Marco Rossari e Patrick Deville
08 Ottobre 2024
Nel suo romanzo Viva, lo scrittore francese intreccia letteratura e vita, ed evoca i fantasmi di un Messico scomparso, da Malcolm Lowry a Lev Trockij, da Diego Rivera a Tina Modotti.
Patrick Deville è tra quegli scrittori che negli ultimi anni più si sono impegnati a reinventare e sperimentare la letteratura di viaggio e il romanzo storico. Marco Rossari, scrittore e traduttore, ha dialogato con lui in occasione di “2084”, il festival della scuola Belleville che si è tenuto a Milano il 21 e 22 settembre. Una conversazione che parte da Viva, l’ultimo libro che Deville ha pubblicato in Italia, collocato in quell’animatissimo crocevia rivoluzionario che fu il Messico degli anni Trenta.
Rossari: Questa chiacchierata è in realtà una seduta spiritica, una messa nera, un’evocazione di fantasmi. Anzi, con un po’ di anticipo sui primi di novembre direi che possiamo viverla come una celebrazione del giorno dei morti, un Dia de los Muertos, perché entrare nei tuoi libri significa fare emergere dal passato – con uno stile eccezionale, vorticoso, meraviglioso – una serie di personaggi, scrittori, artisti, intellettuali di varia natura. Il tuo libro più recente pubblicato in Italia si chiama Viva (nottetempo, nella traduzione di Filippo D’Angelo) e racconta il Messico degli anni Trenta del Novecento attraverso due personaggi quasi leggendari attorno ai quali vorticano, come in una tempesta, altri nomi.
Uno di questi mi è molto caro. Tu dici che esiste una confraternita segreta di suoi amanti, anzi direi devoti al suo culto (e infatti appena ci siamo visti ci siamo riconosciuti come tali). Sto parlando di Malcolm Lowry, l’immenso autore di Sotto il vulcano, romanzo scritto e pubblicato subito dopo la Seconda guerra mondiale e ambientato a Cuernavaca, con al centro un console senza più consolato ma con una grande dedizione all’alcolismo.
Quindi, per cominciare, vorrei chiederti qual è stato, per te, il borbottio decisivo del vulcano, quello che ti ha portato a entrare nel mondo di Lowry. Quando hai aperto la prima volta il libro di Lowry? Cosa hai provato?
Deville: Ho letto Sotto il vulcano per la prima volta negli anni Settanta. In Francia, all’epoca, il libro si intitolava Au-dessous du volcan, al di sotto del vulcano. Malcolm Lowry sosteneva di parlare bene il francese, cosa non vera, e si trasferì a Parigi per sei mesi per partecipare alla traduzione, il che si rivelò un’impresa catastrofica. Dalla traduzione emerse un libro magnifico, molto diverso dall’originale e molto difficile: molti lettori e lettrici non riuscirono ad andare oltre il primo capitolo Anni dopo, il libro fu ritradotto dal poeta Jacques Darras e le cose cambiarono un po’, a partire dal titolo, che divenne Sous le volcan, come nel resto del mondo. In ogni caso, io considero Sotto il vulcano una delle più grandi opere letterarie del ventesimo secolo.
Rossari: L’altra colonna di Viva è un personaggio a tutti familiare e altrettanto leggendario. Sto parlando di Trockij, che racconti negli anni del suo esilio a Città del Messico e della sua fuga eterna. Ora, è difficile pensare a Trockij e a Malcolm Lowry come vicini: Lowry era uno scrittore apatico, politicamente lontano dalla mischia, un figlio di papà alcolizzato e restio alla comunione con gli altri. Trotskij, invece, aveva una missione: provare a cambiare lo stato delle cose. Eppure, questi due uomini così diversi, tu riesci a renderli fratelli….
Deville: Prima di tutto vorrei chiarire una cosa sul mio lavoro. Io non scrivo fiction. I miei sono “romanzi senza finzione”. L’ho fatto, in passato, di scrivere fiction, ma poi ho deciso, venticinque anni fa, di imbarcarmi in un lungo progetto: la scrittura di dodici “romanzi senza finzione”. I punti in comune di questi miei romanzi: sono scritti alla prima persona singolare, hanno una progressione geografica inesorabile – i primi sei si spostano da ovest verso est, gli altri sei invertono il cammino – e iniziano tutti nel 1860 per arrivare ai nostri giorni. Sono partito dall’America centrale, poi equatoriale, poi l’Africa, la Francia e così via. Il prossimo a cui mi dedicherò è incentrato sul mondo arabo.
Quindi, per tornare a Viva, l’arco temporale è molto ampio, perché appunto inizia nel 1860, anno della sconfitta dei francesi in Messico, e finisce nel 2014. E ho deciso di ancorare questo arco temporale su due vite parallele, seguendo un po’ il modello di Plutarco, che usava sempre un personaggio greco e uno romano.
