Misogini che fanno la skincare - Lucy
articolo

Francesco Barchiesi

Misogini che fanno la skincare

La cultura RedPill è sempre più mainstream, ed è sempre più legata alla cura del sé. Accade così, e con esiti all’apparenza paradossali, che alcuni tra i maschi più misogini di internet siano particolarmente sensibili alla skincare.

Nel dicembre del 2022, l’ex campione di kickboxing Andrew Tate e suo fratello Tristan sono stati arrestati dalle autorità rumene per stupro, sfruttamento della prostituzione e traffico di esseri umani; avevano sequestrato delle ragazze costringendole a lavorare nell’intrattenimento per adulti in webcam, sostenendo che fossero le loro “fidanzate”. Nei mesi precedenti Tate aveva raggiunto il picco della popolarità come influencer: nel Regno Unito un sondaggio ha riportato che fino a 8 teenagers su 10 sarebbero incappati nei suoi contenuti durante l’estate del 2022. 

Grazie alla sua Hustlers University è diventato plurimilionario, attirando più di 250 mila iscritti — l’abbonamento base costa circa 50 dollari al mese. Vende corsi per evadere dalla schiavitù del lavoro dipendente ed entrare nel mondo reale: quello degli imprenditori digitali che investono nel dropshipping e nelle cryptovalute, generano rendite passive con l’intelligenza artificiale e iniziano ad accumulare proprietà immobiliari, vivendo magari a Dubai per non pagare le tasse. Il percorso è tracciato: si inizia eliminando i profili social per non perdere più tempo, ed entrando invece nei gruppi Telegram per sentirsi parte della tribù d’elezione —  nel frattempo, palestra. 

Il suo piano di comunicazione prevede dei dividendi per gli iscritti che sono in grado di portare nuovi membri alla comunità e diffondono i contenuti motivazionali attraverso diversi account, in modo da aggirare il ban che lo aveva colpito sulle piattaforme di Meta già da prima della condanna. Insomma, uno schema Ponzi che ha contribuito al suo successo, con miliardi di visualizzazioni soltanto su TikTok.

E dunque, fino a qui, Andrew Tate sembrerebbe il più formidabile dei fuffaguru. Ma non è “solo” questo. È vero, Tate non dice niente di nuovo; il suo racconto dell’eroe che supera le difficoltà per diventare più forte ricorre ai soliti stilemi posticci del self-made man. Di suo, c’è che è in grado di comunicare con una certa assertività, con una padronanza dei media indiscutibile e messa al servizio di un arrivismo senza scrupoli. Credo però che la chiave del suo discorso risieda nell’uso politico che egli fa delle categorie di genere. Tate bersaglia esplicitamente la mascolinità post-patriarcale: indebolita dalla rivoluzione sessuale, intimidita dall’affermarsi di nuove sensibilità e di codici che non capisce, ridimensionata nelle sue prospettive di mobilità sociale. Andrew Tate ti insegna a diventare come lui, ovvero  un high-value man (e un imprenditore di successo): devi saper controllare le tue emozioni, superare le paure, accettare la sofferenza, correre dei rischi, credere in te stesso e prenderti pseudo-stoicamente cura di te, con esercizi e meditazione (e un occhio per gli orologi di lusso — alla fine, pure Osho era un po’ questo) per “forgiare il giusto mindset. E ancora: abbandonare l’edonismo becero promosso dall’Occidente femminilizzato e senzadio, fregartene di quello che dicono le donne, possibilmente convertirti all’Islam. Infine, ovviamente, devi dargli i tuoi soldi e aiutarlo ad attirare nuovi seguaci. Al di là delle presunte competenze, Tate vende un’intera disposizione del sé alla soggettività maschile: gli fornisce lo scopo autotelico di migliorarsi.  

“Nel dicembre del 2022, l’ex campione di kickboxing Andrew Tate e suo fratello Tristan sono stati arrestati dalle autorità rumene per stupro, sfruttamento della prostituzione e traffico di esseri umani; avevano sequestrato delle ragazze costringendole a lavorare nell’intrattenimento per adulti in webcam”.

