Valentina Pigmei
Se un tempo il genere era rigoglioso, e frequentato da grandi registi e dive favolose, oggi sembra che non si sappia più raccontare l'amore con leggerezza e ironia. Cos'è cambiato?
Che siano ben confezionate, con una bella colonna sonora e un po’ indie; british e scritte benissimo; antidiluviane e in bianco e nero; in versione Netflix con lettering gigantesco, che siano film d’autore o blockbuster nudi e crudi: adoro le commedie romantiche. Mi piacciono i film che hanno il potere di far sorridere, luccicare gli occhi, sognare, identificarsi, tornare indietro nel tempo, ma anche riflettere sulla condizione umana, sulle relazioni. Che donna vorrei essere, che donna sono diventata, che colpe hanno i miei genitori, perché commisi quell’errore tanti anni fa, sono alcune delle domande che mi pongo guardando le rom-com. Più che guilty pleasures o film d’evasione le ho sempre considerate, se ben scritte, sedute gratuite di psicoterapia. E come me tanti e tante altre. E allora perché oggi il genere sembra arrancare?
Come accade stagionalmente per il romanzo, anche la rom-com viene infatti dichiarata morta o in gravissime condizioni da oramai qualche anno. E allora si rimugina sui vecchi film di una volta, da Billy Wilder a Nora Ephron, borbottando che “non fanno più ridere” e che “non ci sono più le attrici di un tempo”. Del resto, abbiamo rimpianto Katherine Hepburn e Diane Keaton quando avevamo Julia Roberts e Meg Ryan, e adesso rimpiangiamo loro avendo Lena Dunham e Phoebe Waller-Bridge, in un eterno vortice di nostalgia.
Scrivere una bella rom-com oggi è senza dubbio difficile. Alcuni dicono che sia colpa del digitale e della messaggistica, altri del sesso facile; io penso che sia colpa di sceneggiatori scarsi e di attrici e attori che si adeguano acriticamente a Hollywood. “Per la Hepburn non si trattò mai di cambiare per adeguarsi a Hollywood; fu Hollywood che dovette cambiare per adeguarsi a lei”, scriveva Zadie Smith in Cambiare idea (minimum fax, 2013), in un saggio sull’attrice che vinse tre Oscar e non andò a ritirarne nemmeno uno. Ma non tutto è perduto, e ci torneremo.
Ora è importante capire come deve essere una commedia romantica per essere una bella commedia romantica. Prima di tutto deve avere un protagonista maschile che, prima o dopo, faccia innamorare. Dunque serve un attore innamorabile e gentiluomo (Cary Grant), innamorabile e impacciato (Hugh Grant), innamorabile e simpatico (Mark Ruffalo), innamorabile e irraggiungibilmente giovane (come Nicholas Galitzine, il co-protagonista di The Idea of You, ma ci torneremo) e così via. Più di recente sono entrati nell’universo della rom-com nuovi caratteri maschili: il nice guy, il sensibile (come il protagonista di 500 giorni insieme interpretato da Joseph Gordon-Levitt), il riflessivo, il nerd, il disperato (come Simon Pegg in Man up).
“Che siano ben confezionate, con una bella colonna sonora e un po’ indie; british e scritte benissimo; antidiluviane e in bianco e nero; in versione Netflix con lettering gigantesco, che siano film d’autore o blockbuster nudi e crudi: adoro le commedie romantiche”.
Nelle serie tv, dove c’è più tempo per i personaggi di evolversi, si può anche essere repellenti all’inizio, come lo era Adam (Adam Driver) nelle prime puntate di Girls, per poi diventare uno che tutte vogliono sposare. O ancora si può essere un po’ superficiali e bellocci come il Dexter della recente mini-serie tv One Day (2024) tratta dall’omonimo cult book, per poi trasformarsi nel personaggio sfaccettato dell’ultra-commovente finale. Anche i personaggi femminili devono essere necessariamente interessanti, pluridimensionali, non banali, questo è forse il motivo per cui le commedie romantiche italiane non funzionano.
