Gianluca Nativo
Napoli è sempre stata una città dedita alla devozione e alla creazione di miti pop, da Pino Daniele a Maradona. Oggi però, per decifrare i nuovi fenomeni di culto partenopei, bisogna scaricarsi TikTok.
Sono passati ormai dieci anni da quando una folla di ragazzini prese d’assalto il Lungomare di Napoli, formando un picchetto davanti all’ingresso del Grand Hotel Vesuvio, tanto da attirare l’attenzione delle forze dell’ordine. Non si trattava di manifestanti, né di tifosi pronti ad assaltare l’autobus della squadra fuori casa, ma di una fandom, eterodiretta dal tweet di un sedicente profilo di Justin Bieber, che annunciava ai fan l’intenzione di trascorrere la notte a Napoli, durante un viaggio con la sua famiglia per le meraviglie del sud Italia. Chissà che dietro non ci fosse già lo zampino di Musk, prove generali per la disinformazione che sarebbe arrivata negli anni a seguire. Fatto sta che quella sera una folla di adolescenti era pronta a passare la notte accampati per strada, cantando in coro, in un inglese stentato, Never say never, pur di vedere il loro idolo apparire, anche solo per un attimo, dalle porte dell’hotel.
Il celebre meme della ragazzina che grida, in preda a un pianto disperato a notte fonda, ormai rassegnata all’idea che la speranza di vedere Justin Bieber fosse svanita: “Perché no Napoli, sei tutta la nostra vita, ti prego vieni, vogliamo cantare con te”, è rimasto nella storia. Oggi, ormai ventenne, la ragazzina si dichiara ancora fan di Justin Bieber, ma non più con lo stesso fervore di allora, che Bieber non fosse poi apparso, un trauma ormai superato.
Ma perché no Napoli? Come non approfittare della devozione assoluta ed esclusiva di un popolo in cui l’idolatria non smette di essere trasversale?
Dieci anni fa, nel gennaio del 2015, moriva Pino Daniele. La corsa dalla villa di Magliano all’ospedale Sant’Eugenio di Roma non bastò a salvargli la vita. Nei giorni a seguire la città si trasformò in un diffuso flash mob, ovunque si cantava in coro Napul’è, sulle scale della neonata metro di piazza Garibaldi, lungo via Toledo quando ancora non era stata invasa dai turisti, su e giù per la funicolare. Per il funerale, dopo la prima cerimonia a Roma, una piazza del Plebiscito in lacrime, una folla da giubileo. Mesi dopo, De Magistris non mancò di intitolargli una strada – quella che un tempo era vicoletto Donnalbina adesso è via Pino Daniele. Il cordoglio della città è un ricordo che ancora commuove. Qualche settimana fa lo stadio è piombato in un religioso silenzio mentre veniva trasmesso per la prima volta un pezzo inedito di Pino Daniele, Again, un momento di culto collettivo che dimostra che qui a Napoli gli idoli sono una cosa seria.
Noi sfessati millennial, seppure testimoni della recente vittoria del campionato, rimpiangeremo sempre di non aver assistito al trionfo di Maradona. E non c’è film di Sorrentino capace di restituirci l’emozione di vivere in una città – molto prima dell’overtourism e delle ztl – in cui incappavi nella rappresentazione del pibe de oro anche nei giardini più reconditi di Posillipo, sotto forma di teste di ceramica. In alcuni vicoli del centro storico, durante i mondiali di calcio, si continua a tifare Argentina.
