Martina Lodi
Dalla sindrome premestruale al cycle syncing, passando per TikTok e la wellness culture: il corpo femminile è l'ossessione degli algoritmi, ma è ancora frainteso dalla società.
Quando ero un’adolescente mi capitava spesso di trovarmi ad avere litigate furiose con mia madre: ricordo pianti e urla forsennate, disperazione e rabbia che mi sembravano incontenibili. Le cause scatenanti per queste liti potevano essere diverse, ma seguivano tutte lo stesso copione: la mia rabbia appariva assolutamente fuori scala rispetto all’evento tutto sommato minore da cui era stata scatenata, il cervello mi sembrava annebbiato, e dopo il picco il mio umore tornava normale, e sembrava essersi riequilibrato. In quelle occasioni, mia madre mi guardava e, con l’amore e la durezza che appartengono a tutte le madri, mi diceva: “Prima di arrabbiarti, sei sicura che non stiano per venirti le mestruazioni?”. L’affermazione mi faceva puntualmente perdere la testa – le mie emozioni sono reali, sei nel torto, non puoi permetterti di ridicolizzarmi così, eppure mia madre, come spesso succede, aveva ragione. Contavo i giorni, e il calendario mi restituiva una risposta crudele: l’immensità della mia rabbia era realisticamente legata, almeno in parte, alla “sindrome premestruale”, un mito sessista al quale mi rifiutavo categoricamente di credere.
Quindici anni più tardi, mi sono dovuta arrendere al fatto che in qualche misura la sindrome premestruale esiste e ho ormai imparato a riconoscere i segnali: con il cambiare delle fasi mestruali, cambiano il mio umore, il mio appetito, il mio desiderio sessuale. Invecchiando ho anche (più o meno) imparato a gestirlo: come le persone abili a meditare, provo a osservare la mia rabbia senza che mi mangi viva, faccio dei respiri profondi, e quando scoppio in lacrime convinta che la mia vita non abbia davvero alcun senso provo a ricordarmi che il giorno dopo, probabilmente le cose mi sembreranno molto meno nere. Non sempre funziona, ma spesso aiuta. Con questo, non voglio dire che le mie emozioni sono ridicole o prive di fondamento: ma soltanto che, alle volte, gli squilibri ormonali possono annebbiare la mia capacità di giudizio. Quello che rende difficile accettarlo è la storia di sessismo e misoginia al quale questa idea è legata: a partire dall’etimologia del termine isterica – la parola deriva dal termine greco úteron, e significa letteralmente “uterina” – fino alla storia patriarcale di diagnosi psichiatriche fatte su misura per le donne (l’isteria, appunto, che si credeva di curare grazie alle clitoridectomie, e poi le lobotomie per le donne nevrotiche, fino alla prevalenza di diagnosi di disturbo di personalità borderline nei soggetti riconosciuti come donne).
Non ho mai pensato agli ormoni come a qualcosa di diverso da sostanze che il mio corpo produce e che insieme a molte altre lo fanno funzionare; gli ormoni sessuali in particolare (estrogeno, progesterone, testosterone) mi sono sempre, anche, sembrati delle forze misteriose, capaci di manipolare il mio umore e rendermi, almeno nella mia percezione, una persona diversa da quella che ero. In qualche misura è così: gli ormoni (tutti) influenzano il nostro comportamento e il nostro cervello, ma allo stesso tempo sono soltanto uno tra i fattori in gioco quando si tratta di comportamento umano. Il rischio è quello di cadere in una prospettiva “essenzialista” riguardante il comportamento umano, riducendolo soltanto, appunto, alla biologia e agli ormoni: ma, anche per quanto riguarda la “sindrome premestruale” di cui si parlava sopra, sembrano esserci evidenze scientifiche rispetto al fatto che i suoi sintomi siano esacerbati da condizioni sociali e condizionamenti culturali. Lo studio del 2018 «Premenstrual syndrome in university students: its correlation with their attitudes toward gender roles», ad esempio, ha evidenziato una correlazione tra l’accettazione dei ruoli di genere tradizionali e l’intensificarsi dei sintomi premestruali: lo studio sembra suggerire che la maggiore frustrazione che le donne provano con l’avvicinarsi della mestruazione sia amplificato più dalla difficoltà derivante dal ruolo sociale di donne che dagli ormoni che rendono le donne matte e ingestibili. Anche nei discorsi sui social media, la linea che separa scienza e luoghi comuni si assottiglia fino a che l’una non finisce per trapassare nell’altra; o, meglio ancora, termini e concetti mutuati da rigorosi discorsi scientifici vengono utilizzati per avvalorare tesi che nella migliore delle ipotesi sono soltanto bislacche, e nella peggiore rischiano di essere pericolose e dannose.
