Lorenzo Gramatica
02 Settembre 2023
Venezia 80 ha già un serio candidato al Leone d'oro: "Poor Things" di Lanthimos, un film visionario sulla libertà femminile.
Nota di Redazione
espandi
comprimi
Alla Mostra del Cinema di Venezia del 2013 Miss Violence di Alexandros Avranas vinceva il Leone d’argento per la regia e l’attore protagonista, Themis Panou, la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile.
Due premi a un film greco fino a qualche anno prima sarebbero stati accolti con stupore. Ma in quegli anni il nuovo cinema greco era guardato con interesse ed era molto riverito; anche se semi-sconosciuto, Avranas pareva essere l’ultimo talentuoso esponente di una generazione di autori che si stava affacciando con determinazione sulla scena internazionale con Athina Rachel Tsangari (Attenberg) e Yorgos Lanthimos (Dogtooth e Alps). Giovani, cool e già molto premiati a Cannes e Venezia, non mancava nemmeno il nome a legittimarne il valore e ad accrescerne la desiderabiltà: Greek Weird Wave.
Mentre la Grecia affrontava una profondissima crisi economica, il cinema di questi autori presentava personaggi alienati, vittime o artefici di rapporti di potere e perversioni anche nel linguaggio; paralizzati dall’incapacità di prendere decisioni e soffocati dalla famiglia, erano in fondo disperati e la camera si soffermava su di loro con gelida eleganza.
A distanza di anni, si può dire che quell’estetica forse era un po’ troppo patinata, che la messa in scena simmetrica della crudeltà finiva per depotenziarla – perché a tratti la rendeva gradevole, desiderabile ma senza la morbosità respingente che avrebbe voluto suscitare –, che le allegorie di cui un film come Dogtooth era permeato potevano anche appesantire e annoiare. Insomma: molto talento e tante promesse, ma forse troppo fighettume e pretese.
Soprattutto si può dire che Lanthimos era decisamente il più bravo di tutti, oggi che di quella generazione è l’unico rimasto.
Bizzarro che il suo ultimo film presentato a Venezia, Poor Things, adattamento del romanzo omonimo dello scrittore di fantascienza scozzese Alasdair Gray, inizi proprio come Miss Violence: una donna, ripresa di spalle, si getta nel vuoto. La tuffatrice di Lanthimos muore e poi rinasce (ma noi lo scopriamo dopo), e uno dei film più ambiziosi, intensi e divertenti della Mostra può cominciare.
In una Londra tardo vittoriana e in bianco e nero, il dottor Godwin Baxter (Willem Dafoe), volto gonfio, storto e rattoppato da profonde cicatrici, si occupa di Bella (Emma Stone), giovane e bellissima creatura che si comporta come una bambina o, per citare uno dei personaggi, come “una ritardata molto carina”.
Godwin Baxter – detto “God” – è uno scienziato dai metodi non propriamente ortodossi, diciamo pure visionario: per casa girano alcune delle sue creature, mostruosi animali da cortile, ibridi maiale-gallina e poi cani-oca e oche-cani. Alla scienza si dedica con abnegazione, come ha fatto suo padre, anche lui scienziato visionario, anzi: a sentire come ne parla il figlio, scienziato pazzo e crudele.
E, come suo padre con lui, vede in Bella un esperimento scientifico – ma a differenza sua, che era appunto un sadico, è capace di tenerezza.
Rinchiusa nella splendida casa con giardino, laboratorio e tavolo operatorio, Bella impara a camminare – prima rigida come una marionetta, poi sempre più speditamente – e a parlare; esercita il potere, crudele e quasi irresistibile per un bambino, di togliere la vita ad animali indifesi; piange e sbraita quando le si nega un gelato, fa poi capricci e dispetti, rompe oggetti, provette, infierisce col bisturi sui cadaveri del laboratorio con gioioso sadismo. Scopre di potersi dare piacere da sola o con l’aiuto di una mela o di un cetriolo. Attratta dalle carte geografiche, con tutti quei nomi seducenti e misteriosi, vuole scoprire il mondo; si chiede da dove viene, non ha passato, condizione dolorosa ma privilegiata per chi, come lei, è dotata di intelligenza e curiosità non comuni.
