Luigi Nono, avanguardia e rivoluzione - Lucy
articolo

Federico Sardo

Luigi Nono, avanguardia e rivoluzione

In collaborazione con

30 Settembre 2024

Nono è stato un compositore sperimentale, innovativo, politicamente impegnato, spesso incompreso. A cento anni dalla nascita, è il momento di riscoprire vita e opere di uno dei musicisti più importanti del Novecento.

Nel febbraio del 1975, al Palazzo dello Sport di Roma, migliaia di persone assistono a una manifestazione che si intitola “Musica per la libertà”, organizzata dalla Federazione Giovanile Comunista.

Tra gli applausi e i pugni alzati del pubblico, si sono già esibiti gli Inti Illimani, gruppo cileno rifugiato in Italia dopo il golpe nel loro Paese, e altri idoli della sinistra italiana del tempo: i cantautori Paolo Pietrangeli (autore della popolarissima “Contessa”), Ivan Della Mea, e Giovanna Marini (che aveva scritto pochi anni prima la storica “I treni per Reggio Calabria”), tutti appartenenti al gruppo del Nuovo Canzoniere Italiano; in seguito sarebbero saliti sul palco il jazzista Giorgio Gaslini e Gian Maria Volontè per alcune letture. Ma prima è il momento di Luigi Nono. Il compositore racconta di un viaggio nel Portogallo della rivoluzione dei garofani e poi fa ascoltare un suo lavoro di vent’anni prima: Il canto sospeso basato sulle Lettere di condannati a morte della resistenza europea, pubblicate nel 1954 da Einaudi, e dedicato ai partigiani morti per la libertà. È una composizione per soprano, contralto e tenore solisti, coro e orchestra. I testimoni raccontano che, armeggiando con dei magnetofoni, Nono facesse partire dei suoni strani, incomprensibili. 

Nonostante giochi apparentemente “in casa”, di fronte a un pubblico ben disposto, dopo pochi minuti di allibito silenzio parte un fischio, poi due. Nono prosegue. Quando tutto il palazzetto è una selva di fischi, il Maestro si interrompe. Blocca la musica e nel silenzio, da solo, guadagna il centro del palco e prende il microfono. Affronta a viso aperto la platea. Inizia un lungo discorso:

“Compagni”, dice, “c’è un fatto culturale e politico di grande importanza. Mi rendo conto del perché dei fischi e mi rendo conto anche di una certa difficoltà, ma noi comunisti dobbiamo essere convinti e coscienti che dobbiamo usare tutti i mezzi a disposizione della cultura […] Non solo le chitarre, dalle chitarre ai canti politici alla musica elettronica alla musica strumentale; e non abbandonarci a facili trionfalismi né a semplicismi politici nei testi. La cultura comunista è un fatto serio, un fatto che impegna: come dice Gramsci, la grande intelligenza può essere difficile, ma ricordatevi che abbiamo bisogno di tutta l’intelligenza nostra e di tutti i mezzi a disposizione se vogliamo realizzare l’egemonia culturale della classe operaia”.

Ivan Della Mea, rimasto tra il pubblico dopo essersi esibito, ricorderà così la reazione dell’arena: “Si alzano in piedi alcuni ex zufolanti, in piedi commossi cominciano ad applaudire e io ora non posso proprio dire come proseguì l’intervento pieno di cuore e di mente di Luigi Nono e non posso dirlo perché tutti si alzarono in piedi e applaudirono e levarono i pugni e sventolarono le bandiere: non so se per la musica, certo per la forza morale di Luigi Nono che a muso duro e con la voce forte eppur trepida per l’emozione ci disse di che cosa abbisognava il comune partito”. 

Nato a Venezia nel 1924, Luigi Nono frequenta l’arte e la cultura sin da bambino: la madre e il padre ingegnere, appartenenti alla borghesia antifascista della città veneta, sono pianisti amatoriali, il nonno un pittore, il fratello del nonno uno scultore. Luigi stesso a dodici anni, già abituato ad assistere a concerti alla Fenice o alla Biennale e a leggere i libri della biblioteca dei genitori, comincia a prendere lezioni private di pianoforte, ma si annoia presto. È a diciassette anni che, attraverso il padre, incontra Gian Francesco Malipiero, tra i compositori più importanti dell’epoca. Mentre comincia a frequentare in prima persona socialisti e oppositori del regime, con Malipiero studia Monteverdi e la musica rinascimentale, e soprattutto scopre la musica di avanguardia del tempo, attraverso autori come Bela Bartok, Igor Stravinskij e Arnold Schönberg. Fa anche amicizia con Bruno Maderna, poco più grande di lui e all’epoca più preparato musicalmente, che per tutta la vita considererà un maestro.