“Mi sono dovuta arrendere al fatto che in qualche misura la sindrome premestruale esiste e ho ormai imparato a riconoscere i segnali: con il cambiare delle fasi mestruali, cambiano il mio umore, il mio appetito, il mio desiderio sessuale”.
Negli ultimi tempi, ad esempio, l’algoritmo ha cominciato a propormi contenuti strampalati (e a tratti inquietanti) relativi al mondo del dating e delle relazioni: pieni zeppi di stereotipi, sostengono, ad esempio, che le donne dovrebbero riuscire ad accogliere la loro feminine energy per fare innamorare un uomo: questo significa essere più passive, materne, empatiche, e disposte a lasciare che gli uomini si prendano cura di loro. Non contattare un uomo per prima, non pensare nemmeno di dividere il costo di una cena, usa il sesso come un premio. Si tratta di un trend che mi sembra fare eco a quello delle trad wives, che predicano come le donne non possano che trarre la loro massima soddisfazione personale dal lavoro domestico e di cura, promuovendo uno spaventoso ritorno ai ruoli di generi tradizionali. Immagino che questi contenuti possano essere speculari a quelli che vengono proposti ad alcuni miei coetanei uomini – teorie red pill, anti-femministe, eccetera: si tratta dei due poli della stessa questione, e di teorie radicate nella medesima visione oppressiva e binaria dei ruoli di genere. Ad esempio, ultimamente i dating coach di TikTok provano a convincermi che la scienza dell’innamoramento funziona attraverso ormoni diversi per gli uomini e per le donne. Gli uomini, dicono, si innamorano grazie al rilascio di vasopressina, un ormone che si attiva in situazioni di stress e di pericolo: per far innamorare un uomo quindi, dicono, una donna deve stressarlo e proporgli continuamente delle sfide. Solo così una donna potrà ottenere un attaccamento profondo. Tutta questa pseudo-scienza è, sostanzialmente, la versione pompata dall’algoritmo del best seller degli anni Novanta: Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere. Parlare di “ormoni”, tuttavia, sembra dare tutta un’altra aura – gli ormoni sono cose serie! È la scienza che parla – a queste teorie bislacche, in prima ragione perché raramente chi non ha studiato medicina sa davvero come gli ormoni funzionino, o di cosa si stia davvero parlando.
Da questo punto di vista, il paradosso è evidente: nell’epoca storica che segue le maggiori conquiste ottenute dai movimenti femministi per i diritti delle donne si osserva in parallelo il rischio di un ritorno all’essenzialismo biologico peggiore. Questa ambivalenza contraddittoria è in parte intrinseca al femminismo, preso in una costante tensione tra il pericolo di ricadere nel determinismo biologico e la volontà di oltrepassare i limiti imposti dal corpo, riconoscendo gli aspetti primariamente sociali e culturali di costruzione del genere. La ricercatrice Laura Tripaldi, occupandosi dei problemi teorici sollevati dall’uso della pillola anticoncezionale – compresa come dispositivo allo stesso tempo emancipatorio e di controllo – ha scritto: “Se l’affermazione del ruolo della biologia nella definizione della femminilità ci renda delle ‘cattive femministe’ non è una domanda nuova, ma è senza dubbio una domanda ancora molto urgente.”
Non sono certa di quale sia il gruppo target di cui faccio parte, ma immagino sia qualcosa tipo: donna, under 35, potrebbe comprare prodotti inutili. Credo siano queste le ragioni – principalmente il mio genere, la mia età, e il potenziale potere d’acquisto che in ragione di essi potrei avere – per le quali vengo bombardata da contenuti commerciali di ogni tipo, e in particolare dai contenuti di wellness. Tra questi, ultimamente ho notato un esplosione di video riguardanti gli ormoni: la produzione ormonale, i mutamenti dei livelli ormonali nel corpo femminile, i danni prodotti dalla pillola anticoncezionale; e ancora: come curare l’acne ormonale, come guarire dallo stress cambiando la mia alimentazione. Uno studio apparso sul «British Medical Journal» nel febbraio 2024 ha messo in luce come alle donne in particolare vengano pubblicizzati prodotti di “wellness” – come integratori, test per contare il proprio numero di ovuli eccetera – spesso assolutamente innecessari, e che anzi le espongono al rischio di “sovradiagnosticare” e di sottoporsi a cure e trattamenti tanto costosi quanto inutili.
