Nella sua celebre poesia Sia questo il verso (qui nella traduzione di Enrico Testa), il poeta inglese Philip Larkin scrive:
“Mamma e papà ti fottono.
Magari non intendono farlo, ma lo fanno.
Ti addossano le colpe che hanno
e ne aggiungono qualcuna in più, giusto per te.
Ma son stati fottuti a loro volta
da imbecilli con cappello e cappotto all’antica
che per metà del tempo facevano moine
e per l’altra metà si prendevano alla gola.
L’uomo passa all’uomo la pena.
Che si fa sempre più profonda come una piega costiera.
Togliti dai piedi, dunque, prima che puoi
e non avere bambini tuoi”.
Molti, leggendo i versi caustici di Larkin (cresciuto in una famiglia emotivamente arida, come ricorda Martin Amis nel suo libro La storia da dentro), si troveranno d’accordo. Perché d’altronde fare una famiglia se essa è destinata a essere sempre uguale a se stessa e a generare eterna infelicità e sensi di colpa?
Si pensa che la famiglia, baluardo di una supposta tradizione, sia immodificabile e sia sempre stata così o quasi, e che la sua conservazione, così come è oggi, sia necessaria. L’argomento è particolarmente caro alle destre e alle fasce più conservatrice della società, che arrivano a parlare di “famiglia naturale”, concetto alquanto fantasioso ma utile a creare un modello ideale che non sia soggetto a modificazioni.
Ovviamente non è così: la famiglia è molto cambiata nel corso dei secoli e continua a cambiare. Solo che spesso è difficile accorgersene.
Ogni mutamento all’interno del modello produttivo di una data società ha avuto ripercussioni anche sulla struttura della famiglia; ad esempio, con la mezzadria, le famiglie numerose ed estese erano predominanti, si era in tanti perché in tanti si lavorava la terra, e l’ampiezza del nucleo famigliare era fondamentale allo svolgimento del lavoro.
Se è vero che sin dalle origini della specie gli uomini hanno fondato gruppi famigliari, la famiglia comincia a diventare quella a cui siamo abituati a partire dal 1600 e, con la Rivoluzione Industriale e il conseguente incremento demografico e delle risorse tecnologiche, il modello di famiglia prevalente nelle società occidentali diventa quello nucleare urbano – che non esclude l’esistenza di famiglie più estese o diversamente strutturate, ma le rende largamente minoritarie.
A partire dal Seicento, soprattutto, i sentimenti tra i singoli membri della famiglia cominciano a diventare importanti; l’infanzia diventa un’età della vita degna di considerazione e i bambini individui a cui si riconoscono delle peculiarità che non sono quelle degli adulti, come racconta il saggio di Philippe Ariès “Padre e figli nell’Europa medievale e moderna”. Nasce l’infanzia, e con essa una nuova idea di affettività famigliare. Solo qualche decennio prima Montaigne, nei suoi Essais, scriveva di aver perso cinque figlie in tenerissima età senza particolare dolore o rimpianto. Oggi il solo pensiero della morte di un figlio ci risulta inaccettabile.
La storia della famiglia nella modernità è una storia delle emozioni – e quindi anche di ricatti, sensi di colpa e infelicità, come scriveva Larkin.
La maggior parte di noi è cresciuto in gruppi famigliari più o meno ristretti; gruppi formati da genitori e figli, che lasciano casa solo quando hanno raggiunto l’indipendenza economica, a seguito della quale poi, trovano un partner per il matrimonio, e generano a loro volta dei figli. Ma questo modello è già in crisi nelle società occidentali; in genere oggi i figli lasciano casa in età abbastanza elevata e non vedono tutti il matrimonio e la prole come obiettivi o come destino ineluttabile. Oggi i figli sono tali per un lasso di tempo in genere superiore a una volta, ed emanciparsi dai propri genitori è più difficile, perché le condizioni retributive e il costo della vita è generalmente non sostenibile. Ma questa difficoltà a recidere il rapporto di dipendenza dai propri genitori non è solo di natura economica, ma anche affettiva e simbolica. Oggi la prospettiva dei figli, in società sempre più anziane come la nostra, è di dovere poi prendersi cura dei propri genitori una volta invecchiati.
Se il romanzo moderno ha trovato nel contesto famigliare la sua ambientazione ideale, questa difficoltà a diventare adulti è testimoniata oggi dalla produzione letteraria, cinematografica e artistica: non sono pochi i romanzi e i film che oggi riflettono questa condizione di difficoltà generazionale, di fatica nel relazionarsi ai propri genitori anche in età non più tenera.
La famiglia dei nostri bisnonni o nonni non esiste già più, perché le società in cui viviamo sono profondamente diverse, da un punto di vista socio-culturale e demografico. Oggi una famiglia è tale anche se i suoi membri non si uniscono in matrimonio, se l’obiettivo dell’unione non è la procreazione e se i figli nascono fuori dal matrimonio. Le grandi battaglie per i diritti nel corso del secondo Novecento hanno reso la famiglia un fondamento della società da mettere in discussione, ripensare e modificare. Oggi la tecnologia permette di avere figli anche quando le condizioni biologiche e riproduttive sono sfavorevoli; una coppia omosessuale può avere, in alcuni Paesi, il riconoscimento giuridico che merita. E nuove forme di affettività e di sessualità, non etero-normative, che non richiedono l’esclusività sessuale e affettiva tra i membri della coppia, sono fenomeni che hanno una loro rilevanza culturale.
Al di là di tutto, la famiglia rimane terreno di confronto e scontro, tra persone e soprattutto tra generazioni diverse. Alla famiglia è dedicato questo numero di Lucy. Assieme, cercheremo di capire come sta cambiando e di raccontare questi cambiamenti.
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