Mentre i numeri degli iscritti crescevano, tirando la corda Tate ha finito per spaziare su tutto il parterre di quel che chiamavamo alt-right, senza risparmiarsi apologie del nazismo o ammiccamenti a QAnon – filmato durante il suo arresto, ha detto solamente “il Matrix mi ha colpito”, mutuando il lessico della fantasia di complotto. Eppure, dalla prima elezione di Trump sono passati 8 anni; insistere su categorie vaghe e dal valore euristico ormai usurato, come quelle della stessa alt-right e della uomosfera (italianizzazione dell’espressione inglese “manosphere”, con cui si indica l’insieme degli spazi digitali dove gli uomini discutono della propria condizione di genere), potrebbe avere poco senso. Tanto più che Trump è di nuovo lì, e si dibatte in abbondanza sul ruolo dei giovani maschi in questo risultato elettorale. 

Il punto del discorso è allora il processo di  risemantizzazione della RedPill Theory, l’ideologia che della uomosfera dovrebbe essere collante. Quella della pillola rossa è una metafora di Matrix (appunto), ma la verità rivelata, a differenza del film, qui ha a che fare coi rapporti di forza fra i sessi nelle società occidentali ristrutturate dalle lotte femministe: l’esorbitante potere di selezione sessuale femminile, libero dalle strutture morali e legali del patriarcato, sovverte un presunto ordine naturale, condanna la civiltà alla crisi demografica e umilia gli uomini senza quel “valore di mercato” di cui le donne, per natura tendenti all’ipergamia, possano beneficiare. 

Seguendo la teoria, è possibile quantificare il valore di un uomo grazie alla griglia LMS: il parametro principale è quello estetico (Looks); il potere economico (Money) ed il prestigio sociale (Status) influiscono su una valutazione complessiva calcolabile in un voto su scala decimale. “Sotto al 7 non è vita”, dicono. Di qui i celibi involontari, gli ormai celeberrimi Incel – un fenomeno tangente ma non del tutto sovrapponibile agli ambienti digitali della RedPill; ma di qui anche i pick-up artist (PUA), i maestri della seduzione che insegnano ai maschi eterosessuali come conquistare le proprie prede, aggirando la scala LMS con il saperci fare (il “game”, come lo chiamano loro). 

Si possono individuare alcuni punti di continuità tra questa comunità frammentarie. Innanzitutto, un’assunzione indiscussa del darwinismo sociale. Ma anche ciò che lo storico di genere Sandro Bellassai chiama il virilismo, ovvero la centralità del desiderio maschile, con la donna considerata soltanto come il suo oggetto; e il più delle volte (ma va detto, non sempre), la nostalgia per una società in grado di rispecchiare il più fedelmente possibile questa gerarchia sessuale.

Andrew Tate da un certo punto in poi ha iniziato ad ammiccare piuttosto esplicitamente alla RedPill Theory. Parla di Looks, Money e Status; ribalta il discorso sulla disuguaglianza di genere (il Matrix in cui oggi viviamo è secondo lui l’egemonia culturale del femminismo in Occidente). Il mondo al contrario, come direbbe Vannacci. Tate sostiene che le donne non dovrebbero votare, che non dovrebbero poter decidere sul proprio corpo, e che il loro posto è la cucina (o, al massimo, la camera da letto). 

In effetti, la ricezione di Tate è ambivalente nei siti e nei gruppi dove si discute della RedPill. La community incel, ad esempio, si divide solitamente tra chi lo difende a spada tratta, e chi lo considera una sorta di truffatore alla stregua di come vedono i pick-up artist. I veri incel (che si definiscono orgogliosamente “truecels”), del resto, sono piuttosto desensibilizzati al richiamo del successo, e diffidano sistematicamente da chi cerca di vendere loro la presunta via d’uscita da una condizione cui si sentono destinati dalla nascita. 

Non serve in effetti essere fini analisti per notare la continuità tra certi contenuti di Tate, e la direzione (certo meno estrema) che ha cercato di prendere la PlayLover Academy (l’accademia di seduzione più popolare in Italia, che vende corsi per il “miglioramento sociale e sentimentale”, per citare un caso), nel sodalizio tra contenuti valoriali, modello di business e strategia di comunicazione. Il punto è avere “un forte inner game“, come lo chiamano i PUA: di nuovo, lavorare sulla propria attitudine. Rientrano nel settore del “self-development influencing”. È sempre l’industria dell’auto-miglioramento che si rivolge a un medesimo target anagrafico e di genere, offrendo servizi e abbonamenti a chi vuole diventare la versione migliore di sé.