“Nato a Venezia nel 1924, Luigi Nono frequenta l’arte e la cultura sin da bambino: la madre e il padre ingegnere, appartenenti alla borghesia antifascista della città veneta, sono pianisti amatoriali, il nonno un pittore, il fratello del nonno uno scultore”.

“Ho incominciato, come tutti quanti, al conservatorio, a Venezia. Lì ho studiato per sei anni, poi dopo sei anni ho conosciuto Bruno Maderna. E Bruno Maderna mi ha mostrato che tutto quello che io stavo studiando lì al conservatorio era molto dilettantesco. […] L’ho mollato dopo sei anni; ho fatto l’ultimo esame che è di contrappunto e fuga, e poi l’ho mollato completamente; quindi non l’ho terminato. Ma direi che lo studio del conservatorio per me è negativo totalmente”.
Altro nome fondamentale tra gli incontri della formazione del compositore è quello di Luigi Dallapiccola, un vero punto di riferimento per il giovane Nono. Fu proprio un commento non molto positivo ma incoraggiante di questi alla prima partitura di Nono (Discesa di Cristo agli inferi) che lo spinse a rimettersi in discussione e a studiare ancora più duramente.

Nel 1950, dopo aver cominciato a maturare la convinzione che la musica dovesse incidere politicamente sullo sviluppo sociale, Nono compone il suo primo lavoro per orchestra, una variazione su una partitura di Schönberg dedicata a Napoleone e ispirata a un testo di Byron sulla tirannide, che lo porta a debuttare ai mitici Internationale Ferienkurse für Neue Musik di Darmstadt, vero e proprio punto di riferimento per la musica d’avanguardia e luogo d’incontro per i giovani compositori più interessati alla sperimentazione. Qui respira da vicino la musica dodecafonica e trova un nuovo maestro in Edgar Varèse, oltre a conoscere artisti come John Cage, Pierre Boulez o Karlheinz Stockhausen. Nei suoi dieci anni a Darmstadt, prima come allievo e dal 1957 anche in veste di insegnante, Nono presenterà numerose opere (citiamo l’Epitaffio per Federico Garcìa Lorca I. España en el corazón del 1952 o La victoire de Guernica del 1954) che lo fecero accostare al serialismo, poi abbandonato, in polemica, nel 1959. Era stato lui stesso a ideare il termine “scuola di Darmstadt”, ma dopo anni di discussioni, stimoli e litigi, prevalse l’idea di rompere: Nono, pur avendo frequentato con passione la città tedesca, non voleva rinchiudersi nel mondo della speculazione teorica musicale, e negli stessi anni si appassionava allo studio della rivoluzione d’ottobre, alla repubblica di Weimar, ai testi di Gramsci, al pensiero di Sartre, alle opere di Neruda, Pavese e Ungaretti (con il quale intraprese anche una corrispondenza, durata dal 1950 fino al 1969 – un anno prima della morte del poeta – pubblicata dal Saggiatore nel volume Per un sospeso fuoco). Polemizzava quindi sia con l’eccesso di formulaicità di Stockhausen che con la musica aleatoria, affidata al caso, di John Cage: in entrambe le tendenze vedeva idee di musica troppo distanti dal presente, dalle prese di posizione, dall’impegno per uno sviluppo sociale calato nella Storia. Si tratta di questioni che resteranno alla base della musica di Nono per tutta la vita. 

Negli anni Cinquanta già comincia a basare i testi delle sue opere su alcuni degli autori che sta leggendo, o come abbiamo già menzionato su Garcìa Lorca e sulle lettere dei partigiani morti durante la Resistenza nel Canto Sospeso. Iscritto al PCI dal 1952, e dal 1975 membro del Comitato Centrale, Nono viaggia molto, e scopre l’Europa dell’Est nel 1958, l’Unione Sovietica nel 1963, poi il Cile, Cuba e l’Argentina, partecipa alle lotte operaie e ai movimenti studenteschi del Sessantotto, e tutte queste esperienze, che si tratti dei suoni concreti della fabbrica in La Fabbrica Illuminata (1952), dei rumori della vita quotidiana in Contrappunto dialettico alla mente (1968) o dei suoni delle rivolte in Non consumiamo Marx (1969) finiranno con il tempo per entrare di prepotenza, fisicamente, a far parte della sua musica.

