Bruno Montesano
                    
                Il candidato a sindaco di New York sembra il favorito di queste elezioni. Il suo programma, che prevede welfare e redistribuzione, ha fatto parlare di ritorno al socialismo. Parte da lui l'offensiva a Trump?
New York. Una battaglia dopo l’altra, Zohran Mamdani è emerso vincitore dal fuoco di fila che l’establishment democratico gli ha rivolto contro.
Progressivamente è riuscito a far cambiare idea a diversi avversari. Dai papaveri democratici (la governatrice democratica dello stato di New York Kathy Hochul, il capogruppo dei democratici alla Camera Hakim Jeffries, Barack Obama, Kamala Harris) al «New York Times» che all’inizio era stato piuttosto ostile affermando che Mamdani non meritasse di essere tra i candidati a causa della sua inesperienza.
Nato a Kampala in Uganda e figlio di Mahmood Mamdani, un importante professore di antropologia di Columbia, e della regista Mira Nair (Leone d’oro a Venezia nel 2001), è descritto da alcuni detrattori come un viziato, un silverspoon – anche se il candidato vive in un monolocale ad Astoria, nel Queens, con la moglie Rama Duwaji. “Se pensate che il problema in questa città sia che il mio affitto è troppo basso, vota per Cuomo. Se invece sapete che il problema in questa città è che il vostro affitto è troppo alto, votate per me”, ha detto in un dibattito televisivo.
Una più benevola caratteristica che gli è stata riconosciuta è quella d’essere un buon ascoltatore, capace di modificare flessibilmente le proprie posizioni per raggiungere un punto di mediazione pragmatica con l’interlocutore. E anche quella di essere un comunicatore molto capace – per alcuni, un Obama con posizioni politiche migliori. Per dirla con Ritchie Torres, democratico ma non radicale, Mamdani padroneggia l’arte dei “tre tre” essendo in grado di esprimere compiutamente le proprie idee in un reel di 30 secondi, di essere efficace in un’intervista televisiva di 3 minuti così come di risultare convincente in un podcast di 3 ore. Mamdani riesce spesso a farsi apprezzare anche da chi ideologicamente gli è distante: Robert Wolf, membro di Partnership for New York City – un’alleanza di imprese e fondi di investimenti – e finanziatore del Partito Democratico, arriva a definirlo un “capitalista progressista” più che un comunista – come lo ha invece chiamato Trump.
I plutocrati della città più cara degli Stati Uniti (e sesta al mondo per il costo della vita) hanno fatto la guerra a Mamdani, che ha promesso di alzargli le tasse per finanziare i suoi progetti di redistribuzione (trasporti, affitti, educazione per i bambini e costo dei beni alimentari). Alcuni dati: l’1% più ricco di New York contribuisce al 40% delle tasse raccolte dalla città, l’affitto mediano è il doppio di quello delle 50 maggiori città statunitensi, l’educazione per i bambini costa 26.000 dollari l’anno (più del 40% degli ultimi anni). Secondo l’«Economist» New York è relativamente cara (assicurazioni, sanità, abitazioni) anche per le fasce medio-alte. In caso Mamdani vincesse, molti minacciano di espatriare ma, come ha scritto Frank Rich sul «New York Magazine», la minaccia fu agitata già a suo tempo con Bill De Blasio.
Morris Pearl, ex Managing Director di BlackRock e presidente di Patriotic Millionaires, ha fatto notare che essere ricchi dà esattamente la possibilità che i ricchi fingono di vedersi negata: scegliere in libertà dove vivere. Non sarà certo un aumento delle tasse del 2 per cento a far spostare i ricchi da una città come New York.
Sul punto, Mamdani ha chiesto all’attore Morgan Spector della serie Gilded Age di motteggiare un articolo estivo del «New York Times» che raccontava proprio la preoccupazione dei ricchi newyorkesi con la seconda casa negli Hamptons.
“Nemmeno l’insalata di aragosta, venduta a prezzi esorbitanti, sembra riuscire a far sentire meglio la gente qui», ha detto Robert Zimmerman, (…). Di cosa parlano, per la maggior parte, è se (…) possa battere il socialista democratico Zohran Mamdani”.