Come mi ha detto una volta Francesca Marciano, scrittrice e sceneggiatrice di grande talento (vi ricordate Maledetto il giorno che ti ho incontrato, con Carlo Verdone e Margherita Buy? Ecco l’ha scritta lei): i personaggi femminili delle commedie romantiche italiane – soprattutto nei film scritti dagli uomini – rischiano di essere delle belle ragazze, oggetto di desiderio, prive di personalità. Pensate alle commedie italiane: vi vengono in mente personaggi memorabili? Laddove le rom-com di successo, anglo-sassoni o francesi, si basano proprio su questo: caratteri indimenticabili, fuori dalla comune. “Non bastano le situazioni, ci vogliono anche i personaggi”, diceva Marciano. “E quelli femminili italiani sono quasi sempre uguali: delle rompicoglioni o delle maliarde, delle traditrici o delle donne da tradire”. Fine della digressione. Veniamo all’altro ingrediente essenziale della rom-com: deve avere una bella colonna sonora. E così i film italiani sono sostanzialmente quasi tutti esclusi, a parte rare eccezioni – a onor del vero ci sono stati dei miglioramenti vistosi fuor di genere, come la serie Netflix Tutto chiede salvezza, di Francesco Bruni, e La legge di Lidia Poët, entrambe con colonne sonore notevoli.
Non bisogna poi scambiare il romanticismo con il sentimentalismo – del quale nel nostro paese sembrano essercene scorte inesauribili – e non bisogna nemmeno aver paura del romanticismo. Forse il problema è che noi non abbiamo avuto Austen, ma Giovanni Verga. I due generi hanno delle affinità, intendiamoci: l’argomento amoroso con i suoi ostacoli è centrale in entrambi; ma mentre la commedia la trama amorosa è mescolata a elementi umoristici tipo equivoci, liti e riappacificazioni, camuffamenti o scambi di persona, nel dramma sentimentale tutto questo manca. La buona commedia romantica deve anche assolvere al difficile compito di far ridere di cose serie. E quindi servono una scrittura brillante e due bravi attori uniti da un’ottima chimica.
È dai tempi di Accadde una notte (1934) di Frank Capra, dove l’intraprendente reporter (Clark Gable) stalkera spassosamente una ricca ereditiera (Claudette Colbert), che abbiamo capito quanto è importante la sintonia tra i due protagonisti, tanto che il film, visto oggi, è ancora esilarante e romanticissimo. Se tra i due attori non c’è intesa e non vengono pronunciate battute effervescenti non si ride. Non si fa il tifo per nessuno, non si piange. Insomma: non può essere una bella rom-com. A volte le battute sono davvero indimenticabili: chi si è scordato la frase della vicina di tavolo in Harry ti presento Sally “Prendo quello che ha preso la signora”? O Ewan McGregor appena sveglio in Beginners che dice: “A trentotto anni mi sto di nuovo innamorando, è come se avessi perso le istruzioni”?
Spesso mi domando se per scrivere una bella storia d’amore sia necessario aver vissuto pene d’amore. Se per scrivere un thriller è chiaro che non bisogna aver accoltellato nessuno, vale lo stesso anche per il romanticismo? Se lo potessimo chiedere alla compianta Nora Ephron – la sceneggiatrice di alcuni capisaldi del genere come il succitato Harry, ti presento Sally , C’è post@ per te e Insonnia d’amore – che ha anche diretto – avrebbe detto sicuramente di sì; lei che diventò famosa nel 1983 con il romanzo Heartburn, portato sul grande schermo da Mike Nichols tre anni più tardi, interpreti Meryl Streep e Jack Nicholson. Incinta del suo secondo figlio, Ephron aveva scoperto che il marito la tradiva con un’amica comune. Lo aveva lasciato e aveva scritto un best-seller. “Le tragedie della tua vita di oggi hanno il potenziale di essere le storie comiche di domani”, ha scritto Ephron.
