Non si affitta ai meridionali. Storie di razzismo nel Nord Italia di oggi - Lucy
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Angela Falconieri

Non si affitta ai meridionali. Storie di razzismo nel Nord Italia di oggi

In pieno boom economico, il Nord Italia rappresentava una meta ambita e a tratti obbligata per i cittadini del Sud, accolti come stranieri e spesso emarginati. Questi atteggiamenti discriminatori esistono ancora oggi, soprattutto nei confronti di chi cerca casa per ragioni di studio e lavoro, ma è più difficile tenerne traccia. Il razzismo nei confronti dei meridionali è ancora un problema statisticamente rilevante? Se sì, dovremmo tornare a porci domande a cui credevamo di avere già risposto.

È il 2018 e Adele (nome di fantasia), studentessa barese di 19 anni si è appena trasferita a Venezia per la laurea specialistica alla facoltà di Filologia classica, università Ca’ Foscari. Si mette alla ricerca di una stanza. Scova un posto in doppia in uno studentato. La camera è ariosa, minimale, pochi mobili ma funzionali: una poltroncina foderata, due letti singoli poco distanti tra loro, un bagno in comune. La prende, anche perché in città i prezzi degli affitti sono esorbitanti, sia nelle zone di pregio sia nelle aree più periferiche.

La coinquilina di Adele, Clara (anche questo è un nome di fantasia), è lombarda. I rapporti tra le due, da subito, sono tesi. Appena insediata, infatti, Adele si trova a dover fare i conti con i pregiudizi che, da sempre, i meridionali si portano addosso: sono ospitali e allegri, magari, ma anche oziosi, rumorosi, inaffidabili se non addirittura dei malfattori. 

Adele è guardata con superiorità, diventa il bersaglio su cui Clara scaglia commenti taglienti, offensivi.  “Non aveva gioielli in casa. Dopo qualche mese di convivenza, candidamente mi ha confessato che temeva che io – in quanto meridionale – avrei potuto derubarla”, racconta Adele. 

Dopo un anno, Adele si mette alla ricerca di una nuova sistemazione. Tramite un passa parola, trova una camera in un appartamento abitato da due studentesse. Prende accordi e va a visitarlo. Ad accoglierla ci sono le due inquiline. Adele ha un accento ibrido, tra il barese e il veneziano, e così le inquiline le chiedono da dove viene. “Quando ho detto di essere del Sud, una delle due, quella a cui sarei dovuta subentrare, mi ha detto che non avrebbe mai accettato di convivere con meridionali ma che, dato che avrei preso il suo posto, il problema non si sarebbe posto. Ero esterrefatta”.

L’intolleranza e la diffidenza che Adele ha sperimentato a più riprese non sono un caso isolato. Qualche mese fa cercavo di raccogliere esperienze di persone migranti arrivate in Italia che avevano avuto difficoltà nel trovare un alloggio. Volevo indagare le discriminazioni di padroni di casa e affittuari nei confronti degli stranieri. Ma prima ancora di arrivare al nocciolo della mia ricerca, tra le tante storie che mi sono piovute addosso, mi sono accorta che c’era un altro schema ricorrente che valeva la pena registrare: l’antimeridionalismo. Un fenomeno che, nell’opinione comune, fa parte del passato, di un immaginario legato al boom economico, all’emigrazione di tanti meridionali alla ricerca di lavoro e migliori fortune nel Nord Italia nel secondo dopoguerra. Le testimonianze e le storie che ho raccolto sembrano invece suggerire una realtà differente: in Italia un antimeridionalismo pervicace e diffuso esiste ancora, nonostante il fenomeno non sia mappato e nonostante non ci siano inchieste che traccino la reale portata del problema.

Tra i pochi dati che si trovano, c’è l’ultima indagine nazionale condotta dall’Unione degli Universitari su un campione di 20 mila partecipanti e pubblicata il 24 ottobre 2023. Da lì emerge che il 4 per cento degli studenti fuorisede subisce discriminazioni a causa della propria origine, ma la ricerca si riferisce soprattutto a quelle di genere ed etniche.

“Prima ancora di arrivare al nocciolo della mia ricerca, tra le tante storie che mi sono piovute addosso, mi sono accorta che c’era un altro schema ricorrente che valeva la pena registrare: l’antimeridionalismo”.