Per sintetizzarne la parabola con le parole di un utente del Forum dei Brutti (da anni il principale portale RedPill ed Incel in Italia), Andrew Tate in fin dei conti sarebbeun ponzaro che ha redpillato mezza GenZ su TikTok”. Ma è possibile anche una contro-lettura: Tate non ha popolarizzato la RedPill; è la RedPill ad avere un potenziale enorme, e lui l’ha sfruttata. Credo infatti che l’ideologia RedPill sia una delle principali declinazioni contemporanee del Discorso del Capitalista, rivolto al suo nuovo consumatore modello: il giovane maschio, scisso tra il tormento di desiderare e la volontà di incarnare la jeune-fille – la creatura teorizzata da Tiqqun – senza però poterselo permettere.

Un’evidenza per questo argomento ce la fornisce il trend maschile del looksmaxxing, la “massimizzazione” della propria apparenza estetica: dal gua sha allo spray all’acqua di mare, dalle creme per la pelle alle maschere facciali – per la gioia dell’industria cosmetica – fino alle app per seguire una dieta o per il workout. Gli influencers sono ben contenti di avere nuovi prodotti da sponsorizzare, e servizi di consulenza da offrire in materia.

Come viene definito su TikTok, #looksmaxxing dovrebbe essere “uno spazio per discutere dei cambiamenti sull’apparenza fisica per migliorare la propria condizione sociale”. Il format dei video glow-up ci fa vedere il prima e il dopo la trasformazione. Sembra che le migliaia di persone che fruiscono di questi contenuti non siano del tutto consapevoli della loro origine e della loro risonanza culturale. “Looksmaxxing” è infatti una sezione dei forum RedPill: lavorare sul fattore ‘L’ per migliorare il proprio score. Su TikTok troviamo anche un sub-trend al femminile, che per i veri redpillati è una contraddizione in termini

“In effetti, la ricezione di Tate è ambivalente nei siti e nei gruppi dove si discute della RedPill. La community incel, ad esempio, si divide solitamente tra chi lo difende a spada tratta, e chi lo considera una sorta di truffatore”.

La pratica di looksmaxxing più popolare è quella del mewing, consistente nello spingere la lingua sul palato per potenziare la propria struttura mandibolare, nella speranza di avvicinarsi all’iperbolica mascella del Chad: l’archetipo memetico dell’uomo attraente, sempre raffigurato col mascellone squadrato. Il nome deriva dal controverso ortodontista John Mew, che riscontra scarsissimo consenso nella comunità medico-scientifica.

La linea mascellare viene considerata come il tratto estetico facciale maggiormente connotativo di una mascolinità di successo, che è sempre aggressiva. Ad esempio, nei threads della sezione looksmaxxing sui forum si parla spesso dell’angolo cantale, ovvero l’inclinazione degli occhi sul viso. La differenza tra un’inclinazione negativa e una positiva divide chi ha gli hunter eyes da chi invece ha lo sguardo da agnello – attenendoci a questo parametro, non si dovrebbe salvare neanche Jacob Elordi. Per avere una maggiore contezza di quanto astruso il discorso RedPill sul Looks possa diventare, consiglio di fare un giro sulle schede di valutazione che la pagina italiana de Il Redpillatore propone su Facebook: si parla di distanza bigoniale, indice FWHR, distinzioni fenotipiche e svariati altri termini tecnici per misurare la bellezza “oggettivamente”, il tutto condito con un po’ di fisiognomica. 

Ad ogni modo, questo era solo il softmaxxing. L’hardmaxxing discusso in questi ambienti consiste in pratiche maggiormente invasive: dalla chirurgia estetica ufficiale — in costante crescita tra gli uomini negli ultimi anni — a soluzioni fai-da-te decisamente più discutibili, come il bonesmashing: letteralmente il prendersi a martellate per provare a rimodellare quegli ossicini componenti la struttura facciale, colpevoli di condannare alla sgradevolezza gli uomini che avrebbero perso la “’lotteria genetica” – “conta solo il bel faccino”. Fortunatamente, questo è soprattutto un meme. Più seri sono invece i threads su terapie ormonali e l’uso sperimentale di farmaci reperiti sul mercato nero, commenti assurdi su come aumentare la propria altezza di qualche centimetro o su come hackerare lo sviluppo muscolare.

Sul portale britannico looksmaxx.org, le discussioni sui “geni di successo” sono abbondantemente infarcite di razzismo. L’etnia caucasica viene considerata quella di maggiore valore, e spesso gli utenti suggeriscono alle persone non-bianche il “whitemaxxing”, attraverso il trucco e trattamenti alla pelle. Gli uomini asiatici sono considerati i meno attrattivi per le donne bianche all’interno di queste comunità; gli incel razializzati del sud-est asiatico vengono chiamati “currycels”. 