L’incipit dell’articolo è diventato ormai quasi un meme grazie all’imitazione di Spector che, in costume d’epoca circondato da un salotto finemente arredato, legge con voce compassata il testo.
            Non a caso, il successo mediatico e popolare di Mamdani è legato tanto alla necessità di affrontare il problema della sostenibilità economica della vita a New York, quanto alla grande capacità comunicativa dispiegata nell’uso dei social media e nei dibattiti – del resto speculare alla debolezza, volgarità e goffaggine espressiva degli altri concorrenti. Questa coincidenza gli ha permesso di condurre una campagna elettorale massiccia, con oltre 90.000 volontari che hanno battuto l’intera città. A un certo punto, Mamdani ha chiesto ai suoi simpatizzanti di smettere di donare soldi e di spendersi piuttosto come volontari per fare turni di volantinaggio porta a porta. La sua popolarità è tale che sono organizzate competizioni pubbliche di suoi imitatori – come è successo di recente anche con Luigi Mangione.
Con Mamdani è anche tornata la “S word”, quella di socialismo, come ha scritto «Financial Times»: oggi, il 62 % degli statunitensi tra i 18 e i 29 anni guarda con favore alla parola, cosa non scontata negli Stati Uniti. Mamdani nasce politicamente come consigliere dei DSA (Democratic Socialists of America) di New York, in rappresentanza del quartiere del Queens. Questa appartenenza giovanile gli è costata parecchi attacchi e critiche. . In particolare, per avere chiesto il definanziamento della polizia nel 2020 e averla definita “razzista” e “omofoba”, durante la stagione di Black Lives Matter (BLM). Ora, al contrario, si è scusato per quelle uscite giustificandole con l’indignazione dettata dal momento (tra l’altro, molti dei suoi leader di BLM sono morti in circostanze misteriose). Mamdani dichiara inoltre di voler confermare al proprio posto la capa della polizia Jessica Tisch, ereditiera nominata dal sindaco uscente e corrotto Eric Adams – in combutta con Trump per proteggersi dalla giustizia.
I Democratic Socialists of America di New York sostengono apertamente Mamdani, quelli nazionali restano più freddi, come nel caso Alexandra Ocasio Cortez, attaccata per i compromessi fatti con la leadership del Partito Democratico.
A inizio Novecento, il sociologo tedesco Werner Sombart ha scritto che negli Stati Uniti il socialismo non ha presa perché naufragato “sugli scogli di arrosto di manzo e torta di mele”, ossia a causa del benessere e dei salari più alti rispetto all’Europa, come ricorda Nicola Villa in Zohran (Altraeconomia) – un interessante inquadramento di Mamdani come esponente di un’alleanza multirazziale collocata all’interno della storia del socialismo statunitense. Di fatto quello che viene considerato socialismo negli Stati Uniti coincide, per lo più, con ciò che è in Europa è stata la socialdemocrazia. In tempi di riduzione del welfare, precarietà lavorativa e alta inflazione, il modello europeo dei “trenta gloriosi”, fatto di protezione sociale e buoni salari, ha acquistato credito.
L’altro fronte sul quale Mamdani è stato attaccato è quello del suo supposto antisemitismo. Ma, come ha notato Meher Ahmad, spesso questa accusa viene mossa con obiettivi islamofobi, assumendo che chiunque sia musulmano odi gli ebrei. E rappresentando l’islam come una religione intrinsecamente fanatica e volta alla violenza e all’intolleranza. Per Mamdani, invece, l’islam è sia una fonte di ispirazione valoriale che la causa di frequenti discriminazioni, in particolare dopo la War on Terror, la campagna securitaria della destra di Bush intrapresa dopo l’attacco dell’11 Settembre. Davanti a questa esperienza, il padre gli ha ricordato che “essere una minoranza significa vedere la verità di un luogo tra le sue promesse”. Non a caso, dopo la rivoluzione, Mahmood Mamdani è stato espulso da Idi Amin in quanto “non ugandese” e perciò ha dedicato il proprio lavoro accademico a separare istituzioni politiche e identità culturali, scorgendo in questo nesso l’origine nazionalista di molta della violenza dell’ultimo secolo.