Spiega Simone Agutoli, referente dell’esecutivo nazionale:  “Avevamo deciso di concentrati su queste due tipologie di discriminazione, eppure, con nostra sorpresa, dalle risposte sono emerse dichiarazioni a campo libero di matricole del Sud Italia che denunciavano la propria difficoltà nella ricerca di una casa e nella stipula di un contratto a causa della loro provenienza”. La questione c’è, dunque, ma resta ancora delimitata tra le righe degli aneddoti personali. “Sebbene non siano state monitorate statisticamente”, aggiunge Agutoli, “credo che queste testimonianze ci dicano che l’antimeridionalismo è un problema che in Italia esiste ancora e a cui va dato risalto”.

La disponibilità limitata di soluzioni abitative e il costo elevato degli alloggi favoriscono situazioni di questo tipo. Un’altra storia: Valentina (ancora un nome di fantasia), lucana, oggi impiegata. È il 2019, ha 25 anni e cerca casa a Milano per frequentare uno stage universitario della durata di un anno. Fissa un appuntamento, a cui segue uno scambio di messaggi con la proprietaria di casa. “Quando ha scoperto che ero lucana, mi ha scritto: La casa non è disponibile. Auguri!”.

Ho continuato a raccogliere storie simili, in pochi giorni sono arrivata a una ventina. Rifiuti, alle volte espliciti, altre malcelati, nei confronti di persone del Sud Italia, comprese tra i diciannove e i ventotto anni. Vicende che ricordano quelle raccolte da Goffredo Fofi nel saggio l’immigrazione meridionale a Torino:  era il 1975, quando ancora i meridionali gremivano le stazioni “fra commozioni e raccomandazioni” per attraversare la penisola a bordo del treno del Sole e, una volta a Nord, venivano emarginati, bollati con “parole ostili (napuli o marocchini)” e accolti da altri “immigrati o da nessuno”.

Fofi racconta di come Piemonte e Veneto, tra gli anni Cinquanta e Settanta, rappresentassero un’ambita meta migratoria per siciliani, pugliesi, calabresi, campani e lucani. L’esclusione si manifestava esplicitamente, all’epoca: i portoni delle case recavano cartelli a caratteri cubitali con su scritto non si affitta a meridionali, mentre i giornali locali buttavano benzina sul fuoco. 

Oggi ​​siamo distanti da quella separazione sociale così netta e violenta. Ma l’integrazione tra meridionali e settentrionali non sembra essersi ancora pienamente realizzata. 

Secondo le indagini Istat, nei dieci anni tra il 2012 e il 2021, circa 1 milione e 138 mila persone sono emigrate da Sud a Nord e il Mezzogiorno ha perso 525 mila residenti. Nell’ultimo rapporto Svimez si evidenzia che le migrazioni verso il Centro-Nord hanno interessato in misura crescente le giovani generazioni: tra il 2002 e il 2021 il Mezzogiorno ha subito un deflusso netto di 808 mila under 35, di cui 263 mila laureati.

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Al 2080 si stima una perdita di oltre 8 milioni di residenti nel Mezzogiorno, pari a poco meno dei due terzi del calo nazionale (–13 milioni). La popolazione del Sud, attualmente pari al 33,8% di quella italiana, si ridurrà ad appena il 25,8% nel 2080. Si tratta di studenti o giovani lavoratori che in questo esodo faticano ancora a trovare una casa.

Non esiste, però, solo il rifiuto. Raccolgo anche la storia di Luca (nome di fantasia), ventottenne pugliese, controllore di traffico aereo. Si trasferisce a Forlì per frequentare un corso di formazione. Il mercato immobiliare è altissimo, gli affitti hanno raggiunto una media di 700/800 euro mensili. Ha bisogno di una casa per sei mesi con estrema urgenza. Trova un appartamento e chiama il proprietario per fissare un incontro. Anche a Luca viene chiesta la provenienza. Il suo accento marcato è inequivocabile. Il proprietario, in questo caso, non lo scarta, ma gli sottopone un foglio da firmare, scritto a penna, con degli obblighi da rispettare: non arrecare danni, non rubare nulla all’interno dell’appartamento, impegnarsi ad assolvere ai pagamenti.

“Ho pensato che fosse strano, ma poteva trattarsi di un eccesso di prudenza. Io e un mio coinquilino – di origine albanese ma nato e cresciuto a Bologna –, abbiamo scoperto, però, che non viene fatto firmare a tutti i locatari, ma solo a stranieri e meridionali”, dice Luca.