Già Il canto sospeso, uno dei suoi primi lavori importanti, unisce l’impegno tematico alla ricerca sonora attraverso la scomposizione del testo in fonemi. È lo stesso Nono a ricordarlo (da un colloquio con Hansjörg Pauli, raccolto nel volume Luigi Nono, La nostalgia del futuro, Scritti e colloqui scelti 1948-1989, edito dal Saggiatore, dal quale provengono tutte le citazioni dirette di questo articolo, dove non segnalato diversamente): 

“Avevo sviluppato un nuovo stile corale, avevo innanzitutto suddiviso le parole in sillabe, spesso in singoli fonemi e li avevo lasciati vagare per l’intera parte corale. I critici e gli interpreti si erano appena abituati così bene alla composizione puntuale, che videro nel mio trattamento del testo un altro elemento di isolamento degli avvenimenti acustici. Questo era ciò che si poteva leggere in proposito dopo l’esecuzione a Colonia. Io avrei, si diceva, arbitrariamente distrutto il testo, lo avrei voluto neutralizzare o tener nascosto per pudore. Invece si trattava di qualcosa di completamente diverso. Io volevo una costruzione melodica orizzontale che abbracciasse tutti i registri; una fluttuazione da fonema a fonema, da sillaba a sillaba: una linea a volte costituita da una successione di singole note o singole altezze, a volte addensata in fasce sonore”. 

La critica più illuminata sottolineava la novità quasi assoluta di una sintesi tra la durezza dell’avanguardia e una forte spinta etica ed emotiva, ma la ricerca di Nono era solo all’inizio. Una delle sue opere più importanti, e un altro passo nella sua evoluzione, è una “azione scenica” nella quale inserisce tutte le idee maturate fino a quel punto per un teatro musicale, Intolleranza 1960, realizzata con la collaborazione scenica dell’amico Emilio Vedova, pittore ed ex partigiano. Il protagonista dell’opera è un emigrante che si ritrova a essere testimone di varie aberrazioni dei nostri tempi come lo sfruttamento sul lavoro, la vita in fabbrica, gli arresti e le torture dopo una manifestazione di piazza e la realtà di un campo di concentramento. Nei testi slogan politici e citazioni di Brecht e Sartre. La sua prima rappresentazione, il 13 aprile del 1961 alla Fenice, per la Biennale, fu accolta da una contestazione neo-fascista: gli attivisti in sala lanciavano fialette puzzolenti, suonavano fischietti e urlavano, ricevendo a loro volta la contro-contestazione della maggior parte del pubblico in sala, che ne decretava invece il successo.

Luigi Nono, avanguardia e rivoluzione -

Si trattava di un’opera rivoluzionaria non soltanto nel testo, ma anche nell’utilizzo di tecniche sperimentali nuovissime, come il nastro magnetico e gli strumenti elettroacustici. Nel 1960 Nono infatti aveva cominciato (con Omaggio a Emilio Vedova, la sua prima composizione elettronica) a lavorare allo Studio di Fonologia della Rai di Milano, all’epoca molto all’avanguardia, dove realizzò fino al 1979 tutti i suoi lavori per nastro magnetico. L’elettronica fu centrale nel lavoro di Nono, che trovava in essa una inedita libertà creativa, sempre più distante dai generi musicali codificati, abbandonando così definitivamente le tecniche compositive del serialismo e lavorando per strutture. Suoni mai sentiti prima prendevano forma grazie a filtri e oscillatori, e venivano affiancati a voci e strumenti tradizionali, utilizzati però in modo dissonante e non ortodosso. I nastri preregistrati permettevano a Nono di incorporare nelle sue opere suoni concreti e testimonianze di slogan, comizi, o momenti di rivolta nei quali la violenza delle parole si incontrava con quella sonora: cose inaudite se si pensa alle musiche solitamente presentate a quel tempo nei teatri, diversi passi oltre i già ostici sperimentalismi di Darmstadt.

Nel 1964 è infatti la volta di La fabbrica illuminata, per voce e nastro magnetico, altro lavoro in tutti i sensi rivoluzionario: una voce dal vivo interagisce con se stessa su nastro, mescolata a rumori e voci di operai registrati nella fabbrica dell’Italsider di Genova, poi rielaborati elettronicamente.