            Recentemente, Andrew Cuomo – l’ex governatore dello stato di New York e principale rivale di Mamdani alle elezioni , ha diffuso un corto generato dall’intelligenza artificiale, in cui Mamdani viene rappresentato come il beniamino di spacciatori e criminali (neri) e come vicino alle istanze di Hamas, in una metropoli distopica simile a quella di 1997 – Fuga da New York di John Carpenter. Anche Adams aveva realizzato un video simile, “Camp Zohran”, dove il modello era la città postapocalittica di Io sono leggenda di Richard Matheson, in cui zombie impoveriti (e tossicodipendenti) si aggirano tra macerie per cercare cibo tra i rifiuti – gli scaffali dei negozi a prezzi calmierati sono vuoti.
Anche tra gli ebrei statunitensi appoggiare Israele incondizionatamente non è più la scelta della maggioranza – il 61% degli ebrei statunitensi pensa che Israele abbia commesso crimini di guerra. E a New York, dove vivono 1 milione e mezzo di ebrei e altrettanti musulmani, le scelte pro-Netanyahu di Adams e Cuomo – che ha addirittura preso parte al team legale in difesa di Netanyahu presso la Corte Penale Internazionale – non hanno pagato.
Il sostegno alla causa palestinese di Mamdani – che fondò la sezione di Students for Justice in Palestine negli anni al Bowdoin College – considerato una debolezza è stato invece un punto di forza. Così come ha fatto breccia la promessa di far arrestare Netanyahu dalla polizia della città per realizzare il mandato della Corte Penale Internazionale. Inoltre, Brad Lander, ex candidato alle primarie, ebreo e sionista di sinistra, già trascinato e detenuto dalle guardie federali per aver difeso dei migranti che uscivano dal tribunale di Federal Plaza contro i rapimenti da parte di ICE (United States Immigration and Customs Enforcement), ha deciso di fargli da spalla, sdoganandolo in alcuni ambienti precedentemente scettici. ICE infatti ormai si apposta fuori dal tribunale dove i migranti vanno a difendere i propri casi e rapisce i migranti che vi si recano.
Mamdani, con ogni probabilità, dovrebbe vincere – e la serie di copertine e ritratti simpatetici, da «Time» a «The Nation» fino al «New Yorker» e «New York Magazine» sembrano confermarlo. C’è stato il rischio che il candidato repubblicano Curtis Sliwa si ritirasse, trasformando la competizione in una corsa a due in cui Cuomo sarebbe risultato pericolosamente rafforzato. Adams ha già sostenuto pubblicamente Cuomo, che continua a ricevere lauti finanziamenti dai milionari della città come Bill Ackman. Tre giorni prima delle elezioni, Trump ha esplicitamente fatto un endorsement per Cuomo: “Meglio un democratico che un comunista”.
Trump è il convitato di pietra di queste elezioni. Dopo aver sguinzagliato guardia federale e ICE in varie città – recentemente c’è stato un raid anti-immigrazione a Chinatown, a New York, contro le persone africane che vendono merci contraffatte –, Trump può assediare Mamdani anche tagliandogli alcune risorse (il 6.4 % dei fondi di New York sono federali e Trump ha già tagliato 18 miliardi di finanziamenti per le infrastrutture). Bisogna dire, ad ogni modo, che tutti i candidati (Cuomo incluso, Sliwa più moderatamente) si sono opposti all’idea che Trump mandi le guardie federali a New York.
Come Mamdani potrà resistere a questo attacco economico – e all’invio della guardia federale – è la domanda che molti si fanno. Il suo socialismo, come detto, è pragmatico e si ispira al ‘sewer socialism’, il socialismo delle fogne, di cui Milwaukee è stata un esempio tra il 1910-1960 circa, assieme al periodo del sindaco di New York Fiorello la Guardia (1934-1945), come ha detto Mamdani stesso in diverse occasioni.