Ora, il vantaggio di scrivere “romanzi senza finzione” è che, non ricorrendo alla finzione, non ho bisogno di essere credibile. Come detto, ho scritto questo libro messicano partendo dalle vite parallele di due personaggi che messicani non erano: lo scrittore britannico Malcolm Lowry e l’ebreo ucraino Trotskij. Accostare le loro due vite è un po’ come porsi la domanda essenziale della letteratura e della politica, che riguarda l’impegno nella Storia. Lowry arriva in Messico per ragioni per nulla politiche: semplicemente, l’alcol costa meno. E poco dopo, questione di settimane o di mesi, Trockij sbarca a Tampico su una petroliera in fuga dalla Norvegia. Arriva perché si deve salvare la pelle. È insieme a Natalia Ivanovna Sedova, è in esilio, è già stato in esilio in vari luoghi. È arrivato in Messico perché il pittore Diego Rivera è riuscito ad ottenere per lui un visto da parte del presidente Lázaro Cárdenas. Quindi Lowry legge dell’arrivo in Messico di Trockij sui giornali e lo integra all’interno di Sotto il vulcano, facendone un personaggio faustiano.
Rossari: Vorrei citare un passaggio del tuo libro, una pagina bellissima che riassume bene il lavoro che fai nel raccontare poeticamente il legame fra Trockij e Lowry. “Hanno lo stesso gusto per la felicità, una felicità semplice e antica, quella della foresta e della neve, del nuoto nell’acqua fredda e della lettura. Avvicinarsi a quei due lì significa avvicinarsi al mistero delle vite dei santi, cercare ciò che li spinge verso le lotte eterne e perse in partenza, l’assoluto della Rivoluzione o l’assoluto della Letteratura, dove non troveranno mai la pace, l’appagamento del lavoro ben fatto. Significa avvicinarsi al senso di vuoto, e alla consapevolezza che l’uomo, nella sua insopportabile finitudine, non è come dovrebbe essere, all’insoddisfazione, al rifiuto della condizione che ci è toccata in sorte, all’immenso orgoglio, inoltre, di andare a rubare anche loro una scintilla, pur sapendo bene che finiranno incatenati alla roccia e continueranno così a mostrarci, eternamente, che hanno tentato l’impossibile e che l’impossibile può essere tentato. Quello che ci gridano, e che noi fingiamo spesso di non sentire, è che ognuno di noi è tenuto all’impossibile”.
“Questa chiacchierata è in realtà una seduta spiritica, una messa nera, un’evocazione di fantasmi”.
Deville: Questo è il nucleo di tutto. Da un lato Lowry sa, o comunque è convinto, che la sua missione nella vita sia scrivere Sotto il vulcano, e sacrifica tutto alla scrittura di questo romanzo, compresa la salute mentale. Ma al tempo stesso, nel romanzo emerge il suo rimpianto, o rimorso, di non agire all’interno della Storia. Alcuni suoi amici, compagni di studio a Cambridge, sono andati a combattere in Spagna, e lui invece vive mantenuto dal padre, non si impegna politicamente… E questo lo fa sentire in colpa. E poi c’è Trockij, convinto che niente sia più importante della letteratura, ma che decide invece di agire, crea l’Armata Rossa, fa la rivoluzione. E tuttavia il suo obiettivo, il suo sogno, è che, finita la rivoluzione, potrà tornare alla letteratura.
Rossari: Perché lui, Trockij, è stato anche critico letterario. E nel libro dici giustamente che la sua scrittura a volte somiglia a quella di Jack London.
Deville: Quando è in esilio ad Alma Ata legge per la prima volta Viaggio al termine della notte di Céline, con cui non ha alcun rapporto di tipo politico, anzi, sono assolutamente su fronti opposti, eppure, mentre legge sa di avere di fronte a sé un genio. A parti inverse, qualcosa di simile succede quando François Mauriac legge il libro La mia vita, l’autobiografia di Trockij. Mauriac è un borghese, è cristiano, quindi lontanissimo dalle idee trotzkiste o comuniste. Eppure scrive una recensione in cui definisce Trockij uno dei più grandi autori di lingua russa viventi. Per Trockij la letteratura è tale indipendentemente dall’orientamento politico dell’autore.
Rossari: Quello che mi affascina del libro è che, pur essendo così vorticoso, Viva è un libro estremamente nitido, a fuoco, che si legge con immenso piacere e da cui si ricava un quadro molto netto delle storie, che tu vai raccontando. E allora vorrei chiederti come fai, come riesci a impostare il piano di lavoro dentro un libro così complesso, con tutte queste storie, echi e richiami.