L’opera fu composta su invito della Rai per il Prix Italia, ma non fu eseguita in quell’occasione perché i testi vennero considerati offensivi nei confronti del governo. Debuttò poi alla Biennale, dove il pubblico potè finalmente apprezzare quell’alternanza tra rabbia e speranza che caratterizza molte opere di Nono: la prima parte del testo infatti è costituita da dure parole di denuncia dello sfruttamento operaio a opera di Giuliano Scabia, alle quali fa poi da contraltare lo sguardo fiducioso in un futuro migliore di un frammento di Cesare Pavese: “Passerano i mattini / passeranno le angosce / non sarà sempre così / ritroverai qualcosa”. 

Tra i Sessanta e i Settanta, Nono comincia anche a lavorare sulla percezione ambientale del suono nelle sale da concerto, sulla disposizione dei microfoni, e su un’idea di opera in divenire, lasciata in bozze che venivano poi man mano rielaborate anche con il contributo degli interpreti, soprattutto dei cantanti. È il caso per esempio di Como una ola de fuerza y luz per soprano, pianoforte, orchestra e nastro magnetico.

In parallelo alla sperimentazione sonora, un’altra caratteristica del suo impegno è quella di cominciare a portare i propri lavori fuori dai contesti solitamente dedicati alla musica colta: nelle università e nelle fabbriche, per coinvolgere il pubblico per il quale sentiva di lavorare nonostante tutte le contraddizioni rilevabili in questo approccio e le critiche che gli venivano mosse. Del resto, se la musica d’avanguardia è per sua natura rivoluzionaria, non poteva che essere quella la colonna sonora del cambiamento.

In questo senso, è significativo riportare un estratto da un dialogo tra Nono e gli operai della Landini Trattori, pubblicato nel 2024 nel Quaderno di RPF Musica/Realtà, Luigi Nono e Claudio Abbado a Reggio Emilia a cura di Roberto Fabbi (Fondazione I Teatri Reggio Emilia), Cronologia a cura di Liliana Cappuccino (Archivio della Fondazione I Teatri di Reggio Emilia).

Nono: “[…] La difficoltà è una cosa che non deve preoccupare minimamente. C’è un modo di avvicinarsi e di ascoltare la musica di tipo istintivo, spontaneo, secondo le abitudini e le consuetudini, e c’è invece una necessità non di avvicinare ma di studiare altri fatti. […] Un senso di questi incontri non è tanto il giudizio bello o brutto, ma di avviare un discorso – un discorso estremamente complesso sul piano dell’analisi, del rapportarsi con fatti nuovi che possono interessare o non interessare ma sono soprattuto da conoscere, e non il tipo di reazione immediato o spontaneo o emotivo. Una delle cose fondamentali della conoscenza della cultura è che il momento emozionale è il primo momento, [..] ma se restiamo lì restiamo al momento, direi, infantile. Perché poi deve intervenite immediatamente – o mediatamente, secondo il problema della difficoltà – il momento razionale: cosa c’è dietro, qui. Mi sembra che questa sia un’attitudine generale verso la vita, non abbiamo solo delle reazioni emotive nei confronti della vita, le abbiamo immediate ma poi vengono mediate dalla conoscenza razionale. È un invito, anche verso la musica, a pensare che è necessario un avvicinamento razionale, perché la musica comunica anche sul piano razionale”.

“La critica più illuminata sottolineava la novità quasi assoluta di una sintesi tra la durezza dell’avanguardia e una forte spinta etica ed emotiva, ma la ricerca di Nono era solo all’inizio”.

Nono, nonostante l’aria severa, in grado di incutere timore sia per la grande intelligenza che per la sua rigidità ideologica (termine, ideologia, che interpretava in senso positivo), amava il confronto, e oltre che con studenti, operai e colleghi, era solito mettersi in contatto con chiunque accendesse il suo interesse.

