Ester Viola
18 Febbraio 2025
Fabrizio Corona è sopravvissuto a scandali e condanne, ed è tornato più forte e popolare di prima. Chi lo considera emblema del declino dei costumi, dovrebbe forse chiedersi perché è così seguito.
Questo è il centesimo articolo che vuol dire “Corona siamo noi” ma lo dovrebbe dire un po’ meglio. Comincio coi condizionali forti e con le ambizioni alte.
Fabrizio Corona lo conosciamo da più di vent’anni per l’imprenditoria feroce sul gossip. Il suo giochino foto imbarazzante-proposta d’acquisto durò abbastanza. Come funzionava il core business: tu mi dai i soldi, io non parlo. È così che tra serate nelle discoteche e NDA, Non Disclosure Agreement, guadagna milioni. Poi il giochino si rompe, perché il giochino è reato.
2007, inchiesta Vallettopoli, accuse di estorsione ai danni di personaggi pubblici attraverso la vendita di fotografie. Condanna: Tredici anni per una serie di imputazioni, tra cui appunto estorsione aggravata, bancarotta fraudolenta e corruzione. Tredici anni di reclusione sono tanti. Si chiama condanna esemplare, una risposta sanzionatoria che non è nella media, e te la meriti di solito per una serie di motivi. Perché sei caso recidivo, perché ti dimostri irredimibile, perché francamente sei proprio antipatico. Corona sfida la corte, Corona si comporta male prima dopo e durante il processo. Corona è il puntino centrale del bersaglio: il sistema dei ricatti, del privato fatto merce di negoziato è marcio, il sistema va colpito.
Essere lui, poi, non aiuta. È arrogante, sventato, ha poca cura delle conseguenze di quello che fa, in generale. Tratto di carattere. Ottiene l’affidamento terapeutico per problemi psichiatrici, e la libertà nel 2021. Cosa facevo in carcere? Ogni due mesi veniva il chirurgo a farmi il botox. L’ha raccontato in parecchie interviste. Si capisce che se questo è il personaggio non c’è difesa, salta ogni sistema di considerazione coi parametri e i metodi di trattamento che abbiamo a disposizione: la logica e l’etica. Se usi la logica, non funziona. Se usi l’etica, non funziona. Il paziente non risponde.
“Corona sfida la corte, Corona si comporta male prima dopo e durante il processo. Corona è il puntino centrale del bersaglio”.
2021, il ritorno. Da lì in poi, una abbastanza incredibile storia di riadattamento mediatico con gli stessi intenti e mezzi diversi. Cambia solo l’oggetto sociale dell’azienda Corona: prima bastavano le foto, adesso è la riorganizzazione di informazioni, insinuazioni, brandelli instagram. Serve una storia tutta intera. Il nuovo gossip è per deduzioni, il nuovo gossip è a puntate, su Youtube, Falsissimo.
Il format delle verità di Corona. Lui su uno sgabello, abiti scuri e fondo nero, che racconta i fatti degli altri e costruisce verosimiglianza con telefonate registrate, documenti parziali, rivelazioni millimetrate per tenere alta l’attenzione. Sa parlare in modo risoluto, senza complicatezze ed è didascalico ed esatto nei passaggi giuridici.
L’ipotesi di collaborazionismo (Fedez era d’accordo? L’allora amante di Fedez era d’accordo? Il fidanzato di lei pure? Hanno denunciato oppure no?) delle vittime è la parte della vicenda che resta inspiegata. Perché se fosse tutto ubbidiente al “purché se ne parli”, allora si aprirebbero troppe questioni sul “come siamo diventati” e si dovrebbe concludere per uno stadio di società inguaiata non più operabile, e che non siamo più in grado di controllare.
Cosa era successo, negli ultimi 15 anni? È successo che il gossip ha cambiato pelle, è un altro animale. Intanto, il pettegolezzo oggi è perlopiù autoprocurato. Non ci sono più foto da nascondere, chiunque desidera che si parli di sé anziché il contrario perché le visualizzazioni si sono fatte moneta. Il veleno del nuovo millennio è l’oscurità, non la maldicenza. Tutto si perdona perché tutto si scorda, l’internet non è scritto a matita – come faceva dire Sorkin nel film su Zuckerberg, The Social Network – ma la penna è quella cancellabile. Gli scandali sono rimasti a terrorizzare solo la vecchissima borghesia, e neanche sempre. Dopo la nostalgia, coi social è morta anche la vergogna. Non importa più a nessuno figurare in un certo modo. Dignitoso e pulito. Sei pure di una noia mortale.
L’epoca del dopo-post.
A cosa lo vogliamo ridurre, Fabrizio Corona? Come si può definire? Vale la pena provarci, o appartiene a quella quota di S.p.A. del sociale che è bene trascurare, far cadere il ramo secco per ragioni di utile eclissi? Si cerca per quanto possibile di ignorare genetica ed evoluzioni di certi fenomeni – se gli togli acqua, luce e aria (ti dici) magari il virus dell’indegnità muore. Ma non muore.
Maestri amorali di gestione della comunicazione. Come si diventa così?