Il razzismo della RedPill si appesantisce ulteriormente, se consideriamo la prossimità genealogica di questi ambienti digitali a quelli dell’estrema destra (vedi la vecchia versione del forum 4chan), in cui circolano fantasie eugenetiche di stampo neonazista. Nella mia esperienza etnografica ho però avuto modo di constatare quanto la disabilità fisica e mentale sia ampiamente dibattuta in questi forum, e spesso con consapevolezza. Molti incel imputano la loro difficoltà relazionale con l’altro sesso alla loro condizione non-neurotipica. Ovviamente la questione che intreccia psicopatologia, disabilità e sessualità è troppo ampia per essere trattata qui, ma credo che la sua triangolazione col tema incel meriti sicuramente di essere approfondita. 

Gli uomini con i corredi genetici che sarebbero meno competitivi vengono “moggati” dai Chads. “Moggare” significa asserire la propria dominanza estetica su qualcun altro – l’espressione è stata prevedibilmente generata nell’alveo delle comunità di seduzione di qualche anno fa. Tutti vogliono essere il “mogger”: e allora perché non pensare ad un servizio che possa rivolgersi a questo desiderio? Una qualche mogging academy magari?

Mogwarts – gioco di parole che chiaramente fa riferimento alla scuola di magia di Harry Potter – è “la scuola di looksmaxxing e profondo auto-miglioramento”, come recita la presentazione sul sito. E’ stato uno dei tormentoni dello scorso anno tra meme e realtà, grazie alla visibilità raggiunta dal suo fondatore Kareem Shami, 23enne di origini siriane, dopo che un suo video “glow-up” è andato virale su TikTok. “Looks, Money & Status contano molto rispetto a come veniamo percepiti e trattati in ogni aspetto della nostra vita”, spiega il ragazzo in un video introduttivo; “la società in cui viviamo è una tragedia, ora tra social media e dating apps la nostra immagine viene costantemente valutata”. Shami ha ragione: ma curare la propria immagine diventa un’ossessione, e l’approccio auto-imprenditoriale è l’opposto di quello critico.

Ecco allora Mogwarts Academy, per trasformarsi nella “versione migliore di sé stessi”. Ci si può iscrivere a soli 20 dollari al mese beneficiando di una (permanente) super-promozione limitatissima, e accedere a contenuti esclusivi che ti aiuteranno a gestire la tua skincare, la tua dieta, il tuo allenamento e il tuo approccio con le ragazze. Basta premere il bottone “Ascend Now” – “ascendere” è un’espressione gergale della comunità incel, che si riferisce proprio alla possibilità di uscire dalla condizione involontaria di celibato (il girone dei dannati). Eppure, in nessuno dei suoi video né nelle interviste troviamo menzione esplicita della teoria RedPill, né dell’inceldom. Shami ha ora circa mezzo milione di follower su Instagram, e la sua community conta più di tremila membri (paganti). 

All’inizio del millennio, la critica post-femminista metteva a fuoco il concetto di “lavoro estetico” – l’esercizio industrioso ma scontato, taciuto ma senza posa di apparire bella, che sostanzia l’esperienza d’essere una ragazza nella società tardo-capitalista. In soldoni, sono le aspettative di genere patriarcali che si declinano nelle industrie della moda e della bellezza, e nei loro modelli (e modelle). Per questo, Helena Rubinstein poteva dire che non esistono donne brutte, ma solo donne pigre; eppure “tutti oggi viviamo nella fabbrica delle immagini”, e il trucco e il parrucco, come pratiche del sé, coinvolgono sempre di più i maschi.

A circa vent’anni da queste riflessioni ci troviamo a commentare la figura maschile del beauty influencer (anche se questo settore si rivolge principalmente ad un pubblico femminile, e ancora in proporzioni di traffico lontane dall’essere comparabili). La continuità tra il looksmaxxing ed il lavoro estetico denunciato dal femminismo è evidente: si tratta dell’istituirsi di una relazione fortemente normativa con il proprio corpo, ora continuamente sorvegliato, sito di ispezione e materiale di lavoro infinito; dell’aspettativa di essere valutati, e quindi di valere, solamente per come si appare; di un confronto continuo con la propria immagine riflessa. Tecnologie di Bellezza e Bellezza come dover essere. C’è qui tutta la polisemia della cura — da sempre appannaggio del secondo sesso — a un tempo coltura e preoccupazione. Paradosso dei nostri tempi: quelli che dovrebbero essere (e spesso a tutti gli effetti sono) i misogini sono i primi fra i maschi ad avvertire questa croce sulle spalle; i più vicini ad un’esperienza tradizionalmente femminile. 