Da una lunga intervista con Enzo Restagno, riportata alla fine del già citato La nostalgia del futuro

“Recentemente a Berlino ho visto in alcune mostre i quadri di un giovane pittore tedesco, Anselm Kiefer[…]. Ho cercato il suo numero di telefono e l’ho chiamato per dirgli che i suoi quadri mi avevano molto interessato e desideravo conoscerlo. Ci incontreremo.[…]Ricevo spesso lettere di compositori, studenti, giovani: chiedono di incontrarmi e di mostrami i loro lavori. […] Una delle tante cose che ho imparato da Bruno e da Scherchen è aprire sempre più porte, lanciare sempre più ponti. Già Schönberg aveva insegnato in maniera straordinaria che dai giovani e dagli allievi si impara moltissimo. Cerco di ascoltare sempre di più quello che dicono gli altri, di capire quello che c’è di diverso da me nelle loro ricerche”. 

Sempre negli anni tra i Sessanta e i Settanta avvengono anche gli incontri con altri due nomi importantissimi come Claudio Abbado (1965) e Maurizio Pollini (1966), con i quali instaurò da lì in poi un profondo rapporto sia di amicizia che professionale, anche in virtù del comune impegno per portare la musica al popolo: il primo organizzava alla Scala concerti a prezzo ridotto per studenti e lavoratori, mentre il secondo leggeva comunicati politici prima di esibirsi nei teatri e andava a suonare nelle fabbriche occupate.

È proprio ai due amici e colleghi che dedica Al gran sole carico d’amore, la sua seconda “azione scenica” dopo la tanto chiacchierata e dirompente Intolleranza 1960. Considerata forse il massimo punto del “secondo periodo” di Nono, venne presentata a Milano nel 1975, con la direzione di Abbado.

L’opera abbandona l’idea di una struttura narrativa e rappresenta momenti di varie lotte di liberazione, a partire dall’esperienza della Comune di Parigi, fino alla rivoluzione cubana, ma lo fa ancora una volta, come si capisce dal titolo, unendo alle rivendicazioni più strettamente politiche una vena poetica rivolta alla speranza e all’amore, e raccontando il ruolo assunto dalle donne in queste esperienze.

I testi, ancora una volta, incorporano slogan, manifesti, poesie, discorsi di operai, e le parole di autori e attivisti quali Marx, Che Guevara, Fidel Castro, Brecht, Gramsci, Lenin, Pavese, Rimbaud, Rosa Luxemburg e Tania Bunke.

Nel giro di tre mesi, però, tra il 1975 e il 1976, Nono perde sia il padre che la madre, ed entra in un momento di crisi creativa, che definirà in seguito “un silenzio inesprimibile”. 

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Ma contemporaneamente accadono due cose: la prima, in quella che come già abbiamo visto è anche una storia piena di profonde amicizie, proficue dal punto di vista umano e artistico, è lo stringersi dei rapporti con il filosofo Massimo Cacciari, e la seconda è l’abbandono dell’ormai obsoleto Studio di Fonologia della RAI di Milano.

Cacciari lo introduce ai suoi studi di Hölderlin, Rilke, Musil, Nietzsche, dei tragediografi greci e soprattutto di Walter Benjamin, e da lì nasce uno stretto rapporto di collaborazione; mentre l’approdo all’avanguardistico Experimentalstudio della Heinrich-Strobel-Stiftung di Friburgo apre al compositore nuove strade nell’interpretazione elettronica delle sue teorie sonore.

È un periodo in cui, in opere come …..sofferte onde serene… (1976) o Fragmente-Stille, an Diotima (1980), Nono va a lavorare sul silenzio, la sottrazione, le pause, il pianissimo, alternati a vere e proprie esplosioni di suono. Approfondisce anche ulteriormente le nuove frontiere possibili nella resa del suono dal vivo, calcando la mano sull’interazione tra gli interpreti umani, la tecnologia e gli spazi fisici. I temi delle sue opere si fanno meno esplicitamente politici e vanno a concentrarsi maggiormente sull’interiorità e sull’inesprimibilità di quel silenzio cui prima facevamo riferimento, nell’esigenza di far suonare quello spazio reale, materiale, in cui la musica esiste (e in cui gli uomini vivono e lavorano).

Apice di questo periodo è il Prometeo. Tragedia dell’ascolto che realizza appunto su testi di Cacciari tratti da Benjamin, Goethe, Eschilo, Esiodo, Sofocle e altri classici greci, e che viene presentato, con la direzione di Abbado, nella chiesa sconsacrata veneziana di San Lorenzo il 25 settembre del 1984. La scenografia, che punta a una vera e propria scarnificazione della scena, è costituita da una struttura in legno a forma di arca, realizzata da Renzo Piano.