Intanto devi avere un talento: decifrare quello che succede alla velocità con cui succede. Lo spettacolo negli ultimi trent’anni è cambiato, e Corona lo ha capito. Sono finite sottosopra le distanze tra chi osserva e gli osservati, il pubblico ha preso una piega diversa dal passato. L’esposizione a vite dorate altrui non è più passiva, lontana. Ce li abbiamo tutti i giorni in tasca, i miti. Se sei fortunato ti rispondono anche a un messaggio direct su instagram.
Il follower, inteso come frazione minima di pubblico, è meno di un amico ma si percepisce più di un conoscente: motivo per cui le cadute dei personaggi, gli influencer, sono accolte con una curiosità e una forza di giudizio diverse. Guy Debord ha scritto “lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui mediato dalle immagini”, Corona è stato il primo (e migliore) approfittatore del principio. È l’uomo del sistema. Il seguente sistema: la rappresentazione ha sostituito la realtà e il contenuto si è fatto performance.
L’ascesa di Corona accompagna la trasformazione del gossip in un’industria molto meglio organizzata. La privacy si trasforma in moneta di scambio, il pettegolezzo da zozzeria diventa dispositivo di potere. Cambia pure la celebrità. È costruita non più per talento, uno qualsiasi, ma attraverso una continua negoziazione tra esposizione e sottrazione. Con “Vallettopoli” la scoperta dell’acqua calda è visibile a tutti: la fotografia compromettente non è più destinata all’esclusiva giornalistica, rende meglio se diventa (illecitamente) un’arma di pressione. Il gossip si fa sistema, e Corona è il capitalista senza rivali.
“A cosa lo vogliamo ridurre, Fabrizio Corona? Come si può definire? Vale la pena provarci, o appartiene a quella quota di S.p.A. del sociale che è bene trascurare, far cadere il ramo secco per ragioni di utile eclissi?”
Il panopticon – a quel punto – è crollato. Al suo posto la società della trasparenza, una vita nel cubo di vetro dei social in cui il soggetto si espone volendolo, sorveglianza autoindotta. Corona ha gli animal spirits capaci di leggere le distorsioni nuovissime del mercato: prima ancora che Instagram ci abituasse all’esposizione come se fosse una cosa normale, aveva già capito che il capitale ora si costruisce sull’iper-visibilità.
Il ritorno
L’intermittenza tra carcere e fuori dal carcere diventa per Corona un ulteriore elemento di copione, un’interruzione che non spezza i programmi. Quando nel 2021 torna, il mondo è cambiato, lui pochissimo. Ha solo affinato i mezzi. Il gossip tradizionale nel frattempo è morto, se ne accorge. Il morboso adesso si fa sui social, tutti i giorni, è lì che comincia, lì si alimenta e si moltiplica. Fa engagement ed è un flusso ininterrotto. Il nuovo regolamento degli interessi è semplice: il pubblico non vuole più rivelazioni, ma l’illusione di un accesso diretto alla vita dell’influencer. Non serve più rubare immagini, basta raccontarle e sistemare il dramma in tempo reale. Quello che Žižek definirebbe “il godimento del trauma”: l’eccesso consumato e fatto identità. E non c’è nessuna trasgressione, nessun approfittarsi non-etico. È il format inesauribile in cui abitiamo, è l’acqua, questa.
Fabrizio Corona appartiene a quest’epoca come l’erba è verde. Un’epoca in cui il pubblico non chiede coerenza, o bravure assortite, ma invasione nei fatti tuoi, gli irresistibili fatti tuoi. Il valore di un’esistenza lo dà la narrazione che ne fa l’autore. Non c’è più nulla da nascondere, perché il nuovo statuto della celebrità si fonda sulla spettacolarizzazione, della felicità, dei figli, della malattia, del tradimento, fino all’orrore. Corona l’ha capito mentre noi eravamo impegnati a sorprenderci e poi ad abituarci.
“Fabrizio Corona appartiene a quest’epoca come l’erba è verde. Un’epoca in cui il pubblico non chiede coerenza, o bravure assortite, ma invasione nei fatti tuoi, gli irresistibili fatti tuoi”.
Per questo l’ex signore del gossip non è simbolo di nessuna decadenza morale, sta solo da un’altra parte del tabellone, tra quelli che sfruttano. Non meno colpevoli degli sfruttati, noi, i collaboratori zelantissimi. È la platea che fa il mostro. Non si fa quello che fa Corona senza avere dall’altro lato un pubblico all’altezza del basso che propone. È il riflesso dell’epoca post-morale, un dopo in cui tutto è capitale narrativo, e tutto viene monetizzato e nulla ha senso giudicare col vecchio metro noi-siamo-i buoni-e-giusti-e-voi-i-cattivi. Mangiamo tutto, vogliamo tutto, ci piace tutto. È il prezzo di non scandalizzarsi più, ed è il futuro dell’intrattenimento social, cioè di come usiamo la metà del tempo che abbiamo. Questo, a me sembra, è il problema smisurato con cui ci toccherà (spero presto) fare i conti.
Ester Viola
Ester Viola è avvocata, giornalista di costume, scrittrice. Il suo ultimo libro si intitola Voltare pagina. Dieci libri per sopravvivere all’amore (Einaudi, 2023).
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