Non ho dubbi che questo tipo di contenuto venga proposto, primariamente, alle donne: tra gli uomini che conosco, gli Instagram reel che vanno per la maggiore sono video ironici sull’attentato alle torri gemelle, compilation di gol accompagnati dalla descrizione in caps lock “clamoroso” e gente che cade per terra in maniere rocambolesche rischiando di rompersi il cranio e almeno due incisivi su quattro. Uno dei pochi meriti della miniserie Netflix Adolescence (dei limiti della quale ha scritto su Lucy Irene Graziosi: condivido tutte le sue critiche) è stato mostrare con quanta facilità i contenuti che vengono spinti dagli algoritmi possano radicalizzare o destabilizzare chi è più fragile: agli uomini i video sulla redpill, alle donne contenuti su come rientrare nella propria feminine energy per attirare il partner ideale che possa finalmente prendersi cura di loro.
I contenuti sugli ormoni dai quali sono bombardata fanno parte di questo secondo gruppo e vengono proposti, soprattutto, alle donne: sono prodotti da creator che si rivolgono alla camera con toni scientifici e prescrittivi. Una delle ultime tendenze apparse sul mio feed è quella del cycle syncing, che consiste nel sincronizzare la propria dieta con le diverse fasi del ciclo mestruale, nel corso del quale la produzione dei vari ormoni sessuali può aumentare o diminuire. L’evidenza scientifica sui reali benefici di questo tipo di dieta è scarsa – esistono alcuni studi che evidenziano una correlazione tra l’aumento della produzione di progesterone e un maggiore consumo di proteine, ma non c’è nulla che dimostri che cambiare sostanzialmente la propria alimentazione a seconda delle fasi del ciclo mestruale possa portare a reali benefici. Più che alla scienza, l’approccio al discorso sugli ormoni nei social media si avvicina al pensiero magico e alla superstizione: gli ormoni diventano sostanzialmente fattori magici e onnipotenti, con un’influenza fondamentale su tutto quello che succede al nostro corpo.
Oltre al cycle syncing, su TikTok spopola una serie pressoché infinita di trend legati alla salute, in generale, e in particolare agli ormoni. Tutto il discorso online su questi temi fa parte certamente di un trend generale di sempre maggiore preoccupazione, al limite della nevrosi, per il controllo del corpo, per il benessere e per la salute – che viene portato agli estremi: il mio algoritmo Instagram mi propone continuamente pasti vegetali ad alto contenuto proteico, morning routine elaboratissime per aumentare la tonicità della pelle del viso e del collo, complicate posizioni di yoga per rilasciare i traumi rimossi dall’inconscio attraverso il rilassamento del bacino (giuro). Molti studi hanno messo in evidenza come la Gen Z sia molto più ossessionata dal benessere rispetto alle generazioni precedenti; come ha scritto Priscilla De Pace sempre qui su Lucy le ragioni potrebbero essere il sempre maggiore isolamento dei nativi digitali, oppure l’accesso, che non ha precedenti, a una quantità immensa e sempre maggiore di dati (quantitativi) sulla salute personale. È la datafication nella “società della performance”, all’interno del sistema sociale e socio-produttivo neoliberale, che ha persuaso i propri suoi membri della necessità di iper ottimizzare e sovra performare in ogni campo – non soltanto sul lavoro, ma anche nella vita privata, dall’implementazione della perfetta skin-care routine per riuscire a dimostrare per sempre, al più, ventinove anni, all’ossessione per il wellness, i diecimila passi al giorno, evitare i picchi glicemici. Smettere di fumare, smettere di consumare alcool e carne rossa e di prendere il sole, smettere di assumere qualsiasi tipo di rischio; depurarsi da ogni possibile vizio, diventare asceti, maestri del controllo di sé, grazie all’aiuto di decine di pratiche app che raccolgono i nostri dati e li vendono al migliore offerente: peso altezza ultima mestruazione aumento e calo del desiderio sessuale; cos’hai mangiato oggi? Quanto hai mangiato oggi? Quanti grammi di proteine e di ferro e di calcio e di Omega 3 hai assunto oggi?