Tutta l’opera è caratterizzata, nella messa in scena, nelle musiche, nell’espressione delle parole, da una sorta di sfida alle tradizionali modalità di rappresentazione: le parole sono decostruite e pressoché incomprensibili, l’immagine è assente, l’idea di musica comunemente intesa anche. È il suono a dover predominare su tutto, portando gli spettatori a sperimentare nuove modalità di ascolto. Dall’origine all’evoluzione dell’umanità, la figura di Prometeo rappresenta la continua ricerca, il movimento costante, e in questo senso si può anch’essa interpretare come quella di un rivoluzionario.

Negli anni successivi, la produzione artistica di Nono continua a indagare le possibilità del suono e il suo rapporto con lo spazio in importanti opere per orchestra come A Carlo Scarpa architetto, ai suoi infiniti possibili (1984), Caminantes… Ayacucho (1987) e No hay caminos, hay que caminar… Andrej Tarkowskij (1987) (titoli, questi, riferiti a una frase letta su un muro di Toledo, che lo colpisce molto: “Caminantes, no hay caminos, hay que caminar”) o in non meno notevoli lavori solisti come La lontananza nostalgica utopica futura (1988-89, dedicato a Salvatore Sciarrino). Continua a scrivere, comporre e lavorare finché, per via di una grave disfunzione epatica, muore a Venezia l’8 maggio del 1990, nella stessa casa alle Zattere dove era nato e aveva abitato tutta la vita. Viene sepolto nel cimitero sull’isola di San Michele dove riposano, tra le altre, anche le spoglie mortali di Igor’ Stravinskij e di Ezra Pound.

“L’opera è caratterizzata, nella messa in scena, nelle musiche, nell’espressione delle parole, da una sorta di sfida alle tradizionali modalità di rappresentazione: le parole sono decostruite e pressoché incomprensibili, l’immagine è assente, l’idea di musica comunemente intesa anche”.

Se John Cage o Stockhausen sono diventati quasi delle icone pop e dei punti di riferimento anche per molti gruppi rock, l’elettronica italiana del secondo Novecento, rappresentata anche da compositori come Luciano Berio e Bruno Maderna, poco ha da invidiare alle avanguardie di qualunque altra parte del mondo, ma è colpevolmente poco nota a livello popolare – soprattutto proprio nel nostro Paese.

Le intuizioni, le sperimentazioni e le innovazioni di Nono, lo posizionano in un ruolo di assoluta eccellenza nella storia della musica, e forse come il compositore italiano più importante del Novecento, eppure i suoi lavori sono poco rappresentati, e i giovani ignorano il suo nome. Se già in vita il suo lavoro si poneva in una posizione irregolare rispetto alle istituzioni italiane della musica classica, almeno all’epoca il suo impegno lo poneva al centro di un dibattito vitale. Ora che quei dibattiti sono pressoché spariti e la sua opera non ha perso un grammo della sua osticità, bisognerebbe probabilmente provare a lavorare di più e meglio per continuare a farne vivere la musica e la memoria.

“Fare musica è intervenire nella vita contemporanea, nella situazione contemporanea, nella lotta contemporanea di classe […] quindi contribuire non solo a una forma di quello che Gramsci chiamava l’egemonia culturale […] ma contribuire a produrre qualcosa per un mondo di provocazione e di discussione. […] Non è solo stare lì chiuso nello studio o sul tavolo o sul pianoforte a scrivere, ma per me è la stessa cosa – scrivere musica o pensare alla musica in uno studio elettronico – lo stesso che partecipare agli scioperi degli operai, agli scontri con la polizia, al picchettaggio davanti a una fabbrica, e quindi non vedo nessuna differenza: è solo un momento, naturalmente, differente”. Luigi Nono, Colloquio su musica e impegno politico con Michele L. Straniero, 1969 in La nostalgia del futuro, Scritti e colloqui scelti 1948-1989 – Il Saggiatore.

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Questo articolo è realizzato in collaborazione con Reggio Parma Festival.

Nel 2024 Reggio Parma Festival ha dedicato e dedica alla ricorrenza dei 100 anni di Luigi Nono alcune importanti iniziative:

13 febbraio 2024, Teatro Municipale Valli, Reggio Emilia

Como una ola de fuerza y luz di Luigi Nono, per soprano, pianoforte orchestra e nastro magnetico, e la Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore op 55 Eroica di Ludwig Van Beethoven. Con la Filarmonica della Scala, diretta da Ingo Metzmacher, con la partecipazione del soprano Serena Sáenz e di Pierre-Laurent Aimard al piano. La regia del suono è curata da Paolo Zavagna.