Tess Morris, la sceneggiatrice britannica di Man up, un film divertentissimo che in Italia non è conosciuto come all’estero – complice forse la traduzione del titolo, Un amore per caso – aveva composto un decalogo su come scrivere una buona commedia romantica. Uno dei punti recitava: “Devi aver avuto il cuore spezzato per scrivere una rom-com”. Su un’altra cosa Tess Morris era drastica: “Forget Tinder”. In effetti devo ancora vedere un tentativo riuscito di raccontare amori nati sui siti di incontri e simili.
Più che decretare la morte della commedia romantica, forse è interessante analizzarne i mutamenti. Lo schema anni Ottanta-Novanta dove la donna-Cenerentola incontra l’uomo-mascho-salvatore (Pretty Woman, per esempio) ecco, sì, quello forse, per fortuna, non esiste più. Anzi, è da poco uscita la commedia vincitrice di Cannes Anora, dove la protagonista crede di essere una pretty woman e si ritrova abbandonata al suo destino dopo poco tempo. Segno che perfino le rom-com hanno capito l’antifona: non crediamo più agli uomini come un tempo. Il genere si è evoluto, come la vita. Il tradimento come “scottatura del cuore” raccontato da Nora Ephron non è più così diffuso. L’uomo manipolatore che resta impunito, le molestie sul lavoro ignorate, il modello egemone di famiglia tradizionale, nemmeno. Lo sforzo delle rom-com di stare al passo con i tempi è evidente, talvolta goffo, altre riuscito. Se le famiglie sono oggi spesso ricomposte o monogenitoriali ecco allora che si prova a raccontarle, una delle prime era stata I ragazzi stanno bene, il film che ha lanciato il sex symbol preferito dalle ragazze colte, Mark Ruffalo. E cambiano anche le dinamiche tra i generi. In Notting Hill, cult movie degli anni Novanta scritto dall’insuperabile Richard Curtis, un’attrice famosa (Julia Roberts) si innamora di un umile libraio, mentre in The Idea of You, una gallerista di mezza età (in forma come può esserlo Anne Hathaway a 45 anni) si innamora di una star del pop ventenne. Ribaltamento cinematograficamente riuscito? Non saprei, ma interessante sul doppio standard che ammanta la differenza d’età tra uomini e donne, questione affrontata con spirito simile in altri film recenti, curiosamente tutti interpretati da Nicole Kidman: A Family Affair con Nicole Kidman e Zac Efron e Babygirl, dove Kidman è accompagnata da Harris Dickinson.
La natura dell’amore della canadese Monia Chokri è un film che contiene consapevolmente tutti i cliché del genere, e li rivisita con un’ironia contemporanea con echi marxisti: Sophie, una prof di filosofia di quaranta anni, insegna all’università per anziani di Montréal e trascina avanti una relazione puramente intellettuale con il compagno Xavier. Un giorno incontra il responsabile della ditta di costruzioni, Sylvain, un uomo incolto, molto sexy. “Una commedia romantica passata sotto la lente dell’analisi marxista contemporanea”, ha scritto Carlo Martello. La chimica fra i due attori quarantenni è notevole e il finale, beh che dire, ho pianto molto.