Deville: È un segreto. No, scherzo. Ma sì, il vantaggio di lavorare a un unico progetto per un tempo così lungo – lavoro da venticinque anni a questi dodici libri e ci lavoro ogni giorno – è che ho moltissimi appunti sparsi sui miei taccuini e so sempre dove sto andando. Per usare una similitudine presa in prestito all’architettura, questi appunti sono come le pietre che vengono utilizzate per costruire un palazzo e che, nell’attesa che venga costruito il piano superiore, rimangono sospese in cielo, enigmatiche. Allo stesso modo, ci sono dei brani nel libro che possono sembrare difficili da capire , ma io so invece che andrò a svilupparli in un libro futuro. Per esempio nel primo libro, Pura vida, c’è un brevissimo accenno all’omicidio di Julio Antonio Mella, compagno di Tina Modotti. Ma io sapevo già che quindici anni dopo avrei scritto Viva e avrei raccontato di questo omicidio, sarei entrato nel dettaglio dell’opposizione fra stalinisti e non stalinisti in Messico, in quel preciso momento storico.
E quindi per risponderti il segreto sono i taccuini, tanti taccuini. Tina Modotti è molto presente in Pura vida e anche in soprattutto in Viva. E quando stavo lavorando in India a Samsara, ho avuto la possibilità di incontrare la figlia del rivoluzionario indiano protagonista del libro. Questa donna, ormai anziana, aveva in casa moltissime foto inedite di Tina Modotti, le cui opere d’arte sono conservate nei musei di tutto il mondo. E lei, di questa straordinaria eredità familiare, non sapeva che fare: ha deciso poi di regalarla all’istituto antropologico messicano.
“Il vantaggio di lavorare a un unico progetto per un tempo così lungo – lavoro da venticinque anni a questi dodici libri e ci lavoro ogni giorno – è che ho moltissimi appunti sparsi sui miei taccuini e so sempre dove sto andando”.
Rossari: Viva è un libro di incontri ambigui, improbabili, di accavallamenti di piani che si sovrappongono. È un colloquio inesausto tra le affinità, le parentele, i movimenti della vita nella letteratura e della letteratura dentro la vita. Evochi così un turbinio di personaggi che passa a Città del Messico – Tina Modotti, appunto, Diego Rivera, Frida Kahlo, Vladimir Majakovskij –, c’è anche Che Guevara che scala con altri guerriglieri il Popocatépetl per addestrarsi. A un certo punto scrivi: “È sempre la solita storia della frase di Roland Barthes nella Camera chiara, vedere gli occhi che hanno visto gli occhi”. Nel senso di cercare le persone che non ci sono più nello sguardo di chi ha avuto occasione di conoscerle in vita. Ecco, questa rievocazione è un modo per rincorrere i fantasmi che stanno dentro il nostro mondo e mi pare anche l’ambizione del tuo libro, che non si può dire che sia un saggio, è qualcosa di più, qualcosa di diverso, di molto più forte.
Deville: Sì, il mio è un po’ il sogno di portare il mondo nel nostro cervello come il nostro cervello è nel mondo. Anche se il mio progetto di dodici libri riguarda il racconto di un tempo tutto sommato breve, un secolo e mezzo. Nei miei libri ci sono eventi che tornano spesso e da punti di vista diversi, in luoghi diversi. Un personaggio che abbiamo a malapena citato è Jack London, che qui compare pochissimo ma è invece molto presente in un altro mio libro, Fenua. In Samsara invece racconto di Pandurang Khankhoje, un rivoluzionario indiano assolutamente sconosciuto che ha avuto tuttavia una vita totalmente romanzesca. A un certo punto Pandurang Khankhoje si trasferisce in Messico ed entra a far parte della banda di Diego Rivera, Tina Modotti, Frida Kahlo più o meno nello stesso periodo in cui sono in Messico anche Lowry e Trockij. Quindi come vedi i miei libri fanno parte di una tessitura molto più ampia, con personaggi che tornano ciclicamente. Per scrivere del Messico ho “soggiornato” lì dieci anni, e durante questi dieci anni il primo lavoro, che poi non è un lavoro ma un piacere assoluto, è stato leggere tutto quello che potevo della letteratura messicana, a partire da Juan Rulfo, ma poi anche di incontrare i personaggi ancora vivi . Ce ne sono ancora tanti con cui farsi una bella chiacchierata.
Marco Rossari
Marco Rossari è scrittore e traduttore. Collabora a diverse testate. Il suo ultimo libro è L’ombra del vulcano (Einaudi, 2023).
Patrick Deville
Patrick Deville è scrittore e direttore della Maison des Écrivains Étrangers et des Traducteurs (MEET) di Saint-Nazare. Il suo ultimo libro è Viva (Nottetempo, 2024).
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