Del resto noi, non ancora nati quando usciva Nero a metà, siamo arrivati in ritardo anche per l’autentico Pino Daniele. Ci siamo accontentati delle cassette che i nostri genitori ci propinavano nei viaggi in macchina, gli album sacrileghi, quelli dove cantava in italiano, i duetti con Irene Grandi. Scoccia dirlo, ma gli idoli già stavano cambiando alla fine degli anni Novanta: mentre Pino Daniele cantava “faciteme passa’ c’ aggia parla’ cu Bassolino”, proprio mentre finiva il rinascimento napoletano del sindaco, iniziava a farsi strada un nuovo cantautore, diciamo meno sperimentale: Gigi D’Alessio. Un mio compagno di scuola aveva istituito una sua tassonomia personale: se ascolti Gigi D’Alessio sei uno che vive in strada, se ascolti Pino Daniele sei uno che passa tutto il tempo in casa, con mamma e papà. La dicotomia tra destra (Gigi D’Alessio, stroncato dalla critica ma ancora oggi capace di riempire gli stadi) e sinistra (Pino Daniele, o meglio Pino per tutta quella intellighenzia alla ricerca di un preciso posizionamento), non è mai stata superata. Stesso quartiere, stessa casa discografica, per quanto, a un certo punto della loro carriera, abbiano provato ad andare d’accordo i fan non hanno mai accettato una possibile conciliazione: nel 2008 Pino Daniele lo invitò a un suo concerto ma Gigi D’Alessio fu accolto da fischi.
Oggi, a sbaragliare ogni dubbio ci pensa l’idolo del momento: Geolier. Il suo ultimo concerto al Diego Armando Maradona è stato un evento unico, altro che Eras Tour. A differenza di molti altri rapper che all’Assago Forum attirano preadolescenti scalmanati che non vedono l’ora di poter gridare parolacce lontani dai professori, ai concerti di Geolier si è raccolta un’umanità più larga, dove anche genitori millennial cantano fedeli al nuovo artista che finalmente può sostituire i vecchi idoli e conciliare ogni dicotomia, confermando il ruolo unico della musica napoletana.
“Ma perché no Napoli? Come non approfittare della devozione assoluta ed esclusiva di un popolo in cui l’idolatria non smette di essere trasversale?”
Quest’estate la top 50 Italia di Spotify registrava un dato anomalo: mentre in classifica figuravano, come sempre, solo artisti tra la trap e il rap (Anna, Shiva eccetera), età media venticinque anni, nessuno ha notato Sal Da Vinci piazzarsi al decimo posto. Cinquantacinque anni, con la sua Rossetto e caffè: pezzo melodico, tra Claudio Baglioni e Mina, si è aggiudicato in poco tempo il disco di platino. Carriera lunghissima, nato a New York – il padre Mario Da Vinci era impegnato in una tournée per gli Stati Uniti in quanto interprete della sceneggiata napoletana – ha raggiunto il successo con il musical Scugnizzi, propinato in tutti i modi a liceali e non degli anni duemila, chissà se paragonabile alla sua Rossetto e caffé, che adesso è diventata virale invece grazie a Tiktok – tanto da farla entrare nella classifica Global di Spotify.
Chiunque oggi voglia capire cosa stia succedendo a Napoli, decifrare i nuovi fenomeni, capire perché in città dal nulla compaiono code infinite per accaparrarsi un panino da salumeria, non può fare a meno, ahimè, di scaricare TikTok.
Volendo creare una fenomenologia dei tiktoker napoletani, i nuovi idoli del digitale, potremmo dividerli in due grosse categorie: quelli da reality show, fenomeni da baraccone che alimentano un bieco gusto voyeuristisco, e i lavoratori, il quinto stato digitale, creator che puntano tutto sulla manualità del loro mestiere, meglio se in chiave asmr. In comune hanno la stessa strategia: basano il loro feed su un quantitativo enorme di video al giorno (in fondo se ogni video raggiunge migliaia di visualizzazioni, sommandole si può monetizzare il giusto, almeno quanto un reddito di cittadinanza).
