di là del nazionalismo, è in Isaia che lo trovo”.

Maggio 1940. La Francia viene occupata dai nazisti. Il marito la incalza a partire. Ma come chiedere a un animale à coquille di abbandonare il proprio guscio? Si oppone. Confida negli intellettuali francesi, chiede loro di pronunciarsi in modo esplicito, di assumere una postura etica risoluta, un’etica del dire

“Oggi più che mai ci sono delle parole molto urgenti da dire, veramente indispensabili, veramente pressanti […] – abbiamo bisogno di qualcosa di più resistente, di più sostanziale di questo scatenamento di collera effimera e di indignazioni prive di domani”. 

Si domanda, turbata, se la coscienza e il pensiero abbiano ancora un valore. 

“Ci sono dei momenti in cui questo lavoro speculativo mi appare veramente urgente, indispensabile; altri, al contrario, in cui non ne vedo che l’inanità, in questa schiacciante vigilia della catastrofe che è diventata la vita… Mi sembra che il pensiero non potrà far altro che inclinarsi davanti a questo inflessibile e universale regolamento di conti che non risparmia nulla di ciò che amiamo”. 

La Storia precipita. La guerra è ormai inevitabile. “Può darsi che la vera vita ricominci da qualche parte, al riparo degli sguardi e delle parole, laddove noi non possiamo scoprirla e neppure sospettarne la nascita”. È l’invincibile speranza ebraica, che in lei resiste finché non è costretta all’esilio definitivo.

Nel 1942 si imbarca dal porto di Marsiglia, alla volta di New York. La vita oltreoceano le risulta difficile. Gli americani, che pure sente generosi e ospitali, non conoscono la profondità delle contraddizioni umane, né il dolore, né la morte. 

“L’ostacolo qui, in questo grande e, per molti rispetti, mirabile paese, è il superficiale. È ovunque come una muraglia liquida. Paese individualista […] Paese in cui persino l’amore è standardizzato, dove tutte le ragazze flirtano allo stesso modo”.

Patisce il conformismo americano. Le sembra sempre più necessario il non-conformismo degli spiriti liberi di Francia, a cui resta attaccata in mille forme. Al Mount Holyoke insegna Letteratura francese. Le sembra di prostituirsi – nel senso baudelairiano del termine – tentando di servire Pascal, Corneille, Racine come “piatto del giorno per dei piccoli gentili americani”. 

La vita riprende slancio solo d’estate, quando accorrono al college gli intellettuali d’Europa per le decadi di Pontigny-en-Amérique. Hannah Arendt, Jacques Maritain, Jean Wahl, Anaïs Nin. Qui Rachel discute, si anima, respira. L’incontro con Sartre è una boccata d’ossigeno: “Che gioia, in questa facoltà sonnolenta, ritrovare un uomo vivo, un simile, ascoltare questa bella voce francese, intelligente, incisiva”. Scriverà poi pagine sferzanti contro il dogmatismo di Essere e nulla. A lui preferirà sempre Camus, che non si lascia imprigionare in un sistema.

“Nel 1942 si imbarca dal porto di Marsiglia, alla volta di New York. La vita oltreoceano le risulta difficile. Gli americani, che pure sente generosi e ospitali, non conoscono la profondità delle contraddizioni umane”.

Per il resto, conduce una vita da “sonnambula”. Lavora, si prende cura della madre malata, della figlia, del marito. La vita a South Hadley, un luogo desolato nel cuore del Massachussets, è angusta, le condizioni economiche ai limiti della sostenibilità. In una lettera del 1945 al musicologo Boris de Schloezer racconta lo stato di prostrazione in cui si trova (“perdo di vista me stessa e mi ricordo di esistere solo per la mia stanchezza”). Il terrore della disoccupazione grava sulla sua esistenza e la espone a un’incertezza radicale.

1° febbraio 1947, il trauma. Il marito muore solo, su un taxi di New York, per un’embolia. Per Rachel è l’inizio della fine.