Altrettanto notevole è quella tra Adrien Brody e Kristen Bell nella nuova serie Nobody Wants This, in vetta alle classifiche di Netflix mentre scrivo. In effetti accostare due stelle della tv del passato (lui adorabile nerd di OC e lei detective liceale in Veronica Mars) strizzando l’occhio al pubblico millennial è stata una trovata riuscita. La serie, forse anche perché manca da un po’ una rom-com un po’ originale, ha riscosso molto successo, ma non direi che sia grazie alla trama (prevedibile) o ai dialoghi (divertenti ma già sentiti). Il suo pregio risiede ancora una volta nel ribaltamento del cliché: una podcaster disinibita e un rabbino sexy ma pudico si incontrano e si innamorano a una cena organizzata da amici. La loro relazione, inizialmente complicata, si sviluppa in un amore sano: tutte le puntate includono un bel lieto fine. Nell’era delle relazioni disfunzionali, forse la storia di due persone che non rinnegano sé stesse per stare insieme, che parlano, litigano e poi di nuovo parlano, appare rivoluzionaria. Lo show è stato anche paragonato a una delle più belle serie tv di sempre, quella Fleabag per cui molte di noi hanno fatto l’abbonamento a Prime Video, soprattutto grazie ad Andrew Scott nei panni del prete sensuale e impossibile.
Forse la rom-com, più che essere scomparsa, potrebbe aver traslocato. In effetti è quasi impossibile vedere una bella rom-com americana sul grande schermo (mentre hanno retto fino a un po’ di tempo fa quelle inglesi) ed è arduo persino trovarne sulle varie piattaforme, almeno tra quelle uscite dopo il 2012. La data è quella fissata da mia figlia e le sue amiche quindicenni che considerano irreparabilmente cringe film come “Come far perdere la testa al capo” e “Tutte le volte che ho scritto ti amo” o “The Kissing Booth” – salvata solo per la presenza del sex symbol della Gen Z Jakob Elordi – e altre rom-com recenti, mentre adorano quelle degli anni Novanta. Ecco un database stilato assieme a loro, che potrebbe tornare utile a tutti.
“Forse la rom-com, più che essere scomparsa, potrebbe aver traslocato. In effetti è quasi impossibile vedere una bella rom-com americana sul grande schermo”.
Dove la commedia romantica e sentimentale ci stupisce e riesce ancora a reinventarsi infatti è proprio nella forma seriale. Ne abbiamo già citate tante, dai capolavori Girls (inspiegabilmente ignorata dalle nuove generazioni) e Fleabag, all’imperdibile serie british Sex Education, ma anche il divertentissimo e inaspettatamente femminista Jane the Virgin, l’esilarante Love (co-creata dal geniale Judd Apatow di 40 anni vergine). Poi c’è la spagnola Machos Alpha, quel casino trash (o camp?) che è Bridgerton, e infine la serie antologica tratta dall’omonimo podcast Modern Love.
Le piattaforme offrono la rassicurante possibilità di rivedere i capisaldi del genere comico-romantico come L’appartamento di Billy Wilder che rimane una delle commedie più brillanti di sempre e che, rivista oggi, vi stupirà, soprattutto alla luce della nuova sensibilità rispetto alle molestie sul luogo di lavoro e all’abuso di potere degli uomini (proprio in questi giorni, se abitate a Roma, potete recuperare alcuni classici di Wilder sul grande schermo qui). Oppure Scrivimi fermo posta di Ernst Lubitsch che ha palesemente influenzato C’è post@ per te o La signora del venerdì di Howard Hawks che ha ispirato tutte le commedie con protagoniste giornaliste. Per non parlare delle innumerevoli riscritture dei classici di Shakespeare e Jane Austen o dei franchise movie sulle principesse contemporanee che emulano tutte l’insuperata Audrey Hepburn di Vacanze romane, citatissima anche in quel pasticcio che è la serie tv Emily in Paris. Non la mia preferita, ma una delle più commoventi rimane Il matrimonio del mio migliore amico con una irresistibile Julia Roberts. Forse perché in fondo è una storia d’amore antiromantica in cui è l’amicizia più che l’amore che salva e redime. O perché, parafrasando la famosa frase di Trollope, “non c’è felicità nell’amore tranne che alla fine di una rom-com”.
Valentina Pigmei
Valentina Pigmei è giornalista e consulente editoriale. Ha fondato l’associazione femminista “La città delle donne” e collabora con diverse testate.
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