            
            Più che soviet, elettrificazione e doppio potere, Mamdani vuole rendere la città, oggi attraversata da profonde disuguaglianze, più vivibile per i suoi abitanti. D’altronde, come raccontava Marshall Berman, New York, nel ’900, è stata costruita a colpi d’ascia. “Quando si opera all’interno di una metropoli con troppi edifici, ci si deve aprire un varco con una scure di carne”, così Robert Moses, il costruttore “padrone di New York” per circa quattro decenni. Mamdani è il figlio adottivo di una città sempre più a misura di finanza, assicurazioni e proprietà immobiliare (FIRE – Finance, Insurance, Real Estate), e in cui le compagnie di assicurazione e i proprietari di immobili hanno lucrato sugli incendi volti alla distruzione del Bronx. Questo modello di sviluppo che ha mangiato i suoi abitanti espellendoli e sacrificandoli è ciò contro cui Mamdani ha costruito la sua coalizione di affittuari, giovani e ceto medio impoverito e minoranze – la cui somma a New York crea una maggioranza.
Pankaj Mishra – forse esagerando – ha lamentato il silenzio degli intellettuali in un momento in cui servirebbe più coraggio e impegno. Anche i sindacati sono silenti o quasi. Le manifestazioni per Gaza non sono più oceaniche. In questo contesto, Mamdani sta diventando un simbolo anti-Trump, non solo per il suo talento politico , ma anche perchè il Partito Democratico sembra imbelle persino agli occhi di un commentatore moderato come Ezra Klein, mentre l’opposizione nelle strade ha languito fino alle recenti e grandiose piazze di No Kings. Il libro di Klein e Derek Thompson sull’abbondanza (Simon & Schuster 2025) – elogiato da Obama – sembra essere il manuale per la parte “riformista” del Partito Democratico: non bisogna solamente attaccare l’oligarchia ma anche gli eccessi regolativi che frenano innovazione e sviluppo. Se non c’è crescita non ci può essere redistribuzione e i capitalisti non sono i soli colpevoli. Lo stato tuttavia non è il nemico dell’agenda abundance. Lo storico di Yale, Samuel Moyn ha scritto che “drammatizzando la condizione dell’innovatore, “Abundance” a tratti sembra il manifesto di alcuni finanzieri e imprenditori tecnologici parte dell’élite di due o tre città costiere, infastiditi principalmente dai trasporti intasati e dalla burocrazia”. Alcuni commentatori interpretano così lo scontro dentro il Partito Democratico tra un’ala “populista” concentrata sull’attacco all’oligarchia e una meno ideologica e più pragmatica che segue la linea di Klein. Per quest’ultimi, “la frustrazione degli elettori non coincide con un desiderio di socialismo” ma le tradizionali ricette neoliberali sono altrettanto inadeguate. Al contrario, Ocasio Cortez potrebbe esser candidata alle presidenziali nel 2028 e sta conducendo con Bernie Sanders il tour Fight Oligarchy per allargare il consenso e raccogliere voti tra gli ex repubblicani, talvolta ammiccandogli come sull’immigrazione – rispetto alla quale “Trump ha fatto un lavoro migliore. Non mi piace Trump, ma dovremmo avere un confine sicuro”. Nel movimento ci sono inoltre nuove leve di candidati e deputati working class come Graham Platner o Greg Casar – leader del Caucus progressista al Congresso. Ad ogni modo, entrambe le fazioni, pur se con diverse prospettive, si concentrano su questioni materiali, di benessere economico e sociale.
Trump intanto stringe la morsa dell’autoritarismo e, dopo l’attacco alle università con la scusa dell’antisemitismo e l’omicidio di Charlie Kirk, la libertà d’espressione subisce sempre più attacchi diventando una delle principali poste in palio del conflitto democratico nel paese. E’ impossibile prevedere se la coalizione multietnica di Mamdani saprà incarnare un nuovo modello su scala nazionale capace di resistere all’assalto trumpiano e di evitare il nazionalismo di sinistra di alcune uscite di Sanders. Ma intanto, la battaglia per New York, se vinta, oltre a dare speranza all’opposizione, potrebbe ridurre le differenze di classe tra i suoi 8,5 milioni di abitanti e rilanciare un progetto di universalismo radicale. E non è poco.
Bruno Montesano
Bruno Montesano è dottorando in “Mutamento sociale e politico” presso le Università di Torino e Firenze. Collabora con diverse testate e ha curato Israele-Palestina. Oltre i nazionalismi (E/O, 2024).
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