14 maggio 1948. David Ben Gurion proclama la nascita dello Stato d’Israele. Per un momento Rachel esulta, è grata di aver vissuto la disfatta di Hitler e di aver assistito al sorgere del nuovo Stato: 

“Io dico che la creazione di Israele è una risposta a sei milioni di morti, e che questa risposta è buona […]. Forse Israele deve guardarsi dal nazionalismo più di ogni altro popolo, perché ne ha sofferto più di chiunque. Dico solo che sottomettendosi alla prova della storia, assumendo il duro compito di popolare un deserto, il popolo ebraico compie un atto di coraggio. Credo, inoltre, che la posizione pericolosa e sempre minacciata che Israele occuperà tra l’Occidente e l’Oriente può trasformarsi in beneficio sia per sé che per i suoi vicini”.

Il giubilo, però, dura poco. Quando la figlia se ne va a Harvard, arriva il crollo definitivo. Il 6 aprile 1949 si suicida con il gas, portando nel suo gesto estremo anche la madre. Le studentesse e i colleghi sono senza parole. “Potremo mai capire cosa ha portato Rachel Bespaloff a distruggersi nel pieno successo della sua carriera a Mount Holyoke?” si chiede il direttore del dipartimento di Letteratura francese. 

“Conserviamo soltanto il ricordo della sua grandezza, del suo fascino, di tutto quello che ne faceva un’amica insostituibile […]. Conserverò preziosamente il ricordo di ciò che lei fu, e non di ciò che fece”.

Per decenni la voce di Rachel cade nell’oblio. Bisognerà aspettare il 2003 per tornare a sentirla, grazie alla riscoperta di Monique Jutrin e all’editrice Claire Paulhan, che pubblica le Lettres à Jean Wahl

La nostra epoca incontra finalmente questa donna inclassificabile che credeva nella poesia, nella musica, nell’atto creatore. Nel 2004 la casa editrice Allia pubblica il suo saggio sull’Iliade. Lo stesso anno Mario Bertin lo fa tradurre in italiano per Città Aperta. È la sua prima apparizione nel nostro Paese. Seguiranno, nel 2007, la monografia di Laura Sanò e, nel 2013, il primo sensibile ritratto di Nadia Fusini in Hannah e le altre. Intanto, nel 2012 la casa editrice Castelvecchi ripubblica l’Iliade. Sembrava dovesse finire lì. Ma su impulso di Pietro D’Amore, editore audace in un mercato sempre più omologato, prende forma nel 2022 un progetto editoriale che raccoglie tutti gli scritti di Rachel Bespaloff in 4 volumi. Un’opera corale da me curata insieme a Laura Sanò e Claude Cazalé Bérard, con il contributo essenziale di Monique Jutrin (i primi due volumi: L’eternità nell’istante e La sfida della libertà).

“La nostra epoca incontra finalmente questa donna inclassificabile che credeva nella poesia, nella musica, nell’atto creatore”.

L’8 giugno Rachel ha fatto ritorno nella sua Sion. L’École Normale di Parigi, infatti, le ha dedicato una giornata di studi per volontà di Danielle Cohen-Levinas e Jean-Claude Monod: il primo omaggio ufficiale da parte della Francia. Princeton University Press prepara intanto un’antologia di scritti a cura di James Porter. E poi le università di Vienna, Berlino, Amsterdam, New York parleranno di questa filosofa raffinata, che non ha trovato per sé una soluzione all’esistenza, ma ci lascia una scrittura poetica che celebra la libertà, la creazione e, malgrado tutto, l’amore per la vita.

Cristina Guarnieri

Cristina Guarnieri è filosofa e direttrice editoriale di Castelvecchi. Ha co-curato i primi due volumi degli scritti di Rachel Bespaloff, L’eternità nell’istante e La sfida della libertà (Castelvecchi 2022 e 2023).

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