Mentre però i primi riciclano vecchie economie da sussistenza (quasi sempre finiscono per esibirsi in concertini paesani come i neomelodici) i secondi hanno messo su aziende che fatturano milioni di euro. Dal primo gruppo sono emerse figure diventate iconiche, almeno per la cultura trash, come Rita De Crescenzo. Sono passati quattro anni dal suo primo video, in cui gridava contro l’obiettivo un’espressione destinata a diventare virale: “Ma te vulisse fa’ na gara e ballo?”. Tanto virale da spingerla a registrare la sua hit (Ma te vulisse fa na gara e ballo, per l’appunto) il cui videoclip, girato in una hummer limousine a spasso per via Caracciolo, oggi conta quasi otto milioni di visualizzazioni su YouTube. Ad oggi non solo conta milioni di follower ma un sistema di eventi che la vede impegnata sia in Italia che all’estero per concerti, comunioni, battesimi, fino all’ultima novità: la colazione. Per soli trecento euro Rita ti arriva in casa con una scatola piena di cornetti, brioches col tuppo, snack, si rende disponibile a girare Tiktok e scattarsi selfie con il chiapparello fortunato. Insuperabile l’inaugurazione del suo Svergognata shop, la parata felliniana, lei in testa con tanto di corona e scettro, due bodyguard a fare spazio,una folla che ha bloccato il traffico – secondo qualcuno senza autorizzazione – corteo di ragazze trans e altre minoranze che da sempre Rita ha dichiarato di voler difendere.
Da un paio di anni ha preso in casa, in veste di domestica, Laura La Divina, altro idolo web, ideatrice a sua insaputa di innumerevoli meme, ma con un passato non molto felice che adesso Rita De Crescenzo è intenzionata a riscattarle. Più vicina al gusto Kardashian, invece, è Veronica, veryesasy, Secondigliano, che ha messo in piazza tutta la sua vita in seguitissime dirette a notte fonda dove, tallonata dai suoi haters, è arrivata a confessare segreti familiari indicibili, tra cui l’esistenza di un figlio nato fuori dal matrimonio (oltre ai cinque già suoi, ha solo trentacinque anni).
La trivialità e la sguaiataggine hanno creato diverse derive. Oltre agli imitatori, hanno generato anche una nemesi: il deputato dei Verdi Francesco Emilio Borrrelli. Al grido di : “noi vogliamo la vittoria della Napoli per bene!” ssi è fatto portavoce di tutti i napoletani che si sentono disonorati da nuovi fenomeni trash, dall’immagine grottesca che il resto d’Italia ha di noi. Come uno sceriffo gira per la città filmando chiunque contravvenga alla legge: venditori ambulanti, parcheggiatori abusivi, guai a sostare in doppia fila o sul marciapiedi, si rischia di ritrovarsi Borrelli che ti inquadra senza pietà e reclama giustizia nei “per te” di Tiktok. Tutto è iniziato proprio contro Rita De Crescenzo, sua acerrima nemica, in merito a un ormeggio abusivo che quest’ultima gestiva di fronte al consolato americano. Il suo odio ostinato contro la sguaiataggine e l’illegalità è sintetizzabile nel timbro della sua voce, graffiata, accesa, quasi disperata. Il Giancarlo Siani che i nostri tempi meritano. Come spesso accade a chi, ossessionato, rincorre un’idea fissa, il rischio è quello di non vedere il poco che di buono c’è in qualunque circostanza. Perché, nonostante l’uso scriteriato che si fa degli algoritmi di tiktok, qualcuno è riuscito a sfruttarli nel modo giusto.
Un esempio emblematico è Donato de Caprio: fino a due anni fa era un semplice garzone nella gastronomia I Monti Lattari alla Pignasecca, dove preparava panini con passione. Per gioco — o almeno così racconta — ha iniziato a filmarsi mentre affettava prosciutti e sgocciolava mozzarelle, accumulando in pochi mesi milioni di follower e un endorsment di Bella Hadid. Oggi Donato, grazie al supporto di Steven Basalari, gestisce quattro store e vanta un fatturato che, già nei primi mesi, sfiorava il milione di euro. È il primo caso di un’attività commerciale nata grazie a TikTok, subito seguita dall’esempio di Carmen Fiorito, meglio conosciuta come NewMartina. Partendo da un modesto negozio di famiglia (Martina è infatti il nome della zia, proprietaria del negozio di elettronica) ha trovato il successo tramite Tiktok: con un’ipnotica sequenza di video in asmr, senza dire una parola, si limitava ad applicare pellicole protettive agli smartphone dei suoi clienti, incantandoli con il ticchettio delle sue unghie sullo schermo, il magnetico spray per ripulire i display, è riuscita a trasformare la sua attività in un’azienda dal fatturato anche qui milionario. Il Corriere della sera le ha dedicato una pagina intera, sul principale quotidiano nazionale si spiega l’espressione martinizzare, ovvero rinnovare il look del proprio telefono con i prodotti NewMartina: tra i martinizzati celebri si contano Totti, Emma Marrone, addirittura attori riflessivi come Luca Zingaretti e Luisa Ranieri.