Sia chiaro: il punto non è rifiutare la salute del corpo: il punto dev’essere, credo, rifiutare l’ossessione nevrotica per il suo controllo. Nel suo libro Heaven in Disorder il filosofo sloveno Slavoj Zizek descrive descrive in un passaggio brillante e molto noto il processo per il quale anche i “relativisti postmoderni” sono diventati tradizionalisti e conservatori, e come il mercato moderno non faccia che proporre prodotti “senza”, il cui senza fondamentale è: senza rischio. “in today’s market, we find a whole series of products deprived of their malignant property […] virtual sex as sex without sex, the art of expert administration as politics without politics, up to today’s tolerant liberal multiculturalism as an experience of the Other deprived of its disturbing Otherness”.
Una tesi che segue questa direzione venne proposta anche da Alain Badiou in un’intervista tenutasi al festival di Avignone nel 2008, in una conversazione con il giornalista Nicolas Truong, da cui è stato tratto il breve pamphlet Éloge de l’amour (Flammarion, 2012). Badiou – filosofo politico francese marxista, ultranovantenne – vede ovunque per Parigi i manifesti di una qualche app di dating, che promette, dice Badiou, di garantire ai suoi utenti di poter trovare l’amore senza correre nessun rischio. “Ma non può esistere l’amore senza il rischio, senza il caso” è la sua considerazione.
L’ossessione per gli ormoni segue questa linea e finisce, inoltre, per prendere una piega ancora più rischiosa: quella dell’essenzialismo biologico, che riduce e appiattisce ogni comportamento al funzionamento del corpo e che finisce per tracciare un solco ancora più profondo laddove si trova la linea che separa uomini e donne – proprio in ragione di un supposto funzionamento radicalmente differente dei corpi: la misoginia si è sempre retta sul controllo del corpo e su una teoria per la quale i corpi delle donne sono radicalmente diversi da quelli degli uomini (e, quindi, inferiori).
“Il mio algoritmo Instagram mi propone continuamente pasti vegetali ad alto contenuto proteico, morning routine elaboratissime per aumentare la tonicità della pelle del viso e del collo, complicate posizioni di yoga per rilasciare i traumi rimossi dall’inconscio attraverso il rilassamento del bacino (giuro)”.
Non ci siamo, ancora, credo, abbastanza lasciati alle spalle questi vecchi pregiudizi per tornare, adesso, a proporre questi temi – per quanto da una prospettiva che si vuole o si crede diversa, empowering, o qualsiasi altra cosa. Non lo è: si tratta del solito e vecchio stantio discorso, riformulato e impacchettato in brevi video di quaranta secondi per generazioni che hanno dimenticato cosa significhi essere private di basilari diritti umani. La studiosa di media Amy Koerber ha sostenuto, nel suo saggio del 2018 From Hysteria to Hormones: A Rhetorical History (Penn University Press), che l’isteria sia un concetto topologico, vale a dire – spiega, con un termine mutuato dalla matematica – un concetto che si mantiene identico a se stesso nel tempo, pur cambiando forma.
Cerco di chiedermi, e non ho una risposta – e non credo, come ho provato a dimostrare fino a qui, che nemmeno la medicina possa averne una che sia pienamente esatta – quanto degli scatti di rabbia, più o meno ormonali, che conosco bene fin dall’adolescenza, sia reale. Ma forse la domanda è mal posta: la questione, forse, è pensare diversamente il corpo: ci sono, sempre, le condizioni per le quali le emozioni esistono – siano esse gli ormoni, un’incomprensione con una persona cara o il fatto di non avere dormito abbastanza. Sopra a queste ci sono le scelte, che agiscono al di sopra del corpo come un “involontario assoluto”, come ha scritto il filosofo francese Paul Ricœur. La via d’uscita dal rischio dell’essenzialismo biologico potrebbe essere questa: tenersi il corpo e gli ormoni, con i loro condizionamenti inevitabili, e rimanere in questo paradosso, senza a tutti costi volerlo sciogliere, tra l’irragionevolezza (finita) del corpo e le scelte di vita.
Martina Lodi
Martina Lodi è laureata in filosofia morale all’Université Panthéon-Sorbonne di Parigi e scrive per varie testate culturali.
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