Al centro di questa conversazione – che ha sempre a che fare con i media digitali – dovrebbe inoltre esserci la dimensione visuale di questo “corpo” su cui si lavora, rappresentato come mai prima nella dimensione simulacrale dell’immagine. L’editing fotografico (e la competenza grafica che presuppone) è ormai parte integrata della nostra attività sui social media, e nel format “Prima-Dopo” o nel trend “glow-up” di TikTok è il segreto di Pulcinella. Questa forma di “lavoro di cura”, oggi, significa sempre un po’ anche prendersi cura di un profilo: la resa estetica è comunque al servizio del personal branding, e dell’economia digitale della reputazione. Looks, Money e Status si tengono per mano, soprattutto su Instagram. 

La RedPill sembra allora essere diventata il cavallo di Troia di quel che anni fa con la French Theory potevamo chiamare “soggettivazione neoliberale”; è l’evoluzione di una “tecnologia del sé” in grado di fare ora presa sull’identità maschile in via di sviluppo, nelle condizioni in cui questa viene allestita nelle società occidentali contemporanee — dopo la rivoluzione sessuale e quella visuale dei social media, dopo la grande crisi e la ri-proletarianizzazione della service class, dopo la pandemia.

Poco importa se il focus sia più sulla “L” o sulla “M”; se si sostanzia in una preoccupazione per la bellezza o per il mindset, per la validazione sessuale o strettamente per i “soldi”: l’invariante è la costruzione del sé come luogo di esercizio, l’attrito continuo del sé su se stesso, la narrazione totalizzante del miglioramento personale come missione di vita, l’insoddisfazione come condizione. Come tutte le vere ideologie, la RedPill è in grado di tenere insieme la contraddizione tra la mascolinità egemonica e l’impulso alla sua femminilizzazione; tra la durezza di Tate e la cura ossessiva, l’ipersensibilità del looksmaxxing. 

La claustrofobica strettoia di questa nuova cultura del sé misura la disillusione, la solitudine, la miseria (sociale, politica ed economica) che serpeggia tra i giovani maschi del cosiddetto primo mondo. L’investimento su di sé è l’ultimo progetto accessibile che promette una qualche escatologia; che scalda ancora il crudele ottimismo del successo. Sia anche solo una resa estetica, una sembianza di profitto o il profitto di una sembianza. Ecco allora che la cura di sé, in questa declinazione, può pervertirsi nel perseguimento de “il proprio massimo potenziale” – uno sforzo così estenuante da richiedere la delega a guru, iscrizioni, abbonamenti, app di ogni sorta. Lavorare sul sé è un lavoro indegno, ma di lavori degni non se ne trovano così tanti. 

“La linea mascellare viene considerata come il tratto estetico facciale maggiormente connotativo di una mascolinità di successo, che è sempre aggressiva”.

Ricorrenti sono allora le strutture narrative e sintattiche di una cultura ibrida, terapeutico-imprenditoriale, che sfrutta tutte le infrastrutture mediali a disposizione per aggredire il bisogno percepito da una “nuova” nicchia di consumatori. La Pillola Rossa è ormai mainstream per la Gen Alpha e Zeta; i suoi elementi circolano liberamente nella semiosfera digitale, in forma più o meno esplicita, ma comunque tacendo la propria provenienza. I forum sono a qualche fibra di distanza, e sembrano ad anni luce da TikTok; l’internet di ieri e quello di oggi non si guardano più in faccia, ma evidentemente si parlano ancora.

La condizione di celibato involontario, drammaticamente vissuta da molti utenti di questi forum (laddove la sessualità si fa come al solito pretesto per dar voce a disagi più ampi e meno loquaci) ha incubato quegli stessi concetti che sempre più spesso finiscono per avere un’ esistenza del tutto autonoma, su tutti la pillola. Il pharmakon che hanno sviluppato si è adattato, come un organismo, per diventare più virale, più visibile — la vera miseria dell’incel è troppo cruda per poter essere glamourizzata, al di là del true crime. E’ il medesimo imperativo performativo che anima loro, e tanti altri ragazzi. La crisi è latente, ma endemica. 

Francesco Barchiesi

Francesco Barchiesi fa ricerca sulle mascolinità e le intimità digitali, insegna a scuola, ed è una delle voci del podcast “Ragù”.

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