Quaderno RPF: Musica e Realtà, Luigi Nono e Claudio Abbado a Reggio Emilia, Musica e Realtà, Luigi Nono e Claudio Abbado a Reggio Emilia, n. 1
A cura di Roberto Fabbi (Fondazione I Teatri Reggio Emilia), Cronologia a cura di Liliana Cappuccino (Archivio della Fondazione I Teatri di Reggio Emilia).
Tre ricorrenze (i cento anni dalla nascita di Luigi Nono, i dieci anni dalla morte di Claudio Abbado, i cinquant’anni della rassegna Musica e Realtà) che hanno segnato la storia della musica e della città di Reggio Emilia. In accompagnamento al concerto svoltosi al Teatro Valli il 13 febbraio 2024, che ha riproposto il programma del concerto che concludeva il primo ciclo di Musica e Realtà del 1973, il quaderno diviene strumento di memoria e di racconto.

“Riproporre quel concerto e quel programma oggi, cinquantuno anni dopo, è un modo vivo di connettere il presente con la propria storia, non solo musicale: riavvolgere il nastro da capo, a un punto di partenza, per dire che quei valori e quelle idee abitano ancora – seppur diversamente – qui. Per dire che il futuro ha radici salde” (Paolo Cantù, direttore di Fondazione I Teatri di Reggio Emilia).

Saggi di Veniero Rizzardi, Roberto Favaro, Ira Rubini e Roberto Fabbi.

Nuova Editrice Berti, 2024, pp. 144

5 ottobre 2024, ore 20.30, Auditorium Paganini, Parma (all’interno della rassegna Ramificazioni di Festival Verdi)

Appuntamento con uno dei direttori di punta di nuova generazione, attivo soprattutto nel campo della musica contemporanea: Maxime Pascal sarà sul podio della Filarmonica Arturo Toscanini e del Coro del Teatro Regio di Parma preparato da Martino Faggiani, con la voce recitante di Thomas Allen. Sulla video installazione creata dall’artista visiva iraniana Shirin Neshat, due capolavori del serialismo novecentesco, tributi alle vittime delle stragi della Seconda Guerra Mondiale: A survivor from Warsaw op. 46 di Arnold Schönberg, oratorio per voce recitante, coro maschile e orchestra del 1947, e Il canto sospeso di Luigi Nono, cantata per solisti, coro e orchestra, composta tra il 1955 e il 1956 su testi tratti dalle Lettere di condannati a morte della resistenza europea. A concludere questo programma di grande intensità, lo Stabat Mater e il Te Deum da Quattro pezzi sacri di Giuseppe Verdi.

18 ottobre ore 21.00 e sabato 19 ottobre 2024, ore 22.30, Teatro Farnese, Parma

Madrigali. In un dialogo tra presente e passato, il programma accosta due madrigali tra loro distanti nel tempo: La lontananza nostalgica utopica futura di Luigi Nono e Il combattimento di Tancredi e Clorinda di Claudio Monteverdi. La lontananza nostalgica utopica futura, con Mihaela Costea al violino e Alvise Vidolin alla regia del suono, vide la sua prima esecuzione a Berlino nel 1988, nell’ultima fase della carriera del compositore e rappresenta la sintesi della sua ricerca incessante sul rapporto tra tempo, spazio e suono. Il combattimento di Tancredi e Clorinda ci trasporta indietro nei secoli, composto nel 1624 ispirato alle vicende narrate in La Gerusalemme liberata di Torquato Tasso. A interpretare tutte le parti vocali sarà il controtenore Carlo Vistoli, tra i maggiori protagonisti del repertorio a livello internazionale; maestro concertatore al cembalo Daniel Perer, con l’ensemble Ghislieri Consort. Realizzata in coproduzione con FND/Aterballetto e Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, la performance vedrà la partecipazione di due danzatori interpreti della coreografia di Elena Kekkou con la regia e il visual di Fabio Cherstich.

Federico Sardo

Federico Sardo è giornalista culturale e collabora tra gli altri con «Esquire», «Rivista Studio» e «GQ». Insegnante alla Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti, è direttore editoriale del mensile «Quants – Tempi Moderni».

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