Lo scienziato, sempre più protettivo nei confronti di una creatura troppo libera e inquieta per non sfuggirgli, le affianca McCandless, un giovane assistente, affinché monitori i suoi progressi. Ovviamente, quello si innamora subito di lei. Baxter decide di farli sposare: quale occasione migliore per tenere d’occhio Bella, guadagnando pure un assistente docilmente fedele?
Peccato che Bella decida di scappare a Lisbona con un avvocato donnaiolo e sessuomane (Mark Ruffalo): è consapevole che sposare McCandless sia la scelta più saggia, ma non può resistere al richiamo dell’avventura tanto desiderata.
Lasciata Londra, la fotografia si fa a colori – e i colori sono vivaci, sgargianti, ultra-realistici – e Lisbona sembra un incrocio tra Méliès e Superstudio. Come se il mondo assumesse le sfumature che gli conferisce lo sguardo della protagonista.
Bella, vittima designata del playboy che si dà tante arie e si raccomanda di non innamorarsi, finirà per sottometterlo; con lui scopre che il sesso è bellissimo, ma che la libertà è un piacere di gran lunga maggiore.
Da lì, come in un romanzo picaresco, Bella vivrà svariate avventure: andrà per mare, vedrà Alessandria e vivrà a Parigi; diventerà sempre più indipendente e proverà la mancanza di chi ama; si farà nuovi amici e imparerà a recidere legami inutili; venderà il suo corpo per rimanere fedele al suo spirito, scoprirà l’ingiustizia di classe, la filosofia e l’ambivalenza del denaro. Vorrà, come tutti, un mondo migliore e cercherà, come pochi, la felicità.
Nel film, il sesso cambia tutto: è fondamentale nello svelare l’inconsapevolezza degli uomini, che lo usano per proiettare una versione di sé stessi fasulla, e nel processo di evoluzione della protagonista. Come l’aringa che Bella trova disgustosa in una delle prime scene e buonissima verso la fine, il gusto si sviluppa attraverso la pratica, la sperimentazione, l’errore. E alla fine, forse, il sesso è solo un’esperienza delle tante che la vita offre, non un altare su cui consacrare l’edificazione della propria personalità.
Chi non lo fa, come Baxter (perché abbia un’erezione, ci vorrebbe tutta l’elettricità del nord di Londra, dice), è libero.
Se Bella nel corso del film impara molto, è anche quella che scatena accese e dolorose prese di coscienza negli altri personaggi. Non tutti però sono disposti a fare i conti con la consapevolezza dei propri limiti.
Tutte le volte che sono a un festival mi chiedo – di solito annoiato in coda e senza nessuno accanto da tediare – quale sia la formula perfetta di un film che ambisce a vincere il il Leone o la Palma d’oro.
Qualunque essa sia, Poor Things possiede molti dei requisiti che mi paiono richiesti: ambizione, scrittura impeccabile, personaggi indimenticabili, attori magnifici (Stone e Ruffalo su tutti), costumi incantevoli, CGI che rende credibili gli implausibili mostri di Baxter. Elegante nel bianco e nero, seducente quando a colori, il film riesce a combinare rigore formale e grande inventiva.
Il vuoto in cui si lancia la donna nella prima scena del film è l’ignoto dal quale sono attratte le persone curiose, che non si accontentano di quello che hanno già.
Vale anche per Lanthimos, che ha realizzato il suo film più bello.
newsletter
Le vite degli altri
Le vite degli altri è una newsletter che racconta di vite che non sono la nostra: vite straordinarie, bizzarre o comunque interessanti.
La scriviamo noi della redazione di Lucy e arriva nella tua mail la domenica, prima di pranzo o dopo il secondo caffè – dipende dalle tue abitudini.
Contenuti correlati
© Lucy 2024
art direction undesign
web design & development cosmo
sviluppo e sistema di abbonamenti Schiavone & Guga
00:00
00:00