Massimo Pasquini, segretario nazionale dell’organizzazione Unione Inquilini in carica fino al 2021, non è affatto stupito di questi casi. “Molti meridionali, quando vengono da noi per discutere di questioni abitative, ci raccontano di aver avuto problemi o di aver subito discriminazioni. Negli ultimi anni abbiamo notato un incremento di vicende del genere. Talvolta, nonostante siano assolutamente solventi, sono le stesse agenzie immobiliari a respingerli”, racconta. 

Ma perché queste storie non vengono trattate in modo sistematico? Perché restano nell’aneddotica? Il fenomeno è praticamente impossibile da mappare perché il respingimento avviene spesso in maniera subdola, non esplicita o difficile da dimostrare, eventualmente, in tribunale: esiterebbe già, infatti, l’art. 43, comma 2 del testo unico sull’immigrazione che sancisce il divieto a qualsiasi esercente di veicolare messaggi discriminatori o di attuare illegittimamente trattamenti svantaggiosi nell’accesso all’alloggio, di adottare comportamenti xenofobi e razzisti nei confronti di cittadini italiani, di apolidi e di altri Stati membri dell’Unione europea presenti in Italia.

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A prescindere dalle garanzie di cui dispone e dal proprio potere economico, per uno studente o un lavoratore del Sud può essere più faticoso trovare casa nelle città in cui lavora. “A queste difficoltà”, racconta Pasquini, “si aggiunge la preferenza dei locatori per affitti brevi e transitori anziché di media o lunga durata”.

Guardiamo al quadro più generale: in Italia manca una politica abitativa forte. E quello della casa è un problema serio. La legge 431 del 9 dicembre 1998 disciplina la questione delle locazioni e del rilascio degli immobili ad uso abitativo, e, all’articolo 12, sancisce l’istituzione di un Osservatorio nazionale della condizione abitativa definendone l’organizzazione e le funzioni. L’osservatorio è stato istituito soltanto il 14 luglio del 2022 e, ad oggi, non ha emesso nessun documento. Intanto gli immobili subiscono un crescente processo di turistificazione: si predilige affittare ai turisti, disposti a pagare cifre più alte per brevi periodi, piuttosto che a inquilini duraturi. Si tratta di un fenomeno in crescita a partire dal 2017, quando la legge 96 ha legittimato gli affitti brevi, ovvero della durata non superiore a 30 giorni e senza obbligo di registrazione.

“Perché queste storie non vengono trattate in modo sistematico? Perché restano nell’aneddotica? Il fenomeno è praticamente impossibile da mappare perché il respingimento avviene spesso in maniera subdola”.

Secondo la ricercatrice Sarah Gainsforth potrebbe esistere una correlazione tra il caro affitti e la diffusione degli affitti brevi  – politiche che amplificano le disuguaglianze sociali e consentono ai proprietari di operare una selezione sempre più restrittiva sugli affittuari – e l’aumento di episodi discriminatori. “È preoccupante che i casi di discriminazione non siano tracciati ed è difficile proporre una soluzione”, racconta. “Servirebbe una maggiore offerta pubblica di case, una maggiore regolamentazione dello stato nella gestione degli immobili privati e bisognerebbe limitare la quantità di immobili destinati ad affitti brevi”. Chiunque subisca discriminazioni, dice Gainsforth, “dovrebbe ricorrere a organizzazioni sindacali che mediano tra locatori e locatari, come il Sunia, il Sicet e Unione Inquilini, e che fanno valere i diritti degli inquilini”.

Spesso, però, gli inquilini non sono a conoscenza dell’esistenza di sindacati che possano tutelare i loro diritti.

Come Anna (ultimo nome di fantasia), studentessa veneta di 22 anni, iscritta alla facoltà di Sociologia a Padova. “Ho dovuto cercare un inquilino che condividesse con me la casa e, per due volte, il proprietario ha detto che avrei potuto occuparmene da sola. A un’unica condizione: che provenissero dalla Toscana in su”.

Angela Falconieri

Angela Falconieri è insegnante e freelance. Collabora con «Valigia Blu». Ha curato il progetto fotografico “Alterego”, realizzato dai migranti del ghetto Borgo Mezzanone.

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