Manca solo Paolo Sorrentino. Con il suo ultimo film Parthenope non si è ancora martinizzato, ma quasi. Per promuovere il suo lavoro è comparso infatti in qualsiasi anfratto di Tiktok, ha voluto dialogare con “i ragazzi di oggi, che sono nettamente migliori di quando io avevo diciotto anni, sono estremamente intelligenti e colti”. Le interviste con i giovani creator napoletani come Francesca Amara, Davide Avolio in occasione dell’anteprima al cinema Modernissimo, lo hanno visto goffo e imbambolato di fronte alla vitalità della generazione Z. La prima presentazione del film con Guè Pequeno, in tv da Gramellini, l’ufficio stampa si è sbizzarrito, e il film infatti ha incassato più di un milione di euro a cui è seguito un post in pieno stile influencer “un milione di volte grazie”.
“Non si trattava di manifestanti, né di tifosi pronti ad assaltare l’autobus della squadra fuori casa, ma di una fandom, eterodiretta dal tweet di un sedicente profilo di Justin Bieber, che annunciava ai fan l’intenzione di trascorrere la notte a Napoli”.
E con un secondo film su Napoli, dopo essersi giocato già la carta Maradona, al regista restano pochi idoli da immortalare. Con Parthenope, tra i miracoli di San Gennaro, lo scudetto del Napoli e la disinfestazione del colera, ha fatto piazza pulita. Certo, la scena in cui Luisa Ranieri recita nei panni di Greta Cool ha fatto molto discutere. Per quanto il regista abbia smentito la cosa più volte, come non pensare che dietro la parrucca strappata all’attrice napoletana dalla fama mondiale, più volte madrina di Costa Crociere, non ci sia Sophia Loren?
Perché poi farle recitare un’invettiva contro i napoletani? “Siete poveri, vigliacchi, piagnucolosi, arretrati, rubate e recitate male. E sempre pronti a buttare la croce addosso a qualcun altro, all’invasore di turno, al politico corrotto, al palazzinaro senza scrupoli, ma la disgrazia siete voi, siete un popolo di disgraziati. E vi vantate di esserlo, non ce la farete mai… cari orrendi napoletani io me ne torno al Nord, dove regna il bel silenzio, dal momento che io non sono più napoletana da molti anni. Io mi sono salvata, ma voi no. Voi siete morti”.
Intanto, ancora sui social, il regista è stato immortalato mentre ballava sulle note di Mon Amour all’ultimo concerto di Gigi D’Alessio. Forse la sua Greta Cool non ha tutti i torti. Ma a riscattare i napoletani ci pensa Stefania Sandrelli nell’ultima commovente scena del film. Proprio davanti al Grand Hotel Vesuvio, l’attrice guarda con compassione, l’unico sentimento che si può provare dopo una vita passata a chiedersi come si fa a vivere nella città più bella del mondo, qualcosa che arriva da lontano, avanza piano, al rallentatore: un carro pieno di tifosi che esultano per lo scudetto. Per un attimo ho sperato si trattasse di Justin Bieber.
Gianluca Nativo
Gianluca Nativo è insegnante e scrittore. Il suo ultimo libro si intitola “Polveri sottili” (Mondadori, 2023).
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